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Recycle. La sfida nel settore delle costruzioni

A cura dell’Osservatorio Recycle di Legambiente
Il contributo riproduce integralmente il primo rapporto pubblicato dall’osservatorio Recycle – La sfida nel settore delle costruzioni, organismo istituito nel 2015 da Legambiente con l’intento di approfondire e promuovere la ricerca attualmente in corso nel campo della lavorazione e dell’implementazione di materiali riciclati.

L’Italia ha la possibilità di aprire una nuova pagina nel settore delle costruzioni, che riguarda in particolare gli impatti che produce nei territori. Ridurre il prelievo di materiali e l’impatto delle cave nei confronti del paesaggio è una questione importante nel nostro Paese, perché sono tante le ferite gravissime ancora aperte nei territori. Oggi è possibile dare risposta a questi problemi: lo dimostrano i tanti Paesi dove ormai da anni si sta riducendo la quantità di materiali estratti con una forte spinta al riutilizzo di rifiuti aggregati e inerti provenienti dal recupero, oltre che con regole di tutela del paesaggio e gestione delle attività. In Italia esistono oggi circa 2.500 cave da inerti, e almeno altre 15.000 abbandonate, di cui oltre la metà sono ex cave di sabbia e ghiaia. Cambiare questa situazione, aprendo un filone di green economy che produca ricerca, innovazione e posti di lavoro, è nell’interesse del sistema delle imprese e dell’ambiente.

L’obiettivo dell’Osservatorio Recycle, promosso da Legambiente, è di raccontare e approfondire l’innovazione già in corso nel settore della produzione di aggregati riciclati. Un processo che oggi è spinto anche dalla Direttiva 2008/98/CE che prevede che nel 2020 si raggiunga un obiettivo pari al 70% del riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione. Un punto va sottolineato con attenzione: oggi non esistono più motivi tecnici, prestazionali o economici per non utilizzare materiali provenienti da riciclo nelle costruzioni. Le esperienze raccontate in questo Rapporto descrivono cantieri e capitolati dove queste innovazioni sono già state portate avanti. E dimostrano come, se si fa riferimento a norme codificate basate sulle prestazioni, i materiali da riciclo e recupero di aggregati risultino assolutamente competitivi sul piano sia tecnico che economico.

Dov’è il problema?

Se in teoria oggi non esistono impedimenti tecnici o motivazioni di natura normativa che ne impedirebbero l’utilizzo, in realtà la diffusione di materiali provenienti dal recupero ha di fronte forti ostacoli in Italia.

Il primo problema riguarda i cantieri dei lavori pubblici e privati, dove spesso i capitolati sono una barriera insormontabile per gli aggregati riciclati. In molti capitolati è previsto l’obbligo di utilizzo di alcune categorie di materiali e di fatto ne è impedita l’applicazione per quelli provenienti dal riciclo. Per fare chiarezza su questa situazione, nel Rapporto sono descritti alcuni esempi pratici che dimostrano l’efficacia degli aggregati riciclati e degli asfalti derivati dal riutilizzo di pneumatici usati. Tra i lavori stradali e quelli edilizi è chiaro come ormai si possa intervenire con l’utilizzo di questi materiali in situazioni molto diverse fra loro (dal Palaghiaccio di Torino al nuovo Molo del Porto di La Spezia, dal Passante di Mestre all’Aeroporto di Malpensa). La Provincia di Trento è uno dei migliori esempi in Italia vista la pubblicazione di un capitolato tecnico per l’uso dei riciclati nei lavori di manutenzione pubblica, con le schede prodotto e l’elenco prezzi, destinato proprio a promuovere tra gli addetti ai lavori questo tipo di materiali. Per cambiare questa prospettiva serve che le stazioni appaltanti, pubbliche e private, e a tutti i livelli cambino i propri capitolati per impedire queste discriminazioni. In questa direzione vanno le proposte che abbiamo presentato con il capitolato speciale d’appalto Recycle, elaborato da Legambiente in collaborazione con Atecap, Eco.Men ed Ecopneus, che si pone l’obiettivo di stimolare le stazioni appaltanti a intraprendere la strada già fissata dall’Europa. L’obiettivo è di contribuire attraverso questo strumento a “calarsi” nei diversi capitolati esistenti (sono centinaia, e impossibili da sostituire con un capitolato unico) per introdurre i corretti e aggiornati riferimenti normativi che permettono di superare le barriere e le discriminazioni oggi esistenti. I capitolati rappresentano uno snodo fondamentale per fare chiarezza in particolare nell’utilizzo, nelle garanzie e nelle prestazioni degli aggregati riciclati e superare quella diffidenza da parte dei direttori dei lavori legata alla paura delle responsabilità amministrative e penali derivanti da un eventuale uso improprio dei materiali.

Il secondo problema riguarda lo scenario che la Direttiva 2008/98/CE dovrebbe aprire nel nostro Paese. Perché questo processo vada avanti servono infatti riferimenti chiari per accompagnare la crescita nell’uso dei materiali fino al target del 70% previsto al 2020. La Direttiva indica con chiarezza la necessità di accompagnare attraverso specifici provvedimenti questi processi e sono previsti decreti attuativi dallo stesso Decreto Legislativo 205/2010 che l’ha recepita nel nostro ordinamento. L’articolo 11 della Direttiva prevede che si adottino “criteri in materia di appalti” per favorire il riutilizzo. Il DL di recepimento prevede che questi criteri siano definiti attraverso Decreti Attuativi approvati dai Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico (Art. 6 del Dlgs 205/2010). Inoltre la Direttiva prevede all’articolo 29 che gli Stati possano stabilire dei propri traguardi intermedi, proprio per monitorare lo sviluppo della situazione al 2020.

Il rischio che non dobbiamo correre è che l’applicazione di questa direttiva risulti un’occasione sprecata, come avvenuto con l’applicazione del DM 203/2003 che già prevedeva per le società a prevalente capitale pubblico di coprire con il 30% del fabbisogno di manufatti e beni attraverso materiali riciclati. Come raccontano le risposte avute da alcune grandi stazioni appaltanti che si trova in fondo a questo rapporto, è diffusa la non applicazione di questi obiettivi per mancanza di corrette informazioni sui prodotti riciclati, per pigrizia o per interessi stratificati nel tempo intorno alla gestione dei materiali di cava e alla gestione di cantieri dove si fa largo uso di acqua, prodotti petroliferi. Per questo serve che il Governo intervenga per dare forza a questo percorso di cambiamento.

I vantaggi che questo tipo di prospettiva aprirebbe sono infatti rilevanti. In primo luogo in termini di lavoro e attività imprenditoriali, perché le esperienze europee dimostrano che aumentano sia l’occupazione che il numero delle imprese attraverso la nascita di filiere specializzate. In secondo luogo, nella riduzione del prelievo da cava. Perché arrivando al 70% di riciclo di materiali di recupero si genererebbero oltre 23 milioni di tonnellate di materiali che permetterebbero di chiudere almeno 100 cave di sabbia e ghiaia per un anno. Infine, da un punto di vista della riduzione di emissioni di gas serra. Perché aumentando la quantità di pneumatici fuori uso recuperati e utilizzati fino a raddoppiarla al 2020, diventerebbe possibile riasfaltare 26.000 km di strade. Il risparmio energetico ottenuto, considerando che non si userebbero più materiali derivati dal petrolio, sarebbe di oltre 400.000 MWh. Ossia il consumo in più di due anni di una città come Reggio Emilia, con un taglio alle emissioni di CO2 pari a 225.000 tonnellate.

Le scelte per spingere la green economy nel settore delle costruzioni

1. Cambiare i capitolati fissando obiettivi prestazionali.

Da Anas alle concessionarie autostradali, da RFI a Terna, fino alle stazioni appaltanti comunali, occorre che siano rivisti tutti i capitolati che ancora fissano barriere per l’utilizzo di materiali riciclati. I capitolati rappresentano infatti uno snodo fondamentale per fare chiarezza nell’utilizzo, nelle garanzie e nelle prestazioni degli aggregati riciclati e per superare la diffidenza da parte dei direttori dei lavori legata alla paura delle responsabilità amministrative e penali derivanti da un eventuale uso improprio dei materiali.

La responsabilità è in capo alle Stazioni appaltanti ma anche ai Ministeri delle Infrastrutture e dell’Ambiente perché siano introdotti quei chiarimenti previsti dalle Direttive europee.

2. Attuare la Direttiva Europea introducendo obblighi crescenti di utilizzo di aggregati riciclati

I Ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture devono dare seguito a quanto previsto dalle Direttive europee, in termini di chiarimenti normativi e di obblighi crescenti nei capitolati di utilizzo degli aggregati/materiali di recupero minimo e crescente fino al 70% già previsto al 2020. In questo modo si possono costruire le condizioni per raggiungere gli obiettivi europei prefissati. Questo obiettivo deve interessare non solamente gli Enti pubblici e le società a prevalente capitale pubblico, come previsto attualmente per il solo 30% dei materiali, dal Decreto Ministero dell’Ambiente 203/2003, ma tutte le opere senza distinzione. Inoltre nei bandi di gara si deve prevedere che a parità di altre condizioni debba preferirsi l’offerta che proponga la più alta percentuale di impiego dei materiali riciclati o comunque non di origine naturale.

A dimostrare come questo cambiamento sia possibile, lo dimostra l’esempio della Provincia di Trento. La Legge Provinciale n. 10 del 2004 ha introdotto l’obbligatorietà di acquistare prodotti in materiale riciclato per almeno il 30% del fabbisogno. I requisiti ambientali chiesti alle imprese sono stati poi definiti dalle norme tecniche e ambientali per gli aggregati riciclati (D.G.P. 1333/2011) ed hanno interessato tutte le fasi (programmazione e progettazione, realizzazione e manutenzione) con la stessa Provincia di Trento che in qualità di soggetto acquirente dà ormai costantemente il suo contributo allo sviluppo del mercato degli aggregati riciclati.

Il cambiamento di cui abbiamo bisogno è infatti innanzi tutto culturale, riguarda progettisti, imprese, enti pubblici. Per questo ha bisogno di una chiara visione del futuro, come quello disegnato dall’Europa, e poi di una attenta azione di informazione e di formazione, oltre che di riferimenti operativi in grado di fornire indicazioni chiare e precise sulle caratteristiche che i materiali di recupero devono avere per essere utilizzati nell’ambito delle costruzioni. In tale contesto ben si inserisce l’esempio che la Regione Veneto ha dato con propria deliberazione n. 1060 del 24/06/2014; delibera che, per ogni materiale recuperato ai sensi del D.M. 5/2/98 ed utilizzabile nel settore delle costruzioni, ha definito per ogni possibile impiego previsto dal DM tutti i puntuali riferimenti normativi UNI-EN applicabili.

Abbiamo davvero la possibilità di far crescere una moderna filiera delle costruzioni in cui siano le stesse imprese edili a gestire il processo di demolizione selettiva degli inerti provenienti dalle costruzioni in modo da riciclarli invece che conferirli in discarica. Governo e Regioni devono aiutare questo processo con leggi che obblighino a utilizzare una quota di inerti provenienti dal recupero in tutti gli appalti pubblici. Le quantità più rilevanti di materiali estratti ogni anno in Italia sono utilizzate per l’edilizia e le infrastrutture, oltre il 62,5% di quanto viene cavato sono inerti, principalmente ghiaia e sabbia. Serve una spinta rapida se si considera che ogni anno vengono prodotte quasi 40 milioni di tonnellate di rifiuti inerti e che la capacità di recupero sfiora a mala pena il 10%, anche se con differenze significative tra Regione e Regione. L’Italia, attraverso queste scelte, può recuperare il ritardo nei confronti degli altri Stati europei che già da tempo hanno introdotto politiche di riciclo che coinvolgono questa particolare categoria di rifiuti: l’Olanda con il 90% dei materiali recuperati è la nazione più virtuosa, seguita da Belgio (87%) e Germania (86,3%). Esistono tra l’altro esempi importanti e positivi anche nel nostro Paese come dimostra ciò che avviene in Veneto, dove si producono in media oltre 5.500.000 di tonnellate all’anno di rifiuti da C&D, di cui più dell’ 80% vengono avviati a recupero e utilizzato anche in infrastrutture stradali.

Le buone pratiche

1. Asfalti in Val Venosta (BZ)

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In Italia, in 27 Province ci sono già circa 250 km di strade con asfalti con gomma riciclata, una tecnologia che ha il suo punto di forza nel dimezzamento del rumore del traffico al quale vanno aggiunte una vita media tre volte superiore agli asfalti “tradizionali” e la maggiore resistenza a crepe e fessurazioni, con una minore necessità di interventi di manutenzione. Questo si traduce in meno cantieri per la città e meno costi per la Pubblica Amministrazione, avendo al contempo una pavimentazione di ottimo livello e ambientalmente sostenibile. In particolare sono particolarmente positivi i risultati del monitoraggio effettuato sul tratto stradale in Val Venosta, tra Coldrano e Vezzano, realizzato con asfalti modificati con gomma riciclata da Pneumatici Fuori Uso (PFU). L’asfalto prodotto con polverino di gomma è risultato in grado di ridurre il rumore causato dal rotolamento degli pneumatici fino a 5 db. La riduzione del rumore rende inoltre questi asfalti una valida alternativa all’utilizzo delle barriere acustiche su strade ad alta percorrenza. Anche il rapporto tra i costi di realizzazione e manutenzione delle barriere sonore e la posa di asfalti “modificati” è favorevole a quest’ultima soluzione.

2. Circonvallazione di Venaria e Borgaro (TO)

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Anche in Provincia di Torino è stato sperimentato l’utilizzo del polverino di gomma per la realizzazione del manto stradale, in particolare per la pavimentazione della strada Borgaro – Venaria. Nell’ambito dei lavori per la realizzazione della circonvallazione di Venaria e Borgaro è stato asfaltato un tratto di 1.200 m con conglomerato bituminoso contenente polverino di gomma da pneumatici fuori uso. Si tratta della più grande opera pubblica che la Provincia di Torino abbia mai realizzato. La superficie coperta è di circa 16.000 m2. Per ricoprire con il conglomerato bituminoso 1 km di strada si utilizza (miscelandolo con altri materiali) il polverino proveniente dal riciclo della gomma di 2.000 pneumatici di autovetture (o di 1.400 pneumatici di autocarri).

3. Passante di Mestre (VE)

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Una delle infrastrutture più importanti realizzate dal recupero di rifiuti di lavorazioni industriali e di materiali da demolizione e costruzione è il Passante di Mestre. L’utilizzo di Econcrete ha garantito un risparmio di materiale naturale del 71%, una riduzione delle deformazioni del materiale sottoposto a sollecitazioni veicolari variabile dal 10 al 37%, un aumento della vita utile della strada pari a 88% e un sensibile abbattimento dei costi complessivi dell’opera. I dati che riguardano il Passante di Mestre parlano chiaro: il calcolo del volume del materiale da cava risparmiato è di circa 320.000 m3, corrispondente alla produzione annuale di una cava di medie dimensioni. Ad affiancarsi a questo già enorme beneficio ambientale ci sono i viaggi di camion per il trasporto del materiale che sono stati quindi evitati, circa 40.000, come se per un intero giorno non circolasse nel Passante di Mestre alcun mezzo e di conseguenza un deciso risparmio di emissioni di CO2 ottenuto dalla minor quantità di energia elettrica per l’estrazione e la lavorazione di materiale inerte, dal minor utilizzo di conglomerato bituminoso e dal minor numero di viaggi di trasporto effettuati, e che corrisponde a circa 11.400 tonnellate di CO2.

4. Variante di Canali (RE)

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Il progetto nasce con lo scopo di deviare parte del traffico dalla cintura urbana, verso l’imbocco della A1. A seguito di una prima stesura del progetto con criteri tradizionali, è stata realizzata una variante progettuale tesa a ridurre l’impatto ambientale non solo relativamente alla scelta del tracciato ed alla sua integrazione nel contesto, ma anche nella scelta di materiali e tecnologie che riducessero significativamente il ricorso a cave di prestito, legante a caldo e  tecnologie a freddo adottando modalità costruttive e processi operativi sostenibili. Si tratta della costruzione di un semi-anello di 3 km di sviluppo per una sezione trasversale media di 10,5 m per una superficie di 31.500 m2 in totale. Il progetto originale prevedeva conglomerati a caldo per uno spessore medio di 25 cm con una richiesta di inerti vergini per oltre 18mila tonnellate. Grazie alla variante di progetto il materiale vergine necessario è stato di 5.071 tonnellate, con un risparmio di oltre 13.000 tonnellate. La base bitumata è stata realizzata con inerti interamente di riciclo (fresato stradale) legati a freddo con emulsioni bituminose per riciclaggio alla temperatura di 60-70°C senza emissione di fumi e realizzazione in situ. Inoltre il risparmio energetico nella fase di realizzazione è stato quantificato in 40.839 kWh grazie alla variante adottata in termini di riduzione degli spessori, lavorazioni a freddo, minori trasporti. Di conseguenza anche la CO2 non emessa è stata notevole: 23.687 kg. A questi dati vanno aggiunti
quelli del risparmio
energetico e della CO2
 evitata grazie all’aumento della 
vita utile previsto, e valutati 
rispettivamente in 28.620 kWh e 16.600 kg
. A 6 anni dall’entrata in esercizio della pavimentazione non sono presenti deformazioni di sagoma, né interventi manutentivi di alcun tipo. Inoltre la minore emissione di rumore da rotolamento è quantificabile in 2 db rispetto ad una pavimentazione realizzata nello stesso periodo e presa a riferimento. Anche gli spazi di frenata necessari risultano inferiori di circa il 20% rispetto alla pavimentazione di riferimento.

5. Merano (BZ)

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A Merano sono stati realizzati numerosi lavori di riqualificazione della pavimentazione stradale esistente nell’ambito dei piani di risanamento acustico della Provincia per un totale di 30.000 metri quadrati. L’impatto della rumorosità da traffico sull’ambiente e le abitazioni circostanti era rilevante, ed in alcuni casi si sono rilevati livelli di incidenza del rumore superiori ai minimi di legge anche nelle ore notturne. L’intervento è stato scelto dalla Provincia di Bolzano, in alternativa alle previste barriere anti- rumore di 3 m di altezza rivelatesi troppo costose, impattanti sull’ambiente circostante e fonte di potenziale pericolosità considerata la presenza di incroci a raso sui quali avrebbero limitato la visibilità. Il costo delle barriere acustiche (per una vita utile prevista in 30 anni) era di 60 euro/anno mentre il costo della pavimentazione Asphalt Rubber di tipo GAP nei 30 anni presi a riferimento, considerato il rifacimento ogni 5 anni per garantire nel periodo in esame l’abbattimento del rumore generato dal traffico veicolare di almeno 3 db rispetto ad una pavimentazione tradizionale, è di 35 euro/anno. Si tratta di un risparmio di 125.000 euro. La pavimentazione allo stato attuale non presenta deformazioni né interventi manutentivi.

6. Autostrada dei Parchi (A24 Roma – Teramo)

Bilder f¸r Wikipedia

Nel caso della A24 i lavori hanno previsto una pavimentazione sperimentale per testare le prestazioni fisico-meccaniche, di emissione di rumore da rotolamento generato dal traffico e la riduzione degli spazi di frenata, in ambito autostradale. La superficie complessiva interessata è stata di 47mila metri quadrati con un conglomerato di tipo OPEN (semi drenante e fonoassorbente). L’esecuzione dei due tratti sperimentali ha confermato le caratteristiche proprie di questo tipo di pavimentazioni, assicurando un abbattimento del rumore da rotolamento di oltre 3 db e la riduzione degli spazi di arresto anche in condizioni di bagnato di circa il 25% rispetto ad una pavimentazione tradizionale coeva. Allo stato attuale la pavimentazione non presenta difettosità di sagoma né ha richiesto interventi manutentivi.

7. Autostrada del Brennero (A22 Modena – Passo del Brennero)

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L’intervento effettuato nei pressi di Rolo (RE) ha riguardato circa 8.000 m2. La tecnologia impiegata in questo caso è DRY, con un conglomerato di granulometria 0/14 mm., realizzato con bitume modificato con polimeri SBS e additivi per la riduzione delle temperature di produzione e stesa, non superiori a 165 °C e 150 °C rispettivamente ed aggiunta di polverino di gomma da PFU di granulometria 0/4 dmm a fine processo di muscolazione. La pavimentazione sperimentale a bassa temperatura ha dimostrato di mantenere le caratteristiche tipiche di capacità drenante associando a queste ultime una buona riduzione del rumore generato dal rotolamento da traffico veicolare (-2db rispetto ad una pavimentazione tradizionale coeva) ed una riduzione degli spazi di arresto stimata del 25%. La posa del conglomerato è avvenuta a temperatura non superiore a 150 °C con effetti benefici in ordine alla ridotta emissione di fumi ed emissioni di cattivi odori tipiche di soluzioni di applicazione a temperature standard (superiori di 30/40 °C). Allo stato attuale la pavimentazione non presenta difettosità di sagoma né ha richiesto interventi manutentivi.

8. Interporto di Fiumicino (RM)

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Un’altra infrastruttura di notevole estensione e che ha visto l’utilizzo di materiali riciclati è la Piattaforma logistica dell’interporto di Fiumicino. Nel 2009 infatti sono stati realizzati i capannoni, le strade e le aree di sosta per un totale di 330.000 m2 di superficie con l’ impiego di aggregati riciclati per 50.000 m3.

9. Aeroporto Malpensa (MI)

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Simile realizzazione è quella del completamento e dell’ampliamento delle vie di rullaggio e dei piazzali di sosta dell’Aeroporto di Malpensa, che ha visto un impiego addirittura di 120.000 m3 di aggregati riciclati.

10. Ampliamento Molo Garibaldi (Porto di La Spezia)

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Uno degli utilizzi di aggregati riciclati in campo portuale riguarda i riempimenti a mare , come nel caso dell’ampliamento del molo nel Porto di La Spezia. Essendo reperibili in zona aggregati C&D è stata considerata nello specifico tale opzione tenuto conto sia della difficoltà di reperire inerti naturali che del volume di materiale da porre in opera, di oltre 130.000 m3. L’abbinamento della tecnica della vibroflottazione (una tecnica di miglioramento delle caratteristiche geotecniche del terreno di fondazione, che consiste nell’addensamento del terreno stesso, sia esso di tipo granulare che coesivo, con conseguente riduzione dell’indice dei vuoti, e miglioramento della sua resistenza al taglio) con l’impiego di materiale proveniente da attività di demolizione e l’entità del volume di riempimento trattato inseriscono l’intervento in oggetto nel novero delle applicazioni più significative di compattazione profonda realizzate recentemente in Italia.

11. Palaghiaccio di Torino

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Anche il Palaghiaccio di Torino, opera costruita nell’ambito delle realizzazioni olimpiche per Torino 2006, rappresenta un interessante esempio di applicazione di materiali riciclati. In particolare l’aggregato riciclato è stato utilizzato per la realizzazione di tutto il sottofondo sia interno che esterno alla struttura. L’opera ha visto l’impiego di 20.000 m3 di aggregati riciclati.

Le normative e i bandi

1. Legge Regione Toscana – Obbligo di utilizzo del 15% di aggregati riciclati gia’ nel 1998

Azione fondamentale è quella legata al cambiare le norme vigenti andando verso un sistema di obbligatorietà dell’uso di materiali riciclati. La Regione Toscana già nel 1998 fece suo un provvedimento destinato a favorire l’uso di materiali recuperabili per la realizzazione di opere pubbliche di interesse pubblico, finanziate dalla Regione. La Legge ha previsto che nel caso di opere realizzate dalla Regione o da enti da essa dipendenti, i bandi di gara devono prescrivere obbligatoriamente l’impiego di una percentuale minima di materiali, stabilita nel 15%, provenienti da recupero/riciclo di rifiuti e stabiliscono un sistema di incentivi che premino l’utilizzo di una percentuale superiore a quella minima suddetta.

2. Legge Provincia Trento – Acquisti pubblici verdi anche sui materiali inerti (30%)

Altra realtà che pone da tempo attenzione a questo tema è la Provincia Autonoma di Trento dove è stato implementato un capitolato tecnico per l’uso dei riciclati nei lavori di manutenzione pubblica, con le schede prodotto e l’elenco prezzi, il Piano di smaltimento dei rifiuti inerti, nel quale è stata data priorità al riciclo e recupero, e le linee guida per il corretto trattamento e recupero di tali rifiuti. Tutti questi documenti sono stati elaborati considerando l’intera filiera del riciclo, dai produttori agli utilizzatori. La Provincia ha inoltre reso obbligatori con una delibera del 2010 gli acquisti verdi includendo appunto anche gli aggregati riciclati, per almeno il 30% del totale. Tutto ciò in una visione ispirata agli orientamenti comunitari ed a ciò che le Direttive Europee già richiedono.

3. Legge Provincia Lecce – Obblico di riciclo al 70% degli inerti stradali

La Giunta Provinciale di Lecce ha dato indirizzo agli uffici tecnici di prevedere il recupero e il riutilizzo del materiale inerte dalla demolizione di sovrastrutture stradali, superando così i livelli italiani per mettersi al passo dell’Europa. È infatti noto che l’inerte presente all’interno dei conglomerati bituminosi di cui sono piene le strade provinciali, essendo totalmente privo di catrame, ha caratteristiche tali da consentire il re- impiego nella formazione di miscele di aggregati destinati ad essere nuovamente utilizzati nel settore. Questa pratica comporterà un notevole risparmio nell’attività della estrazione dei materiali dalle cave e un immediato risparmio ambientale, oltre che un miglioramento della stessa qualità del nostro territorio, risparmiato da continue estrazioni. L’ente, già da qualche tempo, aveva avviato la sperimentazione di alcuni appalti che hanno seguito questa logica, prevedendo il riutilizzo degli inerti per percentuali sempre più alte, come nel caso della strada Nardò–Avetrana, ma ora si muoverà in questa direzione uniformemente, per tutti i suoi progetti e cantieri.

4. Capitolato Provincia Pisa – Canale scolmatore dell’Arno

Un esempio importante di come un Capitolato Speciale d’Appalto possa incentivare e supportare il mercato del riciclo dei materiali da costruzione è quello della Provincia di Pisa realizzato per l’adeguamento idraulico del canale scolmatore dell’Arno. I lavori (che dovranno concludersi nel 2016) riguardano la costruzione di due moli foranei, aggettanti verso mare per circa 550 metri, che costituiranno la “foce armata” del Canale Scolmatore necessaria a prevenire i fenomeni di insabbiamento dello sbocco a mare che in passato ne hanno limitato l’efficienza idraulica. L’area d’intervento è ubicata in corrispondenza dello sbocco a mare del Canale Scomaltore d’Arno che costituisce il naturale confine tra i Comuni di Pisa e Livorno. All’interno del CSA si richiama, e se ne fa obbligo di attuazione, il decreto del ministero dell’ambiente 8 maggio 2003, n. 203 che prevede l’utilizzo di almeno il 30% di materiali riciclati.

5. Capitolato Genova – Strada locale (via San Biagio)

Stessa situazione si presenta nel caso del Capitolato Speciale d’Appalto per l’adeguamento di via San Biagio a Genova. Vengono infatti richiamate le disposizioni del D.M. 8 maggio 2003, n. 203 per coprire il fabbisogno di materiali con una misura non inferiore al 30% del fabbisogno medesimo tramite aggregati riciclati. Inoltre per quest’opera vengono anche richiamati gli obblighi previsti dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 per il recupero e riutilizzo delle terre e rocce da scavo (sostituito poi dal D.Lgs. 205/2010).

6. Capitolato Odolo (BS) – Riqualificazione ambientale torrente Vrenda

Ancora un altro esempio viene dal CSA del Comune di Odolo, provincia di Brescia, per la riqualificazione ambientale del Torrente Vrenda. Qui viene specificato che i materiali occorrenti per la costruzione delle opere devono risultare in ottemperanza al D.M. 203/2003 dove appunto si prescrive l’utilizzo di materiali riciclati nella misura complessiva del 30% del fabbisogno dell’opera da realizzare.

7. Capitolato S. Giovanni in Fiore (CS) – Due fabbricati di edilizia residenziale pubblica

Infine interessante anche il caso del CSA di San Giovanni in Fiore, dove le opere in oggetto riguardano due fabbricati di edilizia residenziale popolare, la realizzazione di garage, la sistemazione del verde pubblico e la ristrutturazione del Centro Anziani Comunale. Anche qui viene richiamato l’obbligo del 30% di aggregati riciclati presente nel D.M. 8 maggio 2003, n. 203, e le norme riguardanti le terre e rocce da scavo contenute nel D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e sostituito dal D.Lgs. n. 205/2010. Vengono inoltre stabiliti i limiti di impiego degli aggregati grossi provenienti da riciclo a seconda dell’origine degli stessi. Per le demolizioni di edifici (macerie) fino al 100%, per le demolizioni di solo calcestruzzo e calcestruzzo armato di classe C30/37 minore del 30%, per quelli di classe C20/25 fino al 60%.

8. Roma capitale – Riempimento di buche con aggregati riciclati

Un esempio su come aiutare il settore degli inerti riciclati viene dalla decisione, presa nel Dicembre 2014, dell’Amministrazione Comunale e dell’Assessorato ai Lavori Pubblici di Roma Capitale di indire due gare per il riempimento delle buche delle strade con l’utilizzo esclusivo di prodotti provenienti dal riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione in sostituzione dei materiali inerti ottenuti da attività estrattive. Per gli interventi verrà impiegata una miscela cementizia a bassa resistenza confezionata con prodotti inerti riciclati; secondo uno studio elaborato dall’Università Sapienza di Roma l’uso di tale miscela cementizia consentirà al Comune un risparmio economico superiore al 20% rispetto all’utilizzo dei prodotti di cava, senza contare i connessi vantaggi ambientali.

Le risposte dei grandi cantieri

Per capire il modo in cui le stazioni appaltanti stanno affrontando il tema dell’utilizzo degli aggregati riciclati, Legambiente negli scorsi anni ha chiesto se venissero utilizzati questi materiali in alcuni grandi cantieri italiani, quali il cantiere del nuovo palazzo dei Congressi a Roma, le varianti sulla SS 14 Triestina e l’Autostrada Catania-Siracusa di ANAS, la nuova Stazione di Bologna Centrale per Grandi Stazioni. Le risposte ricevute sono diverse, ma tutte uguali nelle conclusioni: mancanza di conoscenza della qualità degli aggregati riciclati e poche informazioni sul reperimento dei materiali stessi sono tra le principali cause, ma anche scelte progettuali e quelle da parte delle Direzioni Lavori hanno influenzato l’esito finale.

Proprio le risposte ricevute confermano quanto sia urgente e importante fare chiarezza attraverso obiettivi, regole e sistemi di controllo.

ANAS s.p.a.

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Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane

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EUR s.p.a.

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Infrastrutture della memoria.

Di Andrea Iorio e Claudia Pirina
L’approssimarsi della ricorrenza del Centenario della Grande guerra costituisce un appuntamento decisamente importante per la molteplicità di interessi coinvolti, ma che pone una serie di questioni legate al rapporto tra trasmissione della memoria, ancora molto vivida, e le dinamiche di trasformazione del territorio, che al contrario hanno visto la progressiva dismissione di molti dei segni lasciati dall’evento storico e il loro versare in una condizione di fragile e muta quiescenza. L’ipotesi sviluppata è quella di intersecare nuove o diverse modalità di fruizione del territorio, in parte già presenti, come quelle legate al turismo o all’escursionismo sportivo, con sistemi di visita costruiti attraverso il recupero di manufatti infrastrutturali di origine bellica. Le infrastrutture di guerra, in quest’ottica, costituiscono al contempo oggetto di nuovi itinerari di visita e strumento per condurla attraverso le stratificazioni del paesaggio.

Scendemmo per una montagna frantumata di macerie, dalla cima alle falde, ma che conservava ancora, come rughe sulla fronte, le sagome di trincee che avevano seguito i suoi contorni.

(Rudyard Kipling, La guerra nelle montagne. Impressioni del fronte italiano, 1917)

Nella notte tra il 23 e il 24 maggio si celebrerà il centenario dell’ingresso in guerra dell’Italia. Da qualche anno le Regioni che furono coinvolte nel conflitto si interrogano sulla necessità di commemorare l’evento, ma soprattutto sulla qualità delle possibili iniziative culturali. Se da un lato si definisce con chiarezza il carattere retorico delle celebrazioni ufficiali, dall’altro ci sembra sempre più evidente la necessità di rileggere quegli eventi in chiave differente. La Grande guerra ha profondamente influito per dimensioni fisiche, economiche, sociali e culturali sui luoghi teatro delle battaglie ed è stata al contempo momento di costruzione dell’intero territorio circostante. Il paesaggio di oggi contiene al proprio interno frammenti di una vicenda che nonostante abbia costituito per i luoghi solamente un brevissimo spazio temporale, ha lasciato impresse impronte e memorie. Queste tracce si confondono oggi con la geografia, e i segni parzialmente cancellati dal tempo risultano spesso difficili da leggere e interpretare perché privati di quelle relazioni che costituivano il senso della loro collocazione. È interessante quindi riflettere sul ruolo che queste rovine possono ricoprire nella conformazione futura del paesaggio e al contempo sulla possibile costruzione di una rete di rapporti a distanza che permetta di mettere in relazione i luoghi con gli eventi che vi si sono svolti.

Grande guerra e piani per il centenario: il caso Veneto

L’approssimarsi del centenario della Grande guerra offre l’occasione per riattivare l’attenzione sui territori coinvolti, ma è importante riflettere su quali possano essere gli strumenti e le azioni in grado di rimettere in circolo le memorie. Il rischio del proliferare di eventi e attività non strutturate o controllate o ancora tra loro simili sembra chiaro alle amministrazioni locali e alle strutture statali che hanno predisposto apposite strutture nel tentativo di mettere ordine e di selezionare. Non sempre le buone intenzioni hanno prodotto risultati soddisfacenti e in taluni casi il ritardo sulla programmazione rischia di non centrare gli obiettivi prefissati. Da un lato la struttura di Missione statale, attraverso l’emanazione di alcuni bandi dovrebbe mettere a disposizione i fondi stanziati, dall’altro le singole Regioni hanno ricevuto un certo grado di autonomia grazie allo stanziamento di fondi appositi.

In molti casi la speciale condizione di ricorrenza di quegli eventi ha permesso di predisporre la sistemazione e messa in sicurezza di numerosi manufatti bellici, da trincee a forti, ma questo cumulo di frammenti – seppur riqualificati – non rendono spesso riconoscibile o rintracciabile l’aspetto originario dei luoghi e il loro significato più profondo. Al contempo la comprensibile scelta di sfruttare l’occasione favorendo le piccole comunità locali e le associazioni in questa particolare congiuntura economica non sempre è in grado di garantire profondità di contenuti; d’altro lato le ricerche scientifiche sono spesso lontane dalle realtà locali e dal favore di un pubblico non specializzato al quale in generale si intende rivolgersi.

La macchina bellica investì a diverso titolo molteplici regioni, sia dal punto di vista dell’intensificazione dello sforzo produttivo che, in un momento di profonda crisi economica quale quello appena precedente il conflitto, garantì lo sviluppo di numerose aziende, sia dal punto di vista dello spostamento di enormi masse di popolazione che andarono a formare non solo l’esercito, ma anche la grande schiera degli “operai borghesi”. Territori scarsamente popolati e quasi per nulla infrastrutturati in pochissimi anni necessitarono di ingenti sforzi per adeguare i luoghi alle mutate necessità di trasporto di uomini, merci, artiglierie, ecc. e “in breve tempo ‘costruire’ e alimentare il fronte divenne un’importante attività che movimentava ingenti risorse finanziarie, materiali e umane” (Ermacora, 2005, p. 8). Se da un lato l’intera nazione venne coinvolta dal conflitto, dall’altro furono Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia che offrirono i propri territori come teatro per sanguinose battaglie e proprio queste tre sono le regioni che, secondo modalità e tempistiche differenti, si preparano alla celebrazione degli eventi.

Il Comitato esecutivo per le celebrazioni del centenario della Grande guerra del Veneto nel 2013 ha predisposto un documento programmatico, il Masterplan centenario Grande guerra del Veneto, per la “realizzazione del Museo diffuso della Grande guerra in Veneto” con l’intento di “raccontare i segni” che la guerra ha lasciato, “i vuoti che ha generato” e “le ricostruzioni che sono sopravvenute, aggiungendo uno strato in più al testo paesaggistico” (Regione del Veneto, 2013, p. 3). Le linee guida contenute all’interno del Masterplan costituiscono la base per la selezione dei progetti ai quali assegnare fondi nei prossimi anni. Sapere scientifico e saperi locali dovrebbero convergere a formalizzare proposte appetibili per lo più al turista, ma la pluralità di interlocutori a cui rivolgere l’attenzione non rende sempre facile il compito: studenti, turisti in genere, turisti “di guerra”, ricercatori, …

Le infrastrutture di guerra: un tema di ricerca e un punto di vista

Provando a considerare le trasformazioni che la Grande guerra ha lasciato impresse sul suolo, in particolare nel territorio veneto, oltre ai resti di strutture di fortificazione – trincee, bunker, caverne – e oltre alle vaste distruzioni, l’eredità probabilmente più consistente per estensione fisica e per durata del suo utilizzo nel tempo è costituita da una vasta rete di linee infrastrutturali, che hanno profondamente e per sempre modificato le dinamiche di attraversamento e di fruizione del territorio. Tale trasformazione vide la sua origine nella grande quantità di materiali di generi diversi che vennero movimentati negli anni precedenti e durante il conflitto. Tonnellate di calcestruzzo, ferro e legno servirono a costruire forti, baraccamenti, strutture di comando e sanitarie: opere spesso particolarmente difficili da realizzare, che soltanto in parte furono completate, in una corsa contro il tempo, a pochi mesi dall’ingresso in guerra e che in grande parte vennero invece costruite durante lo svolgimento dei combattimenti, secondo le evoluzioni degli assetti e delle tattiche. Lunghi treni trasportavano con ritmo serrato i soldati al fronte, per dare il cambio alle prime linee o più spesso per reintegrare i morti, ma anche per spostare le truppe tra i diversi settori, arrivando a due milioni e mezzo di soldati mobilitati contemporaneamente sul fronte italiano nel 1917. Fucili, cannoni e immensi quantitativi di munizioni venivano regolarmente spediti al fronte per sferrare attacchi potenti quanto dispendiosi, le cosiddette “spallate” di Cadorna. Ma soprattutto ingenti quantitativi di materiali ordinari – alimenti, vestiti, equipaggiamenti – si resero presto necessari: lo scoppio del conflitto, infatti, vide in tempi rapidissimi l’occupazione del fronte da parte di migliaia di uomini, 1A riguardo si vedano Gibelli (1998) e Duménil (2007). una sorta di processo di “urbanizzazione” dei fronti che assumeva cifre spesso analoghe a quelle di una grande città dell’epoca. E la stabilizzazione della guerra di posizione, d’altra parte, innescò un meccanismo perverso e imprevisto che costrinse a mobilitare un esercito parallelo e altrettanto numeroso, quello dei civili, impegnato nella produzione dei materiali di consumo necessari all’approvvigionamento del fronte, ma soprattutto nella costruzione e nella manutenzione di chilometri di infrastrutture per raggiungerlo. 2Il numero di civili reclutati nei lavori di infrastrutturazione bellica viene stimato di poco inferiore al milione di unità. Per uno studio approfondito sul coinvolgimento dei civili nelle costruzioni delle infrastrutture belliche si veda Ermacora (2005). In montagna e sugli altipiani vennero dismesse le vecchie vie, i pascoli, gli alpeggi, e al loro posto sorsero mulattiere, strade e ferrovie: circa 5000 sono i chilometri stimati di nuove rotabili, il doppio quelli già esistenti nelle retrovie, ma oggetto di manutenzioni, 1200 quelli di nuove linee ferroviarie tradizionali o decauville (su una rete totale che nell’Italia del 1914 non superava i 19.000 chilometri), oltre alle gallerie e ai viadotti resi necessari dalla corrugata orografia dei territori di confine. E poi linee telefoniche, condotte d’acqua, teleferiche, baraccamenti simili a piccoli centri urbani.

Paesaggio contemporaneo e memoria: il Piave.
Paesaggio contemporaneo e memoria: il Piave.

Questo forzato processo di antropizzazione cambiò radicalmente – e per sempre – il volto del territorio, interessando un’area ben più ampia della sola fascia di confine ed entrando in profondità anche nelle retrovie. Una rete piuttosto fitta, che legava i comandi di stanza tra Vicenza e Padova ai punti salienti del fronte, venne sovrapposta al territorio del Triveneto, determinandone una trasformazione che ebbe notevole influenza sul suo sviluppo nel dopoguerra: una volta concluso il conflitto, infatti, quelle vie che avevano supportato il passaggio di munizioni, artiglierie e soldati si rivelarono perfettamente adeguate anche per i trasporti civili e commerciali che andavano rianimandosi. E in maniera improvvisa territori che fino a pochi anni prima erano ancora prevalentemente rurali si trovarono intessuti da una maglia viaria e ferroviaria che favorì uno sfruttamento del territorio da un punto di vista sia industriale che turistico, secondo una diffusione capillare che non aveva precedenti. Basti ricordare come i 1500 chilometri di strade costruite in meno di quattro anni sull’Altopiano di Asiago, su un’estensione di circa 900 chilometri quadrati, abbiano reso quel territorio, che per secoli era rimasto sostanzialmente isolato, il luogo con la più alta densità di strade al mondo.

Nel corso dei cento anni successivi quei sistemi hanno subito diversi tipi di alterazione: in alcuni casi sono stati implementati, diventando il sedime su cui realizzare vie di maggiore portata o maggiore velocità, con una netta prevalenza delle trasformazioni in strade carrabili (dovuta al progressivo imporsi del trasporto su gomma); altrove, soprattutto alle quote più alte, molte mulattiere di arroccamento sono oggi i sentieri lungo cui escursionisti spesso inconsapevoli attraversano le montagne per diletto o per sport; molti segni, infine, hanno più semplicemente visto esaurirsi col tempo il loro utilizzo, senza che emergessero tangibili prospettive di trasformazione.

Punti di vista negati: vegetazione spontanea cresciuta di fronte a un bunker italiano sul Montello.
Punti di vista negati: vegetazione spontanea cresciuta di fronte a un bunker italiano sul Montello.

Proprio questi chilometri di vie, che in parte furono dismessi e spesso versano in stato di abbandono o comunque di sottoutilizzo, costituiscono in realtà una straordinaria risorsa materiale. Si tratta di una vasta rete di percorsi che si rende disponibile a un processo di riciclo basato su nuove modalità di frequentazione del territorio e che presenta almeno due caratteristiche peculiari: una capillare estensione che, soprattutto nelle aree alpine o prealpine, permette di attraversare e raggiungere con relativa facilità luoghi toccati solo marginalmente dal recente sviluppo di un’urbanità diffusa, dove altresì è ancora abbastanza preservata una condizione di rurale naturalità; la frequenza con cui queste infrastrutture nate per esigenze belliche spesso contingenti non solo attraversano aree di notevole bellezza paesaggistica, ma anche ricalcano o si relazionano a collocazioni che nel corso della storia avevano già dimostrato il proprio valore strategico nei confronti del territorio, secondo analoghe modalità di controllo a distanza. In questo senso, rileggere i modi attraverso cui la Grande guerra si è insediata nel territorio e a sua volta ha contribuito a costruirlo significa percorrere itinerari, fisici e narrativi, che attraversano la storia dei luoghi, penetrando la ricchezza della stratificazione avvenuta.

Il turismo come occasione

Recenti modalità di fruizione del territorio propongono innumerevoli itinerari, che toccano alcuni luoghi simbolo della Grande guerra, senza tuttavia chiarire il senso della percorrenza in quei luoghi o il loro significato. Numerosi infatti sono gli itinerari esistenti nelle località che furono teatro dei combattimenti, meno conosciuta è la storia delle trasformazioni fisiche del paesaggio, delle attività economiche e delle comunità.

L’evento bellico investì territori contraddistinti da caratteristiche paesaggistiche, ma anche da condizioni culturali e di sviluppo assai diversificate: dalla pianura e gli alvei fluviali, agli altopiani, alla montagna. Se alcune località, principalmente montane, erano caratterizzate già dalla fine dell’800 dalla presenza abbastanza consueta del turismo italiano, ma soprattutto inglese e tedesco, altri devono la propria “fortuna” alle vicende belliche. D’altro canto a differenti caratteristiche morfologiche del terreno corrisposero differenti tecniche e tecnologie costruttive, ma anche differenti necessità, che forniscono altrettante chiavi di lettura per le nostre storie. Il turismo si offre quindi come occasione per il futuro utilizzo di aree che non sempre sono in grado di competere con la proliferazione di variegate proposte di viaggio o mete esotiche.

Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: il nuovo accesso all’Osservatorio del Re.
Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: il nuovo accesso all’Osservatorio del Re.

Il tema del confine precedente all’inizio della guerra, ad esempio, racconta e chiarifica la cultura di alcuni territori di confine caratterizzati dall’incantevole bellezza del paesaggio, ma al contempo da frequenti guerre e lotte di potere. La presenza di numerose infrastrutture belliche mostra quanto fosse mutevole la condizione dei territori vicini al fronte. Un chiaro esempio è quello costituito dalla Strada delle Dolomiti, voluta e costruita per scopi strategici dall’amministrazione austriaca tra XIX e XX secolo e abbandonata dall’esercito austriaco perché ritenuta poco difendibile subito dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria: quella strada oggi costituisce un importante percorso turistico che, attraversando i magnifici paesaggi dolomitici, eletti nel 2009 dall’UNESCO Patrimonio naturale dell’umanità, ripercorre la linea del fronte italo-austriaco durante la Grande guerra. La strada fu pensata e voluta da Theodor Cristomannos nell’intento di valorizzare l’area dolomitica, portando benessere agli abitanti del luogo grazie allo sviluppo turistico, ma costituì un’importante arteria di comunicazione anche nel periodo bellico, a partire dalla quale una fitta rete di strade, mulattiere e teleferiche si inerpicava sui fianchi delle montagne fino a raggiungerne le vette.

La costruzione di un complesso sistema logistico e di infrastrutture testimonia l’asprezza della guerra in territori impervi e caratterizzati dalla rigidezza del clima e dalla povertà di mezzi di comunicazione, che rendono il racconto della guerra in alta quota di particolare interesse anche per un pubblico non in grado di visitare direttamente quei luoghi. Ripercorrere il sedime di quei sentieri al contempo permette forse di provare la fatica del soldato, nonostante immersi in un’atmosfera totalmente pacificata e lontana dalle memorie di quegli eventi.

Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: il belvedere verso l’osservatorio austriaco al villino della Guizza.
Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: il belvedere verso l’osservatorio austriaco al villino della Guizza.

Lo sviluppo di tecniche e tecnologie avanzate proprio in questi territori, spesso quasi inaccessibili, si rese particolarmente indispensabile, tanto da arrivare anche alla radicale modifica delle creste delle montagne attraverso la realizzazione di complessi sistemi di gallerie e cunicoli che penetravano fino alle viscere o alla trasformazione della sagoma stessa dei monti a causa dello scoppio di mine. Alcune tracce di questi eventi sono ancor oggi impresse nei suoli, ma la sola fruizione di frammenti difficilmente è in grado di farsi testimone della complessa rete che rendeva possibile la vita quotidiana per un numero considerevole di persone. Risulta quindi necessario osservare il paesaggio esistente con occhi differenti, tentando di recuperare molteplici sguardi: lo sguardo del turista precedente alla guerra, lo sguardo del soldato o dei comandi, lo sguardo dei reduci che tornavano nei luoghi della loro sventura o ancora lo sguardo costruito negli anni subito a ridosso degli eventi nelle prime guide pubblicate dal Touring club italiano sul finire degli anni venti (Sui campi di battaglia, 1925-1931).

L’obiettivo dovrebbe essere di sviluppare la capacità di leggere la stratificazione degli eventi per poter disvelare ed educare a vedere: in tal senso l’individuazione di punti di osservazione strategici rispetto ai luoghi e alla comprensione di tracce e frammenti si costituisce come passo fondamentale per la ri-costruzione delle nostre storie. Non è sufficiente occuparsi solamente della riqualificazione di grandi manufatti, siano essi forti, trincee o gallerie, ma della messa in rete di un sistema anche attraverso la costruzione di piccoli luoghi di sosta e di un sistema informativo capace di rendere manifesti e comprensibili questi frammenti.

Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: la discesa al fiume e lo “sguardo del soldato”
Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: la discesa al fiume e lo “sguardo del soldato”.

Alla spettacolarità dei luoghi montani si contrappone l’ordinarietà fisica di alcune località oggi ricordate prevalentemente per le cruente vicende belliche che si svolsero sulle loro cime e che permisero la difesa dal nemico, luoghi simbolo che accolgono sacrari realizzati per celebrare le vittime del sacrificio. Il Monte Grappa, così come l’Altopiano di Asiago, prima della Grande guerra erano massicci montuosi prevalentemente utilizzati per condurre le mandrie al pascolo nella stagione primaverile ed estiva, che vennero sconvolti e martoriati dagli eventi che vi si svolsero. Alla panoramicità di alcune strade che costeggiano le zone di retrovia del fronte, si contrappone la condizione di difesa e protezione offerta da profonde valli che penetrano le pendici rocciose e che accoglievano complessi sistemi di risalita costituiti da mulattiere e teleferiche. Recuperare lo sguardo del soldati può significare allora scegliere il luogo, la corretta esposizione, il miglior punto di vista per guardare ed essere, o meno, visti e permette di elaborare progetti che costruiscano sottili relazioni con la complessa conformazione dei suoli.

Il progetto come rilettura: il caso della ferrovia dismessa Montebelluna-Susegana

Le riflessioni finora condotte hanno trovato la possibilità di un confronto con una dimensione effettivamente progettuale attraverso la partecipazione al seminario Ve.Net organizzato nell’ottobre 2014 dall’Università Iuav di Venezia e Recycle Veneto Lab in collaborazione con la Fondazione Fabbri di Pieve di Soligo, dove un tavolo di lavoro è stato dedicato a infrastrutture della Grande guerra e paesaggi della memoria, sulla base delle ricerche in merito condotte fino a quel momento dagli autori del presente articolo.3 Il Recycle Veneto Lab è l’organo di sede che l’Università Iuav di Venezia ha fondato relativamente alla partecipazione come capogruppo a un PRIN (Progetto di ricerca di interesse nazionale) dal titolo Re-Cycle Italy. La Fondazione Francesco Fabbri di Pieve di Soligo è un’istituzione dedicata allo sviluppo di programmi in ambito culturale, socio-economico e ambientale, con particolare riferimento all’osservazione delle trasformazioni in atto nel territorio veneto. Le ricerche cui si fa riferimento sono in parte quelle condotte all’interno dell’unità di ricerca Architettura, archeologia, paesaggi: teatri di guerra dell’Università Iuav di Venezia, coordinata dalla prof. Fernanda De Maio, in parte quelle raccolte all’interno di due assegni di ricerca svolti presso il medesimo istituto, responsabile scientifico prof. Alberto Ferlenga: Andrea Iorio, Riciclare paesaggi, interpretare memorie. Esperienze di riciclo strategico (2013-14) assegno parte del PRIN Re-Cycle Italy; Claudia Pirina, Turismo sostenibile, comunicazione e valorizzazione del territorio, progettazione e gestione di offerte turistiche tematizzate su temi storici e culturali e del relativo marketing territoriale (2014-15), assegno finanziato dal Fondo Sociale Europeo e che prevedeva il partenariato con PR Consulting di Padova, azienda dedicata alla promozione di attività turistiche.

Il tema proposto, che consisteva nel ripensamento delle dinamiche di trasformazione del territorio veneto contemporaneo a partire da pratiche di recupero e riuso di manufatti dismessi, veniva declinato attraverso due operazioni fondamentali: da un lato l’individuazione, all’interno del vasto numero di infrastrutture legate alla Grande guerra oggi abbandonate, della ex linea ferroviaria Montebelluna-Susegana e di una serie di manufatti ad essa connessi quali punti fissi per ripensare le modalità di attraversamento o di visita del territorio attorno al Montello, un contesto assai particolare per le stratificazioni di memorie storiche e di usi contemporanei soprattutto legati a turismo ed escursionismo sportivo; dall’altro la mappatura e la successiva riorganizzazione dei principali luoghi storici o della memoria presenti in quel territorio, al fine di costruire un sistema di visita coerente, ma allo stesso tempo diversificato secondo molteplici temi narrativi.

Il progetto si proponeva di far reagire due concetti di natura diversa – l’una immateriale, l’altra fisica – quali memoria e tracce, a partire da una costatazione piuttosto evidente: da un lato, la memoria della Grande guerra ha spesso assunto un carattere sostanzialmente atopico, astratto, anche in luoghi dove i racconti e le immagini delle vicende passate sono estremamente vividi, ma sono difficilmente “ricollocabili” nel mutato scenario contemporaneo; dall’altro, la semplice presenza di tracce materiali, anche numerose, non è di per sé sufficiente a testimoniare la storia di cui sono portatrici, dimostrando al contrario tutta la fragilità di fronte alle recenti dinamiche di trasformazione del territorio.

Infrastrutture belliche e attuali modalità di visita del territorio: la linea ferroviaria dismessa Montebelluna-Susegana come itinerario ciclo-turistico
Infrastrutture belliche e attuali modalità di visita del territorio: la linea ferroviaria dismessa Montebelluna-Susegana come itinerario ciclo-turistico.

Il tratto infrastrutturale preso in considerazione è costituito da una linea ferroviaria oggi dismessa che, tra campi abbandonati e proprietà recintate, corre parallelamente al versante meridionale della collina, tra Ponte della Priula e Montebelluna. Lunga poco meno di 21 km, questa ferrovia fu costruita nelle fasi precedenti la Prima guerra mondiale come itinerario in grado di portare i treni provenienti dalle varie parti del Regno verso la linea di confine orientale. A seguito della rotta di Caporetto e dell’attestamento del fronte sul Piave, la linea, che si trovava in posizione riparata dal Montello, si rivelò un’infrastruttura fondamentale per la movimentazione e l’approvvigionamento delle truppe. Il rapporto tra retrovie e prime linee si basava fondamentalmente sulla struttura viaria esistente, fatta di 21 “strade di presa”, una serie di strade parallele in senso nord-sud, che suddividevano la collina in settori regolari: si trattava di una rete che affondava le sue origini nel tradizionale sfruttamento del Montello come riserva boschiva per la Serenissima, ma la cui finale configurazione si era definita soltanto nel 1892 con la ripartizione stabilita dalla legge Bertolini. Coinvolta e danneggiata pesantemente dalla guerra, fu riaperta soltanto nel 1920; un progressivo smantellamento di numerose sue parti, tuttavia, condusse alla dismissione nel 1966, fatta eccezione per alcuni brevi tratti rimasti a servizio di un deposito militare e di un’industria locale e ufficialmente soppressi nel 1984.

Il progetto muove dal recupero del sedime ferroviario, riconvertito in pista ciclabile o metropolitana leggera di superficie: oltre a costituire un’infrastruttura per modalità differenti di attraversamento di quel territorio, la definizione di questa nuova spina offre l’occasione per attestare una serie di itinerari di visita del territorio, in particolare legati alla memoria della Grande guerra. Costruiti selezionando sezioni ideali che ripercorrono le vie di merci e uomini dalle retrovie alle trincee di prima linea fino al Piave, quattro nuovi itinerari di progetto raccontano le relazioni tra fronte e territorio circostante. Questi nuovi percorsi, disegnati a partire dal riutilizzo di alcuni ex caselli, stazioni e case cantoniere in posizione strategica e dalla loro trasformazione in piccoli luoghi espositivi, ma anche di ristoro e bike sharing, promuovono la creazione di una sorta di “museo diffuso” lineare, ma anche la ridefinizione di spazi adibiti alla fruizione delle comunità locali. Inoltre, a conferma di un’idea di messa a sistema delle diverse iniziative legate alle celebrazioni del Centenario della Grande guerra, essi vengono progettati in collegamento con gli itinerari turistici da poco inaugurati sul lato del fronte austriaco.

Itinerario sulle trasformazioni del paesaggio: il nuovo recinto all’area sacra della Valle dei morti.
Itinerario sulle trasformazioni del paesaggio: il nuovo recinto all’area sacra della Valle dei morti

Gli itinerari di visita sul Montello ricalcano il sedime storico delle strade che, fin dai tempi della Serenissima e dei lavori di manutenzione e gestione del territorio ottocenteschi, ne hanno costituito il sistema infrastrutturale e sono stati identificati attraverso un principio narrativo, organizzato per temi, individuando lungo il percorso piccoli luoghi strategici in grado di rendere particolarmente manifesto il tema proposto. I temi attorno a cui si condensano i quattro itinerari sono: la questione dello sguardo, dei punti di vista e delle tecniche di osservazione; le trasformazioni del territorio, sia per le distruzioni belliche, che per le pratiche agricole; il tema delle infrastrutture costruite per la guerra; infine, il tema della stratificazione del territorio, confermato dal frequente riuso di collocazioni strategiche nel corso della storia.

Itinerario delle infrastrutture di guerra: passerelle sul greto del Piave
Itinerario delle infrastrutture di guerra: passerelle sul greto del Piave.

Costruiti secondo una direzione trasversale che collega linea ferroviaria e fiume, i quattro percorsi permettono di seguire integralmente, ma secondo punti di vista ogni volta differenti, la completa articolazione del fronte italiano: una sorta di sezione ideale che incrocia i campi di battaglia, identificabili nelle vaste isole di ghiaia che caratterizzano il corso del Piave tra Vidor e Falzè, la sequenza delle principali linee fortificate concentrate soprattutto nella parte settentrionale del colle, e, oltrepassato il crinale, le zone di retrovia che costituivano una sorta di filtro complesso e caotico tra la fascia delle operazioni belliche e il territorio civile retrostante.

Itinerario delle stratificazioni della Storia: punti di vista bellici e punti di riferimento antichi
Itinerario delle stratificazioni della Storia: punti di vista bellici e punti di riferimento antichi.

Nell’intento di modificare il meno possibile i luoghi, considerando che i manufatti bellici, siano essi edifici o infrastrutture, hanno ormai perso la loro funzione, constatando molto spesso l’impossibilità di immaginare per loro una nuova funzione e riconoscendo la capacità che la loro condizione di rovina ha di evocare tragici eventi, la proposta è stata di lavorare attraverso piccoli dispositivi di avvicinamento ai luoghi che, focalizzando l’attenzione su alcuni frammenti, marcando la distanza o costruendo diaframmi, possano attivare nuovi sguardi.

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Itinerario delle stratificazioni della Storia: le rovine dell’Abbazia di Sant’Eustachio a Nervesa della Battaglia, bombardata durante la Grande guerra.
Prospettive

L’imminente ricorrenza del Centenario offre l’occasione alle amministrazioni per il “recupero e valorizzazione dei luoghi rilevanti di memoria militare e delle tracce presenti [in un] ambiente in cui la guerra ha fatto irruzione all’improvviso, sconvolgendo ordinamenti sociali e spaziali sedimentatisi in tempi lunghi e soprattutto lenti […] al fine di garantire la trasmissione della conoscenza storica alle nuove generazioni”(Regione del Veneto, 2013, p. 3).

Alcuni amministratori rivalutano oggi il ruolo di alcune infrastrutture dismesse, tentandone faticosamente il recupero a fini turistici, ma anche di nuovo sviluppo per le popolazioni locali. Nello specifico la linea ferroviaria dismessa Montebelluna-Susegana, nonostante la dismissione in atto da parecchi anni, presenta un tracciato ancora riconoscibile in molte sue parti e manufatti – ponti, stazioni, case cantoniere, binari e traversine – ancora in relativamente buono stato di conservazione. A fronte di una certa incertezza riguardo le modalità e le funzioni legate a un loro recupero, è ormai da diversi anni che la convergenza degli interessi dei comuni attraversati da questo tracciato si è fatta sempre più chiara, al punto che l’intero sedime è stato inserito nel P.T.R.C. come collegamento sovracomunale da tutelare e riconvertire ed è in atto l’accordo per verificare la fattibilità dell’acquisto delle aree per la trasformazione in percorso ciclo-pedonale. Ad un buon esempio di collaborazione e dialogo si affiancano tuttavia casi in cui la riconversione di questi tracciati infrastrutturali è via via più difficoltosa per impedimenti burocratici o inutili rivalità.

L’auspicio è che, in un momento in cui la rivalutazione e la promozione del territorio è di fondamentale importanza per il futuro di questi luoghi prevalgano logiche di collaborazione e di dialogo, capaci di attivare sinergie positive.

Bibliografia

Sui campi di battaglia. (1925-1931). Milano: Touring club italiano.

Duménil, A. (2007). I combattenti. In S. Adouin Rouzeau & J.-J. Becker (a cura di), La Prima guerra mondiale (pp. 199-216). Torino: Einaudi (Pubblicato originariamente nel 2004. Paris: Bayard. Edizione italiana a cura di A. Gibelli).

Ermacora, M. (2005). Cantieri di guerra. Bologna: Il Mulino.

Gibelli, A. (1998). La Grande guerra degli italiani. Milano: Biblioteca Universale Rizzoli.

Kipling, R. (1988). La guerra nelle montagne. (A. Pasolini Rasponi, Trad.). Firenze: Passigli. (Pubblicato originariamente nel 1917).

Regione del Veneto. (2012). Proposta di Masterplan del centenario della Grande guerra. Disponibile presso http://www.regione.veneto.it/web/cultura/
masterplan
[28 aprile 2015].

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1. A riguardo si vedano Gibelli (1998) e Duménil (2007).
2. Il numero di civili reclutati nei lavori di infrastrutturazione bellica viene stimato di poco inferiore al milione di unità. Per uno studio approfondito sul coinvolgimento dei civili nelle costruzioni delle infrastrutture belliche si veda Ermacora (2005).
3. Il Recycle Veneto Lab è l’organo di sede che l’Università Iuav di Venezia ha fondato relativamente alla partecipazione come capogruppo a un PRIN (Progetto di ricerca di interesse nazionale) dal titolo Re-Cycle Italy. La Fondazione Francesco Fabbri di Pieve di Soligo è un’istituzione dedicata allo sviluppo di programmi in ambito culturale, socio-economico e ambientale, con particolare riferimento all’osservazione delle trasformazioni in atto nel territorio veneto. Le ricerche cui si fa riferimento sono in parte quelle condotte all’interno dell’unità di ricerca Architettura, archeologia, paesaggi: teatri di guerra dell’Università Iuav di Venezia, coordinata dalla prof. Fernanda De Maio, in parte quelle raccolte all’interno di due assegni di ricerca svolti presso il medesimo istituto, responsabile scientifico prof. Alberto Ferlenga: Andrea Iorio, Riciclare paesaggi, interpretare memorie. Esperienze di riciclo strategico (2013-14) assegno parte del PRIN Re-Cycle Italy; Claudia Pirina, Turismo sostenibile, comunicazione e valorizzazione del territorio, progettazione e gestione di offerte turistiche tematizzate su temi storici e culturali e del relativo marketing territoriale (2014-15), assegno finanziato dal Fondo Sociale Europeo e che prevedeva il partenariato con PR Consulting di Padova, azienda dedicata alla promozione di attività turistiche.