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Re-Cycle Veneto

Di Lorenzo Fabian e Stefano Munarin
La pubblicazione Re-Cycle Veneto riassume gli esiti del lavoro svolto da alcuni docenti, assegnisti di ricerca e studenti della laurea magistrale dell’università Iuav di Venezia che, nell’ambito della più vasta ricerca Recycle Italy, si sono organizzati in dieci “tavoli di lavoro” per indagare le possibilità di riciclo del territorio veneto. Le sperimentazioni progettuali e le mosse di ricerca illustrate esplorano da angolazioni differenti i concetti base e condivisi della ricerca, ossia l’avvio di nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture esistenti, dismesse o obsolete, entro strategie di progettazione che intervengano in particolare sui temi ambientali, energetici e della mobilità. Il territorio veneto è qui inteso quale elemento in continuo divenire, mai fisso ma neanche mai morto: supporto e “patria artificiale”, che offre resistenze ma al tempo stesso è plasmabile e adattabile agli orizzonti di senso che le esplorazioni progettuali individuano.

Il volume Re-Cycle Veneto, in corso di pubblicazione nella collana dei Quaderni del PRIN Re-Cycle Italy, riassume gli esiti del lavoro svolto da alcuni docenti, assegnisti di ricerca e studenti della laurea magistrale dell’Università Iuav di Venezia che, nell’ambito della più vasta ricerca Recycle Italy, si sono organizzati in dieci “tavoli di lavoro” per indagare le possibilità di riciclo del territorio Veneto e, al contempo, utilizzare questo contesto per indagare alcune possibile articolazioni dell’idea di riciclo. Le ricerche e le sperimentazioni progettuali che illustrati esplorano da angolazioni differenti i concetti base e condivisi della ricerca, ossia la possibilità di avviare nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture esistenti, dismesse o obsolete, entro strategie di progettazione che si interrogano su diversi temi, che vanno dalle questioni ambientali, energetici e della mobilità alla percezione e fruizione di alcuni specifici paesaggi o alla riflessione intorno al concetto di patrimonio.

Questo specifico progetto, della durata di un anno e intitolato Re-Cycle Veneto Lab,1 Recycle Veneto Lab (TURISMO, TERRITORIO, RICICLO: riciclo di reti ferroviarie e infrastrutturali dismesse e di fabbricati abbandonati a favore dello sviluppo di itinerari turistici a percorrenza “lenta” nell’area veneta, Università Iuav di Venezia, marzo 2014 – marzo 2015), è un progetto di ricerca finanziato dalla Regione Veneto, con i finanziamenti erogati dal Fondo Sociale Europeo, nell’ambito del programma operativo 2007- 2013 della Regione. Le ricerche del Recycle Veneto Lab si fondano sulla trasformazione dell’offerta turistica nel territorio veneto, in rapporto ad un’idea di riciclo come pratica virtuosa: sia in considerazione della presenza di infrastrutture ed edifici dismessi sia rispetto a una idea di turismo compatibile e di sostenibilità ambientale. si è concluso con il workshop di progettazione Ve.Net,2Il workshop di progettazione Ve.Net, (3 -12 ottobre 2014, Venezia, Pieve di Soligo) organizzato dall’Università Iuav di Venezia con la Fondazione Fabbri di Pieve di Soligo, ha coinvolto tredici aziende Venete, dieci docenti, 15 assegnisti di ricerca e 85 studenti della Laurea Magistrale in Architettura dell’Università Iuav di Venezia. Il programma del workshop ha in particolare previsto un seminario inaugurale a Pieve di Soligo cui sono stati invitati i rappresentanti di tutte le aziende coinvolte, cinque giorni di lavoro collettivo a Venezia nella sede Iuav dell’Ex-Cotonificio Veneziano, e infine un seminario di illustrazione degli esiti e di dibattito generale con la partecipazione di ricercatori della rete nazionale Recycle Italy, di esperti, associazioni e amministratori locali. tenutosi nell’ottobre 2014 all’Università Iuav di Venezia e presso la Fondazione Fabbri di Pieve di Soligo. Al progetto hanno partecipato, insieme ai docenti, studenti e ricercatori dell’Università Iuav i rappresentanti di associazioni di categoria, amministrazioni, aziende e imprese, coinvolti in una comune riflessione volta ad esplorare le possibili ricadute economiche e strategiche di un’ipotesi di radicale trasformazione del territorio veneto. Nel workshop, come nella pubblicazione, i dieci tavoli sono stati suddivisi in tre parti, cui corrispondono anche differenti ambiti tematici e geografici.

La prima parte, Riciclare i territori del Piave e del pedemonte, fa riferimento agli ambiti compresi fra le Alpi e l’alta pianura asciutta, territori dinamici, oggi interessati dai cambiamenti indotti dalla realizzazione dell’autostrada pedemontana e alla ricerca di una nuova e più chiara definizione. La seconda parte, Riciclare i territori dei fiumi e delle infrastrutture, fa riferimento al deposito di acque, strade e ferrovie regionali che hanno strutturato la pianura e la città diffusa veneta, al loro necessario ripensamento alla luce dell’emergere di nuovi temi ambientali, del welfare e della valorizzazione del paesaggio. La terza parte, Riciclare i territori della produzione, fa riferimento alla conclusione di un lungo ciclo economico-produttivo e al necessario ripensamento, anche concettuale, dei suoi spazi. Infine un’ultima parte, cui corrisponde anche un ultimo tavolo di lavoro, è dedicata, fra storytelling e processo, alla narrazione del territorio come possibile forma del progetto.

Un nuovo ciclo di trasformazione

Anche in Veneto, come in altri territori contemporanei, è sempre più chiara la percezione che un lungo ciclo di costruzione della città si stia chiudendo. Nel rapporto sul mercato delle costruzioni del centro studi CRESME (2011) tale percezione si rende manifesta in un grafico che illustra il susseguirsi dei cicli del mercato immobiliare in Italia dal 1950 ad oggi. Il grafico, che mostra l’alternarsi dei momenti di espansione e di contrazione del mercato, si conclude con un ultimo grande ciclo edilizio – il sesto in ordine di tempo – iniziato a metà degli anni novanta del XX secolo e che oggi è in fase conclusiva e di intensa deflazione. Caratterizzato dalla dirompente crescita dei volumi edilizi e del suolo urbanizzato, esso fa luce su una strategia di trasformazione che, nei quindici anni a cavallo dei due millenni, ha applicato al territorio le tipiche dinamiche del mercato di consumo: una trasformazione senza riciclo, avvenuta perché ciò che esisteva non sembrava più adeguato a rispondere alle esigenze di una società in rapido e profondo cambiamento o al fine di alimentare artificialmente la crescita “squilibrata” di un mercato delle costruzioni ormai saturo.

Naturalmente il processo non è stato senza conseguenze. L’ultimo ciclo edilizio, oltre ad aver consumato nuove consistenti porzioni di territorio sottraendole all’agricoltura, ha depositato sul suolo scarti di forma e dimensioni differenti che oggi, anche alla luce dei rischi ambientali e della crisi economica, rendono evidente le fragilità del territorio e introducono ad alcuni possibili slittamenti di senso dei temi del progetto.

Ricicli

Anche alla luce di questi problemi, recentemente, e in particolare a partire dalla crisi del 2007, si è cominciato a guardare anche al territorio Veneto mettendone in evidenza i processi di abbandono e dismissione edilizia. Se si prova però a rilevare il fenomeno, a costruire delle mappe dell’abbandono ci si trova nella necessità di articolare le categorie analitiche, riconoscendo che se si cerca ciò che è completamente e univocamente abbandonato si trova poco mentre diventa assai più interessante segnare ciò che è solo parzialmente utilizzato, ciò che è momentaneamente vuoto, sottoutilizzato o sta cambiando destinazione, ciò che è in attesa di diventare altro, ecc. La dismissione, la chiusura e l’abbandono cioè, qui nel Veneto, appaiono come fenomeno articolato, sia spazialmente (con situazioni economiche ed insediative che reggono, altre che si trasformano ma continuano e altre ancora che soffrono e chiudono) sia nelle forme e nei processi.

Se si cammina nelle zone industriali del Veneto osservando i processi di dismissione ci si trova spesso di fronte a situazioni spurie, dove accanto a pochi eclatanti ed univoci abbandoni si ritrovano tante altre situazione intermedie. Se si osserva l’area di Bassano, la valle del Chiampo o la grande zona industriale di Vittorio Veneto si nota che il capannone e la zona industriale cambiano, si evolvono, diventano altro, ma assai più raramente vengono semplicemente abbandonati. La dismissione qui appare fenomeno opaco, micro, frammentato, richiedendo sguardi più attenti e progetti e politiche più articolati e mirati.

Un ingente patrimonio immobiliare sottoutilizzato o dismesso si scopre invece se si osserva l’edilizia residenziale. I due idealtipi prevalenti – la casa isolata e la piccola palazzina – che pervadono il territorio veneto costituendo quasi la nota di base, oggi sembrano improvvisamente subire un precoce invecchiamento, appaiono obsoleti e non più congrui rispetto alle nuove domande sociali. Obsoleto, male utilizzato o abbandonato appare spesso anche quel vasto supporto costituito dalle reti di acque, strade e ferrovie minori che nel tempo lungo ha reso estensivamente abitabile il territorio, permettendo di attraversarlo e stabilirsi praticamente ovunque. I canali, i fossi e le scoline che, come i fossati di cui ci parla Richard Mabey, sembrano “vocaboli superstiti dell’antico idioma della terra… e anche se l’antico tracciato è interrotto in più punti […], sembrano criptiche trincee scavate in ere remote per assolvere a molteplici funzioni […]. Di sicuro, un fossato non è mai un fossile, una cosa inerte, ma è l’elemento di una narrazione della terra, tenace e adattabile come una buona storia tramandata da generazioni” (2010, pp. 105-106).

Allo stesso modo, le ferrovie minori e le piccole stazioni, le strade bianche, le carrarecce, le rive dei fiumi, i “trosi”, appaiono come tante piccole opere che, come ci ricorda Robert Macfarlane parlando in modo particolare dei sentieri, costituiscono una sorta di “labirinti di libertà, supporto mondano nel senso migliore del termine perché appartengono al mondo, sono aperti a tutti», e come i sentieri, spesso, sono «tracce di esperienze collettive [che] senza manutenzione collettiva e collettivo impiego spariscono” (2013, pp. 17-20).

Questo elenco aperto di infrastrutture, edifici e attrezzature ci invita ad andare a fondo sul concetto di “crisi”, dismissione e possibili scenari di “riciclo”, ricordandoci subito che diventa interessante e necessario riconoscere vari gradi di dismissione, che l’idea di riciclo se applicata ai sistemi insediativi rinvia all’idea di “ciclo di vita” (Viganò 2011). Ai processi di continuo cambiamento che attraversano la città e il territorio, al grado di disponibilità alla trasformazione che i diversi materiali urbani consentono, alla malleabilità del patrimonio esistente, che se vogliamo continui ad essere veramente patrimonio dobbiamo continuamente reinventare e riadattare e quindi alla possibilità di prospettare nuove interessanti visioni di cambiamento senza utilizzare ulteriore suolo libero, senza “urbanizzare” nuovo suolo agricolo ma facendo diventare diversamente abitabile ciò che abbiamo fin qui già edificato. Tra l’altro, ricordando che proprio attraverso un continuo processo di riciclo dell’esistente nei secoli scorsi abbiamo prodotto i centri antichi che ora tanto ci affascinano.

Più in generale le trasformazioni in atto nel territorio veneto ci segnalano che il sesto ciclo edilizio ha qui prodotto una competizione non solo tra attività produttive e tendenze speculative, ma anche tra le parti di territorio che richiedono operazioni di recupero e quelle dove sono ancora possibili nuove urbanizzazioni di suolo agricolo: se nel prossimo futuro lasceremo che le nuove energie economiche e sociali (gli investimenti e le idee imprenditoriali) producano nuovi edifici in territori agricoli (operazioni facili) difficilmente troveremo altre energie in grado di rilavorare l’enorme quantità di edifici e spazi che hanno concluso un loro primo ciclo di vita e richiedono l’avvio di nuovi processi d’uso e attribuzione di senso.

Muovendo dal presupposto che il sistema insediativo contemporaneo non rappresenta lo stato conclusivo di un lungo processo di modificazione e stratificazione ma solamente una sua fase, appare evidente come proprio a partire dalla “crisi” che stiamo vivendo si possa avviare un nuovo sforzo di immaginazione volto a definire futuri assetti territoriali. Nuovi assetti che devono certamente rispondere a criteri di sostenibilità (anche economica) ma dimostrarsi al contempo maggiormente inclusivi, garantire sicurezza idraulica ed ambientale, essere capaci di rispondere alle domande espresse da nuove popolazioni (immigrate e non) immaginando un nuovo ruolo sia per gli innumerevoli edifici e spazi dismessi sia per il patrimonio costituito dagli spazi del welfare, elementi che nell’insieme possono diventare nuovi assi portanti dell’assetto territoriale complessivo.

Occorre domandarsi quindi come un vasto insieme di manufatti e spazi costruiti nel corso di più di mezzo secolo possano costituire oggi il punto di partenza per una grande trasformazione del territorio veneto, per l’avvio di nuovi cicli di vita basati sulla reinterpretazione e riconcettualizzazione dell’esistente, sulla logica delle tre “R” (“riduci”, “riusa”, “ricicla”).

Osservando il territorio veneto ci troviamo di fronte ad un sistema insediativo dinamico, che certamente sta attraversando e deve affrontare sfide assai rilevanti: è un territorio nel quale il tumultuoso processo di sviluppo economico dei decenni passati ha lasciato un ingente patrimonio di spazi in disuso o comunque potenzialmente riusabili; è un territorio che si scopre sempre più spesso a rischio idraulico, nel quale occorre tornare ad osservare attentamente lo spazio occupato dall’acqua e il suo ruolo nella formazione del paesaggio sotto molteplici forme (dal grande fiume fino al più piccolo fosso, dalle aree depresse e umide agli ambiti di risorgiva, ecc.); è un territorio non sempre e non da tutti facile da abitare, nel quale la mobilità è privilegio degli adulti in possesso dell’automobile; è un territorio che si deve confrontare con l’arrivo di nuove e diverse popolazioni con il relativo sviluppo di tensioni e innovazioni sociali; è un territorio in cui si assiste all’incessante processo di trasformazione della sua base economica e produttiva, con i distretti in continuo mutamento, spesso capaci di ripresentarsi sotto forme nuove, sorprendenti, proprio mentre se ne sta studiando la presunta fine.

Un territorio abitato, caratterizzato dalla compresenza di diversi sistemi insediativi, certo non immune da difetti e limiti ma dinamico, che appare ai nostri occhi dotato di una buona resilienza, capacità di mutare, “adattarsi” al cambiamento, un sistema insediativo “intrigante” proprio perché difficile da ridurre entro un’unica immagine riassuntiva (positiva o negativa che sia). Un sistema insediativo interessante perché formato da diversi “modelli urbani” posti vicino l’uno all’altro e che consentono stili di vita diversi: dalla città antica, che ha in Venezia l’esempio esemplare, all’abitare nella rada “città inversa” che si è sviluppata lungo le strade della centuriazione romana; dai quartieri di edilizia residenziale pubblica, troppo spesso criticati sulla base di pregiudizi mentre invece con la loro ricca dotazione di servizi costituiscono una sorta di “isole del welfare” cui fanno riferimento anche gli abitanti delle lottizzazioni private di case su lotto spesso prive dei servizi elementari, alle parti di città compatta costruite a partire dal secondo dopoguerra attorno ai nuclei antichi, parti che grazie alla loro relativa alta densità permettono lo sviluppo di “strade corridoio” con i negozi al piano terra e servite dal trasporto pubblico. Un sistema insediativo nel quale diventa interessante prestare attenzione al contempo agli spazi, ai diversi materiali che vi si sono depositati e alle pratiche, ai soggetti e ai processi sociali che li attraversano reinterpretandoli.

Osservare gli spazi riflettendo sul concetto di “capacità”, sulle possibilità che questi offrono, misurando il benessere sulla base di ciò che gli individui possono fare ed essere, piuttosto che su ciò che possiedono. Pensando che anche di fronte ai problemi e alle crisi del territorio, sia utile cercare di ridurre le forme di ingiustizia (che limita ciò che possiamo fare ed essere) piuttosto che puntare alla realizzazione di un mondo perfettamente giusto (finendo con il riflettere più sulle forme istituzionali che sulla concreta giustizia). Un atteggiamento pragmatico ed incrementale forse, che si alimenta anche di più suggestive ed ampie immagini utopiche ma che ci sembra interessante perché non parte dalla condanna preventiva di ciò che stiamo osservando (cioè modi di abitare il mondo, qui ed ora).

Interpretando il deposito materiale realizzato e più volte riscritto nel corso del tempo come lascito imprescindibile, “supporto” fisico a partire dal quale è possibile sviluppare nuove immagini e idee, nuovi “modi di stare al mondo” che non devono necessariamente fare riferimento all’idea tradizionale di città o di campagna, ma ad inediti spazi di civitas che consentano lo sviluppo di forme di “democrazia sostanziale”.

Le conseguenze del nuovo ciclo di trasformazione dell’esistente, 3Il CRESME indica il ciclo che si sta aprendo e che caratterizzerà il mercato della costruzione dei prossimi anni come una nascente fase di “trasformazione dell’esistente”, di essa nel rapporto si intuiscono i temi prevalenti – la ristrutturazione del patrimonio edificato, la manutenzione del territorio, l’adeguamento infrastrutturale ed edilizio al rischio sismico e idrogeologico – ma non ancora l’intensità o la durata. se applicate al territorio veneto, implicheranno una revisione radicale dei modi d’uso dello spazio, degli stili di vita, delle forme della mobilità, dei sistemi di produzione delle merci, delle principali razionalità energetiche. E’ anche su queste sfide, sulla necessità di immaginare un prossimo ciclo futuro del territorio basato sulla radicale riconcettualizzazione dell’esistente, che può essere interpretata la domanda di progetto che è implicita nelle esplorazioni progettuali documentate nel Quaderno.

Recycle Veneto

Pochi dei temi esplorati in questa pubblicazione sono inediti per i gruppi veneziani coinvolti nella ricerca. Molti di essi precedono la ricerca Recycle Italy e, probabilmente, proseguiranno anche oltre ad essa. In questo senso, le numerose ricerche condotte sul territorio Veneto e che in queste pagine sono sintetizzate, con le loro differenti angolazioni, ambiscono attraverso le ipotesi e le esplorazioni progettuali a produrre nuova conoscenza sul tema della “trasformazione dell’esistente” declinando in diverse forme e prospettive il tema generale del riciclo.

Le ricerche indagano il territorio Veneto e, attraverso il concetto di riciclo, ne osservano i materiali costitutivi, il suo deposito e le attrezzature. Parafrasando Max Black (1983, pp. 87-88), possiamo dire che, attraverso il paradigma del riciclo, i progetti illustrati consentono di “versare nuovo contenuto in vecchie bottiglie”. Grazie al riciclo è infatti possibile traguardare alcuni temi e luoghi già esplorati producendo nuova conoscenza per il territorio veneto e la città diffusa e, contemporaneamente, proprio grazie al lavoro sui casi studio il concetto di riciclo può assumere nuovi significati e legittimità. Considerando che “una metafora efficace ha il potere di mettere due domini separati in relazione cognitiva ed emotiva usando il linguaggio direttamente appropriato all’uno come una lente per vedere l’altro; le implicazioni, le associazioni, i valori costitutivi intrecciati nell’uso letterale dell’espressione metaforica ci permettono di vedere un nuovo argomento in un nuovo modo”, agendo sul territorio come una metafora radicale il riciclo ci permette di vedere cose nuove. Il riciclo è così una metafora che consente di illuminare il territorio alla ricerca di cicli di vita in fase di conclusione e di ipotizzare per essi una nuova e radicale concettualizzazione.

Prese singolarmente le ipotesi di ricerca e le esplorazioni progettuali avanzate dai dieci tavoli di lavoro, rilevano dei tanti modi attraverso cui il riciclo diventa una metafora radicale, capace di parlare della trasformazione dell’esistente e delle sue tante prospettive progettuali.

Il riciclo può, ad esempio, diventare un modo per attribuire valore ai tanti oggetti ordinari che compongono il paesaggio della città diffusa veneta: case, fabbriche, campi coltivati, l’immenso armamentario di elementi che attraversano il territorio veneto sono in questa prospettiva, un deposito di fatiche e energia grigia, risorse rinnovabili di una urbs in horto che idealizza lo spazio del quotidiano ed aspira ad un riciclo completo delle sue parti. Spostando parzialmente il punto di vista nello spazio e nel tempo, adottando lo sguardo del militare e osservando il deposito delle tante rovine e macerie con cui la Grande Guerra ha inciso le montagne, il riciclo diventa anche una modalità di reinvenzione del paesaggio veneto. Lo sguardo strategico in questo caso, da un lato, proiettivamente, prova ad avviare un nuovo ciclo per i teatri della Grande guerra e, da un altro lato, retrospettivamente, consente di imparare dalla tattica del militare: un albero e un campanile possono diventare punti di vista per l’esplorazione del paesaggio, le corrugazioni della terra possono diventare punti di attestamento, i fiumi un ostacolo all’avanzata delle truppe, le colline i possibili presidi. Se invece oggetto della ricerca sono i temi energetici, il riciclo diventa lente per il radicale ripensamento delle infrastrutture che innervano la regione, un tempo supporto alla diffusione insediativa e oggi emblema di un modello energetico e della mobilità inadatto a rispondere agli obiettivi di riduzione delle emissioni e alla realizzazione di eque politiche economiche e di accessibilità. Riciclo in questo senso può significare un nuovo ciclo della mobilità della città diffusa che, attraverso la valorizzazione dei tessuti reticolari di strade bianche e ferrovie, può offrire attraverso l’uso integrato della bicicletta e del treno una valida alternativa all’auto di proprietà. Può anche essere la reinvenzione dei paesaggi di alcuni grandi fiumi, come il Piave, profondamenti manomessi nei decenni passati e che oggi appaiono mondi sospesi, in attesa di un nuovo ciclo e di nuove prospettive. Oppure riciclo può essere il ripensamento di alcune ferrovie ormai dismesse, come nel caso dell’Ostiglia, un tempo supporto della prima modernizzazione della Regione e oggi infrastruttura ciclabile di scala territoriale.

Traslando ancora poco lo sguardo, mettendo a fuoco i temi ambientali e delle tante fragilità che attraversano la Regione, riciclo diventa reinvenzione di un deposito spugnoso e capillare di acque, grandi fiumi, fossi e scoline che oggi, oscillando fra abbondanza e carenza, appare inadeguato o insufficiente a fare fronte alle sfide poste da una efficiente gestione della risorsa idrica, dalle mutazioni del clima e dal crescente dissesto idrogeologico. Un supporto che, alla luce di questi elementi può essere riciclato, come nei casi qui indagati del Marzenego o del Piave, attraverso nuovi processi e prospettive capaci di valorizzare nello stesso quadro sinottico, la condizione di risorsa e di rischio, la domanda di nuovi spazi del welfare, la dimensione di trama pubblica e di paesaggio fluviale in produzione. La metafora del riciclo può infine essere ulteriormente deformata per essere connessa a quella degli archivi dello scarto: ciò che rimane dell’isola storica di Venezia o degli spazi del tessile pedemontano, la discrasia che esiste fra i tanti edifici abbandonati e le poche risorse a disposizione, una strategia per tornare a progettare patrimoni.

L’esperienza della comune ricerca e del workshop hanno tuttavia permesso di aggiungere qualcosa di più che non il semplice accostamento di ipotesi. L’accostamento, a volte la sovrapposizione di temi ed esplorazioni progettuali, ha infatti permesso di individuare alcune grandi cornici di senso che ambiscono ad aggiungere conoscenza alle singole ricerche.

Una prima è legata ad un’idea di progetto inteso come processo di natura incrementale. Il riciclo suggerisce infatti che la politica territoriale non si faccia solo attraverso la realizzazione di alcune grandi opere infrastrutturali il cui progetto e realizzazione è affidata a pochi soggetti e operatori. Il progetto di radicale riciclo del Veneto si può realizzare invece anche attraverso un diffuso, minuto e continuo e processo di trasformazione dell’esistente, affidato a una moltitudine di soggetti le cui istanze sono spesso differenti, a volte confliggenti. La realizzazione di un grande plastico comune ai dieci gruppi è stato in questo senso una sorta di terreno condiviso di esplorazione di un immenso progetto di riciclo immaginato come processo incrementale, additivo, frutto della somma di tante piccole mosse discrete. Attraverso il grande plastico i temi del riciclo hanno mostrato come questo elenco aperto di infrastrutture, attrezzature e paesaggi antropizzati, nel tempo lungo supporto fondamentale dello sviluppo regionale, possano essere oggi ripensati entro progetti integrati e non settoriali, capaci di assorbire entro la stessa cornice di senso i temi sociali, ambientali, energetici e di rivalutazione, anche spaziale, del paesaggio veneto. Il riciclo consente di rendere visibili alcuni fenomeni, come l’abbandono, i disuso e il sottoutilizzo di parti di territorio e di inquadrarle entro una nuova prospettiva progettuale capace di attraversare le scale del progetto.

Più in generale, forse diversamente da quanto avvenuto in altre unità di ricerca, i diversi casi studio qui illustrati intendono il progetto di riciclo entro una prospettiva che intende il territorio come palinsesto, deposito di fatiche e razionalità di elementi che non necessariamente sono abbandonati ma che devono essere radicalmente ripensati. Il territorio è così inteso quale elemento in continuo divenire, mai fisso, nel quale sono sempre compresenti e occorre intrecciare parti e materiali che stanno attraversando diverse fasi di vita, dove si tratta di lavorare non solo con ciò che è completamente dismesso, vuoto, abbandonato, ma con tutto ciò che è sottoutilizzato, marginale, inadeguato, obsoleto, dimenticato. Interpretando il territorio come supporto e “patria artificiale”, che offre resistenze ma al tempo stesso è plasmabile e adattabile ai nuovi cicli e agli orizzonti di senso che le esplorazioni progettuali attuate indicano. 


Bibliografia

Black, M. (1983). Modelli, archetipi, metafore. Parma: Pratiche editrice.

Centro Ricerche Economiche, Sociali di Mercato per l’Edilizia e il Territorio. (2011) Il mercato delle costruzioni 2011, XXII rapporto congiunturale e previsionale Cresme. 2010-2015 l’avvio del VII ciclo edilizio. (Volume 3). Roma: CRESME.

Mabey, R. (2010). Natura come cura. Torino: Einaudi. (Pubblicato originariamente nel 2005).

Macfarlane, R. (2012) Le antiche vie. Un elogio del camminare. Torino: Einaudi. (Pubblicato originariamente nel 2012).

Viganò, P. (2011). Re-cycling Cities. In P. Ciorra, S. Marini (a cura di), Re-cycle. Milano: Mondadori-Electa.

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1. Recycle Veneto Lab (TURISMO, TERRITORIO, RICICLO: riciclo di reti ferroviarie e infrastrutturali dismesse e di fabbricati abbandonati a favore dello sviluppo di itinerari turistici a percorrenza “lenta” nell’area veneta, Università Iuav di Venezia, marzo 2014 – marzo 2015), è un progetto di ricerca finanziato dalla Regione Veneto, con i finanziamenti erogati dal Fondo Sociale Europeo, nell’ambito del programma operativo 2007- 2013 della Regione. Le ricerche del Recycle Veneto Lab si fondano sulla trasformazione dell’offerta turistica nel territorio veneto, in rapporto ad un’idea di riciclo come pratica virtuosa: sia in considerazione della presenza di infrastrutture ed edifici dismessi sia rispetto a una idea di turismo compatibile e di sostenibilità ambientale.
2. Il workshop di progettazione Ve.Net, (3 -12 ottobre 2014, Venezia, Pieve di Soligo) organizzato dall’Università Iuav di Venezia con la Fondazione Fabbri di Pieve di Soligo, ha coinvolto tredici aziende Venete, dieci docenti, 15 assegnisti di ricerca e 85 studenti della Laurea Magistrale in Architettura dell’Università Iuav di Venezia. Il programma del workshop ha in particolare previsto un seminario inaugurale a Pieve di Soligo cui sono stati invitati i rappresentanti di tutte le aziende coinvolte, cinque giorni di lavoro collettivo a Venezia nella sede Iuav dell’Ex-Cotonificio Veneziano, e infine un seminario di illustrazione degli esiti e di dibattito generale con la partecipazione di ricercatori della rete nazionale Recycle Italy, di esperti, associazioni e amministratori locali.
3. Il CRESME indica il ciclo che si sta aprendo e che caratterizzerà il mercato della costruzione dei prossimi anni come una nascente fase di “trasformazione dell’esistente”, di essa nel rapporto si intuiscono i temi prevalenti – la ristrutturazione del patrimonio edificato, la manutenzione del territorio, l’adeguamento infrastrutturale ed edilizio al rischio sismico e idrogeologico – ma non ancora l’intensità o la durata.

Infrastrutture della memoria.

Di Andrea Iorio e Claudia Pirina
L’approssimarsi della ricorrenza del Centenario della Grande guerra costituisce un appuntamento decisamente importante per la molteplicità di interessi coinvolti, ma che pone una serie di questioni legate al rapporto tra trasmissione della memoria, ancora molto vivida, e le dinamiche di trasformazione del territorio, che al contrario hanno visto la progressiva dismissione di molti dei segni lasciati dall’evento storico e il loro versare in una condizione di fragile e muta quiescenza. L’ipotesi sviluppata è quella di intersecare nuove o diverse modalità di fruizione del territorio, in parte già presenti, come quelle legate al turismo o all’escursionismo sportivo, con sistemi di visita costruiti attraverso il recupero di manufatti infrastrutturali di origine bellica. Le infrastrutture di guerra, in quest’ottica, costituiscono al contempo oggetto di nuovi itinerari di visita e strumento per condurla attraverso le stratificazioni del paesaggio.

Scendemmo per una montagna frantumata di macerie, dalla cima alle falde, ma che conservava ancora, come rughe sulla fronte, le sagome di trincee che avevano seguito i suoi contorni.

(Rudyard Kipling, La guerra nelle montagne. Impressioni del fronte italiano, 1917)

Nella notte tra il 23 e il 24 maggio si celebrerà il centenario dell’ingresso in guerra dell’Italia. Da qualche anno le Regioni che furono coinvolte nel conflitto si interrogano sulla necessità di commemorare l’evento, ma soprattutto sulla qualità delle possibili iniziative culturali. Se da un lato si definisce con chiarezza il carattere retorico delle celebrazioni ufficiali, dall’altro ci sembra sempre più evidente la necessità di rileggere quegli eventi in chiave differente. La Grande guerra ha profondamente influito per dimensioni fisiche, economiche, sociali e culturali sui luoghi teatro delle battaglie ed è stata al contempo momento di costruzione dell’intero territorio circostante. Il paesaggio di oggi contiene al proprio interno frammenti di una vicenda che nonostante abbia costituito per i luoghi solamente un brevissimo spazio temporale, ha lasciato impresse impronte e memorie. Queste tracce si confondono oggi con la geografia, e i segni parzialmente cancellati dal tempo risultano spesso difficili da leggere e interpretare perché privati di quelle relazioni che costituivano il senso della loro collocazione. È interessante quindi riflettere sul ruolo che queste rovine possono ricoprire nella conformazione futura del paesaggio e al contempo sulla possibile costruzione di una rete di rapporti a distanza che permetta di mettere in relazione i luoghi con gli eventi che vi si sono svolti.

Grande guerra e piani per il centenario: il caso Veneto

L’approssimarsi del centenario della Grande guerra offre l’occasione per riattivare l’attenzione sui territori coinvolti, ma è importante riflettere su quali possano essere gli strumenti e le azioni in grado di rimettere in circolo le memorie. Il rischio del proliferare di eventi e attività non strutturate o controllate o ancora tra loro simili sembra chiaro alle amministrazioni locali e alle strutture statali che hanno predisposto apposite strutture nel tentativo di mettere ordine e di selezionare. Non sempre le buone intenzioni hanno prodotto risultati soddisfacenti e in taluni casi il ritardo sulla programmazione rischia di non centrare gli obiettivi prefissati. Da un lato la struttura di Missione statale, attraverso l’emanazione di alcuni bandi dovrebbe mettere a disposizione i fondi stanziati, dall’altro le singole Regioni hanno ricevuto un certo grado di autonomia grazie allo stanziamento di fondi appositi.

In molti casi la speciale condizione di ricorrenza di quegli eventi ha permesso di predisporre la sistemazione e messa in sicurezza di numerosi manufatti bellici, da trincee a forti, ma questo cumulo di frammenti – seppur riqualificati – non rendono spesso riconoscibile o rintracciabile l’aspetto originario dei luoghi e il loro significato più profondo. Al contempo la comprensibile scelta di sfruttare l’occasione favorendo le piccole comunità locali e le associazioni in questa particolare congiuntura economica non sempre è in grado di garantire profondità di contenuti; d’altro lato le ricerche scientifiche sono spesso lontane dalle realtà locali e dal favore di un pubblico non specializzato al quale in generale si intende rivolgersi.

La macchina bellica investì a diverso titolo molteplici regioni, sia dal punto di vista dell’intensificazione dello sforzo produttivo che, in un momento di profonda crisi economica quale quello appena precedente il conflitto, garantì lo sviluppo di numerose aziende, sia dal punto di vista dello spostamento di enormi masse di popolazione che andarono a formare non solo l’esercito, ma anche la grande schiera degli “operai borghesi”. Territori scarsamente popolati e quasi per nulla infrastrutturati in pochissimi anni necessitarono di ingenti sforzi per adeguare i luoghi alle mutate necessità di trasporto di uomini, merci, artiglierie, ecc. e “in breve tempo ‘costruire’ e alimentare il fronte divenne un’importante attività che movimentava ingenti risorse finanziarie, materiali e umane” (Ermacora, 2005, p. 8). Se da un lato l’intera nazione venne coinvolta dal conflitto, dall’altro furono Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia che offrirono i propri territori come teatro per sanguinose battaglie e proprio queste tre sono le regioni che, secondo modalità e tempistiche differenti, si preparano alla celebrazione degli eventi.

Il Comitato esecutivo per le celebrazioni del centenario della Grande guerra del Veneto nel 2013 ha predisposto un documento programmatico, il Masterplan centenario Grande guerra del Veneto, per la “realizzazione del Museo diffuso della Grande guerra in Veneto” con l’intento di “raccontare i segni” che la guerra ha lasciato, “i vuoti che ha generato” e “le ricostruzioni che sono sopravvenute, aggiungendo uno strato in più al testo paesaggistico” (Regione del Veneto, 2013, p. 3). Le linee guida contenute all’interno del Masterplan costituiscono la base per la selezione dei progetti ai quali assegnare fondi nei prossimi anni. Sapere scientifico e saperi locali dovrebbero convergere a formalizzare proposte appetibili per lo più al turista, ma la pluralità di interlocutori a cui rivolgere l’attenzione non rende sempre facile il compito: studenti, turisti in genere, turisti “di guerra”, ricercatori, …

Le infrastrutture di guerra: un tema di ricerca e un punto di vista

Provando a considerare le trasformazioni che la Grande guerra ha lasciato impresse sul suolo, in particolare nel territorio veneto, oltre ai resti di strutture di fortificazione – trincee, bunker, caverne – e oltre alle vaste distruzioni, l’eredità probabilmente più consistente per estensione fisica e per durata del suo utilizzo nel tempo è costituita da una vasta rete di linee infrastrutturali, che hanno profondamente e per sempre modificato le dinamiche di attraversamento e di fruizione del territorio. Tale trasformazione vide la sua origine nella grande quantità di materiali di generi diversi che vennero movimentati negli anni precedenti e durante il conflitto. Tonnellate di calcestruzzo, ferro e legno servirono a costruire forti, baraccamenti, strutture di comando e sanitarie: opere spesso particolarmente difficili da realizzare, che soltanto in parte furono completate, in una corsa contro il tempo, a pochi mesi dall’ingresso in guerra e che in grande parte vennero invece costruite durante lo svolgimento dei combattimenti, secondo le evoluzioni degli assetti e delle tattiche. Lunghi treni trasportavano con ritmo serrato i soldati al fronte, per dare il cambio alle prime linee o più spesso per reintegrare i morti, ma anche per spostare le truppe tra i diversi settori, arrivando a due milioni e mezzo di soldati mobilitati contemporaneamente sul fronte italiano nel 1917. Fucili, cannoni e immensi quantitativi di munizioni venivano regolarmente spediti al fronte per sferrare attacchi potenti quanto dispendiosi, le cosiddette “spallate” di Cadorna. Ma soprattutto ingenti quantitativi di materiali ordinari – alimenti, vestiti, equipaggiamenti – si resero presto necessari: lo scoppio del conflitto, infatti, vide in tempi rapidissimi l’occupazione del fronte da parte di migliaia di uomini, 1A riguardo si vedano Gibelli (1998) e Duménil (2007). una sorta di processo di “urbanizzazione” dei fronti che assumeva cifre spesso analoghe a quelle di una grande città dell’epoca. E la stabilizzazione della guerra di posizione, d’altra parte, innescò un meccanismo perverso e imprevisto che costrinse a mobilitare un esercito parallelo e altrettanto numeroso, quello dei civili, impegnato nella produzione dei materiali di consumo necessari all’approvvigionamento del fronte, ma soprattutto nella costruzione e nella manutenzione di chilometri di infrastrutture per raggiungerlo. 2Il numero di civili reclutati nei lavori di infrastrutturazione bellica viene stimato di poco inferiore al milione di unità. Per uno studio approfondito sul coinvolgimento dei civili nelle costruzioni delle infrastrutture belliche si veda Ermacora (2005). In montagna e sugli altipiani vennero dismesse le vecchie vie, i pascoli, gli alpeggi, e al loro posto sorsero mulattiere, strade e ferrovie: circa 5000 sono i chilometri stimati di nuove rotabili, il doppio quelli già esistenti nelle retrovie, ma oggetto di manutenzioni, 1200 quelli di nuove linee ferroviarie tradizionali o decauville (su una rete totale che nell’Italia del 1914 non superava i 19.000 chilometri), oltre alle gallerie e ai viadotti resi necessari dalla corrugata orografia dei territori di confine. E poi linee telefoniche, condotte d’acqua, teleferiche, baraccamenti simili a piccoli centri urbani.

Paesaggio contemporaneo e memoria: il Piave.
Paesaggio contemporaneo e memoria: il Piave.

Questo forzato processo di antropizzazione cambiò radicalmente – e per sempre – il volto del territorio, interessando un’area ben più ampia della sola fascia di confine ed entrando in profondità anche nelle retrovie. Una rete piuttosto fitta, che legava i comandi di stanza tra Vicenza e Padova ai punti salienti del fronte, venne sovrapposta al territorio del Triveneto, determinandone una trasformazione che ebbe notevole influenza sul suo sviluppo nel dopoguerra: una volta concluso il conflitto, infatti, quelle vie che avevano supportato il passaggio di munizioni, artiglierie e soldati si rivelarono perfettamente adeguate anche per i trasporti civili e commerciali che andavano rianimandosi. E in maniera improvvisa territori che fino a pochi anni prima erano ancora prevalentemente rurali si trovarono intessuti da una maglia viaria e ferroviaria che favorì uno sfruttamento del territorio da un punto di vista sia industriale che turistico, secondo una diffusione capillare che non aveva precedenti. Basti ricordare come i 1500 chilometri di strade costruite in meno di quattro anni sull’Altopiano di Asiago, su un’estensione di circa 900 chilometri quadrati, abbiano reso quel territorio, che per secoli era rimasto sostanzialmente isolato, il luogo con la più alta densità di strade al mondo.

Nel corso dei cento anni successivi quei sistemi hanno subito diversi tipi di alterazione: in alcuni casi sono stati implementati, diventando il sedime su cui realizzare vie di maggiore portata o maggiore velocità, con una netta prevalenza delle trasformazioni in strade carrabili (dovuta al progressivo imporsi del trasporto su gomma); altrove, soprattutto alle quote più alte, molte mulattiere di arroccamento sono oggi i sentieri lungo cui escursionisti spesso inconsapevoli attraversano le montagne per diletto o per sport; molti segni, infine, hanno più semplicemente visto esaurirsi col tempo il loro utilizzo, senza che emergessero tangibili prospettive di trasformazione.

Punti di vista negati: vegetazione spontanea cresciuta di fronte a un bunker italiano sul Montello.
Punti di vista negati: vegetazione spontanea cresciuta di fronte a un bunker italiano sul Montello.

Proprio questi chilometri di vie, che in parte furono dismessi e spesso versano in stato di abbandono o comunque di sottoutilizzo, costituiscono in realtà una straordinaria risorsa materiale. Si tratta di una vasta rete di percorsi che si rende disponibile a un processo di riciclo basato su nuove modalità di frequentazione del territorio e che presenta almeno due caratteristiche peculiari: una capillare estensione che, soprattutto nelle aree alpine o prealpine, permette di attraversare e raggiungere con relativa facilità luoghi toccati solo marginalmente dal recente sviluppo di un’urbanità diffusa, dove altresì è ancora abbastanza preservata una condizione di rurale naturalità; la frequenza con cui queste infrastrutture nate per esigenze belliche spesso contingenti non solo attraversano aree di notevole bellezza paesaggistica, ma anche ricalcano o si relazionano a collocazioni che nel corso della storia avevano già dimostrato il proprio valore strategico nei confronti del territorio, secondo analoghe modalità di controllo a distanza. In questo senso, rileggere i modi attraverso cui la Grande guerra si è insediata nel territorio e a sua volta ha contribuito a costruirlo significa percorrere itinerari, fisici e narrativi, che attraversano la storia dei luoghi, penetrando la ricchezza della stratificazione avvenuta.

Il turismo come occasione

Recenti modalità di fruizione del territorio propongono innumerevoli itinerari, che toccano alcuni luoghi simbolo della Grande guerra, senza tuttavia chiarire il senso della percorrenza in quei luoghi o il loro significato. Numerosi infatti sono gli itinerari esistenti nelle località che furono teatro dei combattimenti, meno conosciuta è la storia delle trasformazioni fisiche del paesaggio, delle attività economiche e delle comunità.

L’evento bellico investì territori contraddistinti da caratteristiche paesaggistiche, ma anche da condizioni culturali e di sviluppo assai diversificate: dalla pianura e gli alvei fluviali, agli altopiani, alla montagna. Se alcune località, principalmente montane, erano caratterizzate già dalla fine dell’800 dalla presenza abbastanza consueta del turismo italiano, ma soprattutto inglese e tedesco, altri devono la propria “fortuna” alle vicende belliche. D’altro canto a differenti caratteristiche morfologiche del terreno corrisposero differenti tecniche e tecnologie costruttive, ma anche differenti necessità, che forniscono altrettante chiavi di lettura per le nostre storie. Il turismo si offre quindi come occasione per il futuro utilizzo di aree che non sempre sono in grado di competere con la proliferazione di variegate proposte di viaggio o mete esotiche.

Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: il nuovo accesso all’Osservatorio del Re.
Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: il nuovo accesso all’Osservatorio del Re.

Il tema del confine precedente all’inizio della guerra, ad esempio, racconta e chiarifica la cultura di alcuni territori di confine caratterizzati dall’incantevole bellezza del paesaggio, ma al contempo da frequenti guerre e lotte di potere. La presenza di numerose infrastrutture belliche mostra quanto fosse mutevole la condizione dei territori vicini al fronte. Un chiaro esempio è quello costituito dalla Strada delle Dolomiti, voluta e costruita per scopi strategici dall’amministrazione austriaca tra XIX e XX secolo e abbandonata dall’esercito austriaco perché ritenuta poco difendibile subito dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria: quella strada oggi costituisce un importante percorso turistico che, attraversando i magnifici paesaggi dolomitici, eletti nel 2009 dall’UNESCO Patrimonio naturale dell’umanità, ripercorre la linea del fronte italo-austriaco durante la Grande guerra. La strada fu pensata e voluta da Theodor Cristomannos nell’intento di valorizzare l’area dolomitica, portando benessere agli abitanti del luogo grazie allo sviluppo turistico, ma costituì un’importante arteria di comunicazione anche nel periodo bellico, a partire dalla quale una fitta rete di strade, mulattiere e teleferiche si inerpicava sui fianchi delle montagne fino a raggiungerne le vette.

La costruzione di un complesso sistema logistico e di infrastrutture testimonia l’asprezza della guerra in territori impervi e caratterizzati dalla rigidezza del clima e dalla povertà di mezzi di comunicazione, che rendono il racconto della guerra in alta quota di particolare interesse anche per un pubblico non in grado di visitare direttamente quei luoghi. Ripercorrere il sedime di quei sentieri al contempo permette forse di provare la fatica del soldato, nonostante immersi in un’atmosfera totalmente pacificata e lontana dalle memorie di quegli eventi.

Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: il belvedere verso l’osservatorio austriaco al villino della Guizza.
Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: il belvedere verso l’osservatorio austriaco al villino della Guizza.

Lo sviluppo di tecniche e tecnologie avanzate proprio in questi territori, spesso quasi inaccessibili, si rese particolarmente indispensabile, tanto da arrivare anche alla radicale modifica delle creste delle montagne attraverso la realizzazione di complessi sistemi di gallerie e cunicoli che penetravano fino alle viscere o alla trasformazione della sagoma stessa dei monti a causa dello scoppio di mine. Alcune tracce di questi eventi sono ancor oggi impresse nei suoli, ma la sola fruizione di frammenti difficilmente è in grado di farsi testimone della complessa rete che rendeva possibile la vita quotidiana per un numero considerevole di persone. Risulta quindi necessario osservare il paesaggio esistente con occhi differenti, tentando di recuperare molteplici sguardi: lo sguardo del turista precedente alla guerra, lo sguardo del soldato o dei comandi, lo sguardo dei reduci che tornavano nei luoghi della loro sventura o ancora lo sguardo costruito negli anni subito a ridosso degli eventi nelle prime guide pubblicate dal Touring club italiano sul finire degli anni venti (Sui campi di battaglia, 1925-1931).

L’obiettivo dovrebbe essere di sviluppare la capacità di leggere la stratificazione degli eventi per poter disvelare ed educare a vedere: in tal senso l’individuazione di punti di osservazione strategici rispetto ai luoghi e alla comprensione di tracce e frammenti si costituisce come passo fondamentale per la ri-costruzione delle nostre storie. Non è sufficiente occuparsi solamente della riqualificazione di grandi manufatti, siano essi forti, trincee o gallerie, ma della messa in rete di un sistema anche attraverso la costruzione di piccoli luoghi di sosta e di un sistema informativo capace di rendere manifesti e comprensibili questi frammenti.

Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: la discesa al fiume e lo “sguardo del soldato”
Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: la discesa al fiume e lo “sguardo del soldato”.

Alla spettacolarità dei luoghi montani si contrappone l’ordinarietà fisica di alcune località oggi ricordate prevalentemente per le cruente vicende belliche che si svolsero sulle loro cime e che permisero la difesa dal nemico, luoghi simbolo che accolgono sacrari realizzati per celebrare le vittime del sacrificio. Il Monte Grappa, così come l’Altopiano di Asiago, prima della Grande guerra erano massicci montuosi prevalentemente utilizzati per condurre le mandrie al pascolo nella stagione primaverile ed estiva, che vennero sconvolti e martoriati dagli eventi che vi si svolsero. Alla panoramicità di alcune strade che costeggiano le zone di retrovia del fronte, si contrappone la condizione di difesa e protezione offerta da profonde valli che penetrano le pendici rocciose e che accoglievano complessi sistemi di risalita costituiti da mulattiere e teleferiche. Recuperare lo sguardo del soldati può significare allora scegliere il luogo, la corretta esposizione, il miglior punto di vista per guardare ed essere, o meno, visti e permette di elaborare progetti che costruiscano sottili relazioni con la complessa conformazione dei suoli.

Il progetto come rilettura: il caso della ferrovia dismessa Montebelluna-Susegana

Le riflessioni finora condotte hanno trovato la possibilità di un confronto con una dimensione effettivamente progettuale attraverso la partecipazione al seminario Ve.Net organizzato nell’ottobre 2014 dall’Università Iuav di Venezia e Recycle Veneto Lab in collaborazione con la Fondazione Fabbri di Pieve di Soligo, dove un tavolo di lavoro è stato dedicato a infrastrutture della Grande guerra e paesaggi della memoria, sulla base delle ricerche in merito condotte fino a quel momento dagli autori del presente articolo.3 Il Recycle Veneto Lab è l’organo di sede che l’Università Iuav di Venezia ha fondato relativamente alla partecipazione come capogruppo a un PRIN (Progetto di ricerca di interesse nazionale) dal titolo Re-Cycle Italy. La Fondazione Francesco Fabbri di Pieve di Soligo è un’istituzione dedicata allo sviluppo di programmi in ambito culturale, socio-economico e ambientale, con particolare riferimento all’osservazione delle trasformazioni in atto nel territorio veneto. Le ricerche cui si fa riferimento sono in parte quelle condotte all’interno dell’unità di ricerca Architettura, archeologia, paesaggi: teatri di guerra dell’Università Iuav di Venezia, coordinata dalla prof. Fernanda De Maio, in parte quelle raccolte all’interno di due assegni di ricerca svolti presso il medesimo istituto, responsabile scientifico prof. Alberto Ferlenga: Andrea Iorio, Riciclare paesaggi, interpretare memorie. Esperienze di riciclo strategico (2013-14) assegno parte del PRIN Re-Cycle Italy; Claudia Pirina, Turismo sostenibile, comunicazione e valorizzazione del territorio, progettazione e gestione di offerte turistiche tematizzate su temi storici e culturali e del relativo marketing territoriale (2014-15), assegno finanziato dal Fondo Sociale Europeo e che prevedeva il partenariato con PR Consulting di Padova, azienda dedicata alla promozione di attività turistiche.

Il tema proposto, che consisteva nel ripensamento delle dinamiche di trasformazione del territorio veneto contemporaneo a partire da pratiche di recupero e riuso di manufatti dismessi, veniva declinato attraverso due operazioni fondamentali: da un lato l’individuazione, all’interno del vasto numero di infrastrutture legate alla Grande guerra oggi abbandonate, della ex linea ferroviaria Montebelluna-Susegana e di una serie di manufatti ad essa connessi quali punti fissi per ripensare le modalità di attraversamento o di visita del territorio attorno al Montello, un contesto assai particolare per le stratificazioni di memorie storiche e di usi contemporanei soprattutto legati a turismo ed escursionismo sportivo; dall’altro la mappatura e la successiva riorganizzazione dei principali luoghi storici o della memoria presenti in quel territorio, al fine di costruire un sistema di visita coerente, ma allo stesso tempo diversificato secondo molteplici temi narrativi.

Il progetto si proponeva di far reagire due concetti di natura diversa – l’una immateriale, l’altra fisica – quali memoria e tracce, a partire da una costatazione piuttosto evidente: da un lato, la memoria della Grande guerra ha spesso assunto un carattere sostanzialmente atopico, astratto, anche in luoghi dove i racconti e le immagini delle vicende passate sono estremamente vividi, ma sono difficilmente “ricollocabili” nel mutato scenario contemporaneo; dall’altro, la semplice presenza di tracce materiali, anche numerose, non è di per sé sufficiente a testimoniare la storia di cui sono portatrici, dimostrando al contrario tutta la fragilità di fronte alle recenti dinamiche di trasformazione del territorio.

Infrastrutture belliche e attuali modalità di visita del territorio: la linea ferroviaria dismessa Montebelluna-Susegana come itinerario ciclo-turistico
Infrastrutture belliche e attuali modalità di visita del territorio: la linea ferroviaria dismessa Montebelluna-Susegana come itinerario ciclo-turistico.

Il tratto infrastrutturale preso in considerazione è costituito da una linea ferroviaria oggi dismessa che, tra campi abbandonati e proprietà recintate, corre parallelamente al versante meridionale della collina, tra Ponte della Priula e Montebelluna. Lunga poco meno di 21 km, questa ferrovia fu costruita nelle fasi precedenti la Prima guerra mondiale come itinerario in grado di portare i treni provenienti dalle varie parti del Regno verso la linea di confine orientale. A seguito della rotta di Caporetto e dell’attestamento del fronte sul Piave, la linea, che si trovava in posizione riparata dal Montello, si rivelò un’infrastruttura fondamentale per la movimentazione e l’approvvigionamento delle truppe. Il rapporto tra retrovie e prime linee si basava fondamentalmente sulla struttura viaria esistente, fatta di 21 “strade di presa”, una serie di strade parallele in senso nord-sud, che suddividevano la collina in settori regolari: si trattava di una rete che affondava le sue origini nel tradizionale sfruttamento del Montello come riserva boschiva per la Serenissima, ma la cui finale configurazione si era definita soltanto nel 1892 con la ripartizione stabilita dalla legge Bertolini. Coinvolta e danneggiata pesantemente dalla guerra, fu riaperta soltanto nel 1920; un progressivo smantellamento di numerose sue parti, tuttavia, condusse alla dismissione nel 1966, fatta eccezione per alcuni brevi tratti rimasti a servizio di un deposito militare e di un’industria locale e ufficialmente soppressi nel 1984.

Il progetto muove dal recupero del sedime ferroviario, riconvertito in pista ciclabile o metropolitana leggera di superficie: oltre a costituire un’infrastruttura per modalità differenti di attraversamento di quel territorio, la definizione di questa nuova spina offre l’occasione per attestare una serie di itinerari di visita del territorio, in particolare legati alla memoria della Grande guerra. Costruiti selezionando sezioni ideali che ripercorrono le vie di merci e uomini dalle retrovie alle trincee di prima linea fino al Piave, quattro nuovi itinerari di progetto raccontano le relazioni tra fronte e territorio circostante. Questi nuovi percorsi, disegnati a partire dal riutilizzo di alcuni ex caselli, stazioni e case cantoniere in posizione strategica e dalla loro trasformazione in piccoli luoghi espositivi, ma anche di ristoro e bike sharing, promuovono la creazione di una sorta di “museo diffuso” lineare, ma anche la ridefinizione di spazi adibiti alla fruizione delle comunità locali. Inoltre, a conferma di un’idea di messa a sistema delle diverse iniziative legate alle celebrazioni del Centenario della Grande guerra, essi vengono progettati in collegamento con gli itinerari turistici da poco inaugurati sul lato del fronte austriaco.

Itinerario sulle trasformazioni del paesaggio: il nuovo recinto all’area sacra della Valle dei morti.
Itinerario sulle trasformazioni del paesaggio: il nuovo recinto all’area sacra della Valle dei morti

Gli itinerari di visita sul Montello ricalcano il sedime storico delle strade che, fin dai tempi della Serenissima e dei lavori di manutenzione e gestione del territorio ottocenteschi, ne hanno costituito il sistema infrastrutturale e sono stati identificati attraverso un principio narrativo, organizzato per temi, individuando lungo il percorso piccoli luoghi strategici in grado di rendere particolarmente manifesto il tema proposto. I temi attorno a cui si condensano i quattro itinerari sono: la questione dello sguardo, dei punti di vista e delle tecniche di osservazione; le trasformazioni del territorio, sia per le distruzioni belliche, che per le pratiche agricole; il tema delle infrastrutture costruite per la guerra; infine, il tema della stratificazione del territorio, confermato dal frequente riuso di collocazioni strategiche nel corso della storia.

Itinerario delle infrastrutture di guerra: passerelle sul greto del Piave
Itinerario delle infrastrutture di guerra: passerelle sul greto del Piave.

Costruiti secondo una direzione trasversale che collega linea ferroviaria e fiume, i quattro percorsi permettono di seguire integralmente, ma secondo punti di vista ogni volta differenti, la completa articolazione del fronte italiano: una sorta di sezione ideale che incrocia i campi di battaglia, identificabili nelle vaste isole di ghiaia che caratterizzano il corso del Piave tra Vidor e Falzè, la sequenza delle principali linee fortificate concentrate soprattutto nella parte settentrionale del colle, e, oltrepassato il crinale, le zone di retrovia che costituivano una sorta di filtro complesso e caotico tra la fascia delle operazioni belliche e il territorio civile retrostante.

Itinerario delle stratificazioni della Storia: punti di vista bellici e punti di riferimento antichi
Itinerario delle stratificazioni della Storia: punti di vista bellici e punti di riferimento antichi.

Nell’intento di modificare il meno possibile i luoghi, considerando che i manufatti bellici, siano essi edifici o infrastrutture, hanno ormai perso la loro funzione, constatando molto spesso l’impossibilità di immaginare per loro una nuova funzione e riconoscendo la capacità che la loro condizione di rovina ha di evocare tragici eventi, la proposta è stata di lavorare attraverso piccoli dispositivi di avvicinamento ai luoghi che, focalizzando l’attenzione su alcuni frammenti, marcando la distanza o costruendo diaframmi, possano attivare nuovi sguardi.

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Itinerario delle stratificazioni della Storia: le rovine dell’Abbazia di Sant’Eustachio a Nervesa della Battaglia, bombardata durante la Grande guerra.
Prospettive

L’imminente ricorrenza del Centenario offre l’occasione alle amministrazioni per il “recupero e valorizzazione dei luoghi rilevanti di memoria militare e delle tracce presenti [in un] ambiente in cui la guerra ha fatto irruzione all’improvviso, sconvolgendo ordinamenti sociali e spaziali sedimentatisi in tempi lunghi e soprattutto lenti […] al fine di garantire la trasmissione della conoscenza storica alle nuove generazioni”(Regione del Veneto, 2013, p. 3).

Alcuni amministratori rivalutano oggi il ruolo di alcune infrastrutture dismesse, tentandone faticosamente il recupero a fini turistici, ma anche di nuovo sviluppo per le popolazioni locali. Nello specifico la linea ferroviaria dismessa Montebelluna-Susegana, nonostante la dismissione in atto da parecchi anni, presenta un tracciato ancora riconoscibile in molte sue parti e manufatti – ponti, stazioni, case cantoniere, binari e traversine – ancora in relativamente buono stato di conservazione. A fronte di una certa incertezza riguardo le modalità e le funzioni legate a un loro recupero, è ormai da diversi anni che la convergenza degli interessi dei comuni attraversati da questo tracciato si è fatta sempre più chiara, al punto che l’intero sedime è stato inserito nel P.T.R.C. come collegamento sovracomunale da tutelare e riconvertire ed è in atto l’accordo per verificare la fattibilità dell’acquisto delle aree per la trasformazione in percorso ciclo-pedonale. Ad un buon esempio di collaborazione e dialogo si affiancano tuttavia casi in cui la riconversione di questi tracciati infrastrutturali è via via più difficoltosa per impedimenti burocratici o inutili rivalità.

L’auspicio è che, in un momento in cui la rivalutazione e la promozione del territorio è di fondamentale importanza per il futuro di questi luoghi prevalgano logiche di collaborazione e di dialogo, capaci di attivare sinergie positive.

Bibliografia

Sui campi di battaglia. (1925-1931). Milano: Touring club italiano.

Duménil, A. (2007). I combattenti. In S. Adouin Rouzeau & J.-J. Becker (a cura di), La Prima guerra mondiale (pp. 199-216). Torino: Einaudi (Pubblicato originariamente nel 2004. Paris: Bayard. Edizione italiana a cura di A. Gibelli).

Ermacora, M. (2005). Cantieri di guerra. Bologna: Il Mulino.

Gibelli, A. (1998). La Grande guerra degli italiani. Milano: Biblioteca Universale Rizzoli.

Kipling, R. (1988). La guerra nelle montagne. (A. Pasolini Rasponi, Trad.). Firenze: Passigli. (Pubblicato originariamente nel 1917).

Regione del Veneto. (2012). Proposta di Masterplan del centenario della Grande guerra. Disponibile presso http://www.regione.veneto.it/web/cultura/
masterplan
[28 aprile 2015].

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1. A riguardo si vedano Gibelli (1998) e Duménil (2007).
2. Il numero di civili reclutati nei lavori di infrastrutturazione bellica viene stimato di poco inferiore al milione di unità. Per uno studio approfondito sul coinvolgimento dei civili nelle costruzioni delle infrastrutture belliche si veda Ermacora (2005).
3. Il Recycle Veneto Lab è l’organo di sede che l’Università Iuav di Venezia ha fondato relativamente alla partecipazione come capogruppo a un PRIN (Progetto di ricerca di interesse nazionale) dal titolo Re-Cycle Italy. La Fondazione Francesco Fabbri di Pieve di Soligo è un’istituzione dedicata allo sviluppo di programmi in ambito culturale, socio-economico e ambientale, con particolare riferimento all’osservazione delle trasformazioni in atto nel territorio veneto. Le ricerche cui si fa riferimento sono in parte quelle condotte all’interno dell’unità di ricerca Architettura, archeologia, paesaggi: teatri di guerra dell’Università Iuav di Venezia, coordinata dalla prof. Fernanda De Maio, in parte quelle raccolte all’interno di due assegni di ricerca svolti presso il medesimo istituto, responsabile scientifico prof. Alberto Ferlenga: Andrea Iorio, Riciclare paesaggi, interpretare memorie. Esperienze di riciclo strategico (2013-14) assegno parte del PRIN Re-Cycle Italy; Claudia Pirina, Turismo sostenibile, comunicazione e valorizzazione del territorio, progettazione e gestione di offerte turistiche tematizzate su temi storici e culturali e del relativo marketing territoriale (2014-15), assegno finanziato dal Fondo Sociale Europeo e che prevedeva il partenariato con PR Consulting di Padova, azienda dedicata alla promozione di attività turistiche.