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Infrastrutture della memoria.

Di Andrea Iorio e Claudia Pirina
L’approssimarsi della ricorrenza del Centenario della Grande guerra costituisce un appuntamento decisamente importante per la molteplicità di interessi coinvolti, ma che pone una serie di questioni legate al rapporto tra trasmissione della memoria, ancora molto vivida, e le dinamiche di trasformazione del territorio, che al contrario hanno visto la progressiva dismissione di molti dei segni lasciati dall’evento storico e il loro versare in una condizione di fragile e muta quiescenza. L’ipotesi sviluppata è quella di intersecare nuove o diverse modalità di fruizione del territorio, in parte già presenti, come quelle legate al turismo o all’escursionismo sportivo, con sistemi di visita costruiti attraverso il recupero di manufatti infrastrutturali di origine bellica. Le infrastrutture di guerra, in quest’ottica, costituiscono al contempo oggetto di nuovi itinerari di visita e strumento per condurla attraverso le stratificazioni del paesaggio.

Scendemmo per una montagna frantumata di macerie, dalla cima alle falde, ma che conservava ancora, come rughe sulla fronte, le sagome di trincee che avevano seguito i suoi contorni.

(Rudyard Kipling, La guerra nelle montagne. Impressioni del fronte italiano, 1917)

Nella notte tra il 23 e il 24 maggio si celebrerà il centenario dell’ingresso in guerra dell’Italia. Da qualche anno le Regioni che furono coinvolte nel conflitto si interrogano sulla necessità di commemorare l’evento, ma soprattutto sulla qualità delle possibili iniziative culturali. Se da un lato si definisce con chiarezza il carattere retorico delle celebrazioni ufficiali, dall’altro ci sembra sempre più evidente la necessità di rileggere quegli eventi in chiave differente. La Grande guerra ha profondamente influito per dimensioni fisiche, economiche, sociali e culturali sui luoghi teatro delle battaglie ed è stata al contempo momento di costruzione dell’intero territorio circostante. Il paesaggio di oggi contiene al proprio interno frammenti di una vicenda che nonostante abbia costituito per i luoghi solamente un brevissimo spazio temporale, ha lasciato impresse impronte e memorie. Queste tracce si confondono oggi con la geografia, e i segni parzialmente cancellati dal tempo risultano spesso difficili da leggere e interpretare perché privati di quelle relazioni che costituivano il senso della loro collocazione. È interessante quindi riflettere sul ruolo che queste rovine possono ricoprire nella conformazione futura del paesaggio e al contempo sulla possibile costruzione di una rete di rapporti a distanza che permetta di mettere in relazione i luoghi con gli eventi che vi si sono svolti.

Grande guerra e piani per il centenario: il caso Veneto

L’approssimarsi del centenario della Grande guerra offre l’occasione per riattivare l’attenzione sui territori coinvolti, ma è importante riflettere su quali possano essere gli strumenti e le azioni in grado di rimettere in circolo le memorie. Il rischio del proliferare di eventi e attività non strutturate o controllate o ancora tra loro simili sembra chiaro alle amministrazioni locali e alle strutture statali che hanno predisposto apposite strutture nel tentativo di mettere ordine e di selezionare. Non sempre le buone intenzioni hanno prodotto risultati soddisfacenti e in taluni casi il ritardo sulla programmazione rischia di non centrare gli obiettivi prefissati. Da un lato la struttura di Missione statale, attraverso l’emanazione di alcuni bandi dovrebbe mettere a disposizione i fondi stanziati, dall’altro le singole Regioni hanno ricevuto un certo grado di autonomia grazie allo stanziamento di fondi appositi.

In molti casi la speciale condizione di ricorrenza di quegli eventi ha permesso di predisporre la sistemazione e messa in sicurezza di numerosi manufatti bellici, da trincee a forti, ma questo cumulo di frammenti – seppur riqualificati – non rendono spesso riconoscibile o rintracciabile l’aspetto originario dei luoghi e il loro significato più profondo. Al contempo la comprensibile scelta di sfruttare l’occasione favorendo le piccole comunità locali e le associazioni in questa particolare congiuntura economica non sempre è in grado di garantire profondità di contenuti; d’altro lato le ricerche scientifiche sono spesso lontane dalle realtà locali e dal favore di un pubblico non specializzato al quale in generale si intende rivolgersi.

La macchina bellica investì a diverso titolo molteplici regioni, sia dal punto di vista dell’intensificazione dello sforzo produttivo che, in un momento di profonda crisi economica quale quello appena precedente il conflitto, garantì lo sviluppo di numerose aziende, sia dal punto di vista dello spostamento di enormi masse di popolazione che andarono a formare non solo l’esercito, ma anche la grande schiera degli “operai borghesi”. Territori scarsamente popolati e quasi per nulla infrastrutturati in pochissimi anni necessitarono di ingenti sforzi per adeguare i luoghi alle mutate necessità di trasporto di uomini, merci, artiglierie, ecc. e “in breve tempo ‘costruire’ e alimentare il fronte divenne un’importante attività che movimentava ingenti risorse finanziarie, materiali e umane” (Ermacora, 2005, p. 8). Se da un lato l’intera nazione venne coinvolta dal conflitto, dall’altro furono Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia che offrirono i propri territori come teatro per sanguinose battaglie e proprio queste tre sono le regioni che, secondo modalità e tempistiche differenti, si preparano alla celebrazione degli eventi.

Il Comitato esecutivo per le celebrazioni del centenario della Grande guerra del Veneto nel 2013 ha predisposto un documento programmatico, il Masterplan centenario Grande guerra del Veneto, per la “realizzazione del Museo diffuso della Grande guerra in Veneto” con l’intento di “raccontare i segni” che la guerra ha lasciato, “i vuoti che ha generato” e “le ricostruzioni che sono sopravvenute, aggiungendo uno strato in più al testo paesaggistico” (Regione del Veneto, 2013, p. 3). Le linee guida contenute all’interno del Masterplan costituiscono la base per la selezione dei progetti ai quali assegnare fondi nei prossimi anni. Sapere scientifico e saperi locali dovrebbero convergere a formalizzare proposte appetibili per lo più al turista, ma la pluralità di interlocutori a cui rivolgere l’attenzione non rende sempre facile il compito: studenti, turisti in genere, turisti “di guerra”, ricercatori, …

Le infrastrutture di guerra: un tema di ricerca e un punto di vista

Provando a considerare le trasformazioni che la Grande guerra ha lasciato impresse sul suolo, in particolare nel territorio veneto, oltre ai resti di strutture di fortificazione – trincee, bunker, caverne – e oltre alle vaste distruzioni, l’eredità probabilmente più consistente per estensione fisica e per durata del suo utilizzo nel tempo è costituita da una vasta rete di linee infrastrutturali, che hanno profondamente e per sempre modificato le dinamiche di attraversamento e di fruizione del territorio. Tale trasformazione vide la sua origine nella grande quantità di materiali di generi diversi che vennero movimentati negli anni precedenti e durante il conflitto. Tonnellate di calcestruzzo, ferro e legno servirono a costruire forti, baraccamenti, strutture di comando e sanitarie: opere spesso particolarmente difficili da realizzare, che soltanto in parte furono completate, in una corsa contro il tempo, a pochi mesi dall’ingresso in guerra e che in grande parte vennero invece costruite durante lo svolgimento dei combattimenti, secondo le evoluzioni degli assetti e delle tattiche. Lunghi treni trasportavano con ritmo serrato i soldati al fronte, per dare il cambio alle prime linee o più spesso per reintegrare i morti, ma anche per spostare le truppe tra i diversi settori, arrivando a due milioni e mezzo di soldati mobilitati contemporaneamente sul fronte italiano nel 1917. Fucili, cannoni e immensi quantitativi di munizioni venivano regolarmente spediti al fronte per sferrare attacchi potenti quanto dispendiosi, le cosiddette “spallate” di Cadorna. Ma soprattutto ingenti quantitativi di materiali ordinari – alimenti, vestiti, equipaggiamenti – si resero presto necessari: lo scoppio del conflitto, infatti, vide in tempi rapidissimi l’occupazione del fronte da parte di migliaia di uomini, 1A riguardo si vedano Gibelli (1998) e Duménil (2007). una sorta di processo di “urbanizzazione” dei fronti che assumeva cifre spesso analoghe a quelle di una grande città dell’epoca. E la stabilizzazione della guerra di posizione, d’altra parte, innescò un meccanismo perverso e imprevisto che costrinse a mobilitare un esercito parallelo e altrettanto numeroso, quello dei civili, impegnato nella produzione dei materiali di consumo necessari all’approvvigionamento del fronte, ma soprattutto nella costruzione e nella manutenzione di chilometri di infrastrutture per raggiungerlo. 2Il numero di civili reclutati nei lavori di infrastrutturazione bellica viene stimato di poco inferiore al milione di unità. Per uno studio approfondito sul coinvolgimento dei civili nelle costruzioni delle infrastrutture belliche si veda Ermacora (2005). In montagna e sugli altipiani vennero dismesse le vecchie vie, i pascoli, gli alpeggi, e al loro posto sorsero mulattiere, strade e ferrovie: circa 5000 sono i chilometri stimati di nuove rotabili, il doppio quelli già esistenti nelle retrovie, ma oggetto di manutenzioni, 1200 quelli di nuove linee ferroviarie tradizionali o decauville (su una rete totale che nell’Italia del 1914 non superava i 19.000 chilometri), oltre alle gallerie e ai viadotti resi necessari dalla corrugata orografia dei territori di confine. E poi linee telefoniche, condotte d’acqua, teleferiche, baraccamenti simili a piccoli centri urbani.

Paesaggio contemporaneo e memoria: il Piave.
Paesaggio contemporaneo e memoria: il Piave.

Questo forzato processo di antropizzazione cambiò radicalmente – e per sempre – il volto del territorio, interessando un’area ben più ampia della sola fascia di confine ed entrando in profondità anche nelle retrovie. Una rete piuttosto fitta, che legava i comandi di stanza tra Vicenza e Padova ai punti salienti del fronte, venne sovrapposta al territorio del Triveneto, determinandone una trasformazione che ebbe notevole influenza sul suo sviluppo nel dopoguerra: una volta concluso il conflitto, infatti, quelle vie che avevano supportato il passaggio di munizioni, artiglierie e soldati si rivelarono perfettamente adeguate anche per i trasporti civili e commerciali che andavano rianimandosi. E in maniera improvvisa territori che fino a pochi anni prima erano ancora prevalentemente rurali si trovarono intessuti da una maglia viaria e ferroviaria che favorì uno sfruttamento del territorio da un punto di vista sia industriale che turistico, secondo una diffusione capillare che non aveva precedenti. Basti ricordare come i 1500 chilometri di strade costruite in meno di quattro anni sull’Altopiano di Asiago, su un’estensione di circa 900 chilometri quadrati, abbiano reso quel territorio, che per secoli era rimasto sostanzialmente isolato, il luogo con la più alta densità di strade al mondo.

Nel corso dei cento anni successivi quei sistemi hanno subito diversi tipi di alterazione: in alcuni casi sono stati implementati, diventando il sedime su cui realizzare vie di maggiore portata o maggiore velocità, con una netta prevalenza delle trasformazioni in strade carrabili (dovuta al progressivo imporsi del trasporto su gomma); altrove, soprattutto alle quote più alte, molte mulattiere di arroccamento sono oggi i sentieri lungo cui escursionisti spesso inconsapevoli attraversano le montagne per diletto o per sport; molti segni, infine, hanno più semplicemente visto esaurirsi col tempo il loro utilizzo, senza che emergessero tangibili prospettive di trasformazione.

Punti di vista negati: vegetazione spontanea cresciuta di fronte a un bunker italiano sul Montello.
Punti di vista negati: vegetazione spontanea cresciuta di fronte a un bunker italiano sul Montello.

Proprio questi chilometri di vie, che in parte furono dismessi e spesso versano in stato di abbandono o comunque di sottoutilizzo, costituiscono in realtà una straordinaria risorsa materiale. Si tratta di una vasta rete di percorsi che si rende disponibile a un processo di riciclo basato su nuove modalità di frequentazione del territorio e che presenta almeno due caratteristiche peculiari: una capillare estensione che, soprattutto nelle aree alpine o prealpine, permette di attraversare e raggiungere con relativa facilità luoghi toccati solo marginalmente dal recente sviluppo di un’urbanità diffusa, dove altresì è ancora abbastanza preservata una condizione di rurale naturalità; la frequenza con cui queste infrastrutture nate per esigenze belliche spesso contingenti non solo attraversano aree di notevole bellezza paesaggistica, ma anche ricalcano o si relazionano a collocazioni che nel corso della storia avevano già dimostrato il proprio valore strategico nei confronti del territorio, secondo analoghe modalità di controllo a distanza. In questo senso, rileggere i modi attraverso cui la Grande guerra si è insediata nel territorio e a sua volta ha contribuito a costruirlo significa percorrere itinerari, fisici e narrativi, che attraversano la storia dei luoghi, penetrando la ricchezza della stratificazione avvenuta.

Il turismo come occasione

Recenti modalità di fruizione del territorio propongono innumerevoli itinerari, che toccano alcuni luoghi simbolo della Grande guerra, senza tuttavia chiarire il senso della percorrenza in quei luoghi o il loro significato. Numerosi infatti sono gli itinerari esistenti nelle località che furono teatro dei combattimenti, meno conosciuta è la storia delle trasformazioni fisiche del paesaggio, delle attività economiche e delle comunità.

L’evento bellico investì territori contraddistinti da caratteristiche paesaggistiche, ma anche da condizioni culturali e di sviluppo assai diversificate: dalla pianura e gli alvei fluviali, agli altopiani, alla montagna. Se alcune località, principalmente montane, erano caratterizzate già dalla fine dell’800 dalla presenza abbastanza consueta del turismo italiano, ma soprattutto inglese e tedesco, altri devono la propria “fortuna” alle vicende belliche. D’altro canto a differenti caratteristiche morfologiche del terreno corrisposero differenti tecniche e tecnologie costruttive, ma anche differenti necessità, che forniscono altrettante chiavi di lettura per le nostre storie. Il turismo si offre quindi come occasione per il futuro utilizzo di aree che non sempre sono in grado di competere con la proliferazione di variegate proposte di viaggio o mete esotiche.

Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: il nuovo accesso all’Osservatorio del Re.
Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: il nuovo accesso all’Osservatorio del Re.

Il tema del confine precedente all’inizio della guerra, ad esempio, racconta e chiarifica la cultura di alcuni territori di confine caratterizzati dall’incantevole bellezza del paesaggio, ma al contempo da frequenti guerre e lotte di potere. La presenza di numerose infrastrutture belliche mostra quanto fosse mutevole la condizione dei territori vicini al fronte. Un chiaro esempio è quello costituito dalla Strada delle Dolomiti, voluta e costruita per scopi strategici dall’amministrazione austriaca tra XIX e XX secolo e abbandonata dall’esercito austriaco perché ritenuta poco difendibile subito dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria: quella strada oggi costituisce un importante percorso turistico che, attraversando i magnifici paesaggi dolomitici, eletti nel 2009 dall’UNESCO Patrimonio naturale dell’umanità, ripercorre la linea del fronte italo-austriaco durante la Grande guerra. La strada fu pensata e voluta da Theodor Cristomannos nell’intento di valorizzare l’area dolomitica, portando benessere agli abitanti del luogo grazie allo sviluppo turistico, ma costituì un’importante arteria di comunicazione anche nel periodo bellico, a partire dalla quale una fitta rete di strade, mulattiere e teleferiche si inerpicava sui fianchi delle montagne fino a raggiungerne le vette.

La costruzione di un complesso sistema logistico e di infrastrutture testimonia l’asprezza della guerra in territori impervi e caratterizzati dalla rigidezza del clima e dalla povertà di mezzi di comunicazione, che rendono il racconto della guerra in alta quota di particolare interesse anche per un pubblico non in grado di visitare direttamente quei luoghi. Ripercorrere il sedime di quei sentieri al contempo permette forse di provare la fatica del soldato, nonostante immersi in un’atmosfera totalmente pacificata e lontana dalle memorie di quegli eventi.

Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: il belvedere verso l’osservatorio austriaco al villino della Guizza.
Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: il belvedere verso l’osservatorio austriaco al villino della Guizza.

Lo sviluppo di tecniche e tecnologie avanzate proprio in questi territori, spesso quasi inaccessibili, si rese particolarmente indispensabile, tanto da arrivare anche alla radicale modifica delle creste delle montagne attraverso la realizzazione di complessi sistemi di gallerie e cunicoli che penetravano fino alle viscere o alla trasformazione della sagoma stessa dei monti a causa dello scoppio di mine. Alcune tracce di questi eventi sono ancor oggi impresse nei suoli, ma la sola fruizione di frammenti difficilmente è in grado di farsi testimone della complessa rete che rendeva possibile la vita quotidiana per un numero considerevole di persone. Risulta quindi necessario osservare il paesaggio esistente con occhi differenti, tentando di recuperare molteplici sguardi: lo sguardo del turista precedente alla guerra, lo sguardo del soldato o dei comandi, lo sguardo dei reduci che tornavano nei luoghi della loro sventura o ancora lo sguardo costruito negli anni subito a ridosso degli eventi nelle prime guide pubblicate dal Touring club italiano sul finire degli anni venti (Sui campi di battaglia, 1925-1931).

L’obiettivo dovrebbe essere di sviluppare la capacità di leggere la stratificazione degli eventi per poter disvelare ed educare a vedere: in tal senso l’individuazione di punti di osservazione strategici rispetto ai luoghi e alla comprensione di tracce e frammenti si costituisce come passo fondamentale per la ri-costruzione delle nostre storie. Non è sufficiente occuparsi solamente della riqualificazione di grandi manufatti, siano essi forti, trincee o gallerie, ma della messa in rete di un sistema anche attraverso la costruzione di piccoli luoghi di sosta e di un sistema informativo capace di rendere manifesti e comprensibili questi frammenti.

Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: la discesa al fiume e lo “sguardo del soldato”
Itinerario degli sguardi e dei punti di vista: la discesa al fiume e lo “sguardo del soldato”.

Alla spettacolarità dei luoghi montani si contrappone l’ordinarietà fisica di alcune località oggi ricordate prevalentemente per le cruente vicende belliche che si svolsero sulle loro cime e che permisero la difesa dal nemico, luoghi simbolo che accolgono sacrari realizzati per celebrare le vittime del sacrificio. Il Monte Grappa, così come l’Altopiano di Asiago, prima della Grande guerra erano massicci montuosi prevalentemente utilizzati per condurre le mandrie al pascolo nella stagione primaverile ed estiva, che vennero sconvolti e martoriati dagli eventi che vi si svolsero. Alla panoramicità di alcune strade che costeggiano le zone di retrovia del fronte, si contrappone la condizione di difesa e protezione offerta da profonde valli che penetrano le pendici rocciose e che accoglievano complessi sistemi di risalita costituiti da mulattiere e teleferiche. Recuperare lo sguardo del soldati può significare allora scegliere il luogo, la corretta esposizione, il miglior punto di vista per guardare ed essere, o meno, visti e permette di elaborare progetti che costruiscano sottili relazioni con la complessa conformazione dei suoli.

Il progetto come rilettura: il caso della ferrovia dismessa Montebelluna-Susegana

Le riflessioni finora condotte hanno trovato la possibilità di un confronto con una dimensione effettivamente progettuale attraverso la partecipazione al seminario Ve.Net organizzato nell’ottobre 2014 dall’Università Iuav di Venezia e Recycle Veneto Lab in collaborazione con la Fondazione Fabbri di Pieve di Soligo, dove un tavolo di lavoro è stato dedicato a infrastrutture della Grande guerra e paesaggi della memoria, sulla base delle ricerche in merito condotte fino a quel momento dagli autori del presente articolo.3 Il Recycle Veneto Lab è l’organo di sede che l’Università Iuav di Venezia ha fondato relativamente alla partecipazione come capogruppo a un PRIN (Progetto di ricerca di interesse nazionale) dal titolo Re-Cycle Italy. La Fondazione Francesco Fabbri di Pieve di Soligo è un’istituzione dedicata allo sviluppo di programmi in ambito culturale, socio-economico e ambientale, con particolare riferimento all’osservazione delle trasformazioni in atto nel territorio veneto. Le ricerche cui si fa riferimento sono in parte quelle condotte all’interno dell’unità di ricerca Architettura, archeologia, paesaggi: teatri di guerra dell’Università Iuav di Venezia, coordinata dalla prof. Fernanda De Maio, in parte quelle raccolte all’interno di due assegni di ricerca svolti presso il medesimo istituto, responsabile scientifico prof. Alberto Ferlenga: Andrea Iorio, Riciclare paesaggi, interpretare memorie. Esperienze di riciclo strategico (2013-14) assegno parte del PRIN Re-Cycle Italy; Claudia Pirina, Turismo sostenibile, comunicazione e valorizzazione del territorio, progettazione e gestione di offerte turistiche tematizzate su temi storici e culturali e del relativo marketing territoriale (2014-15), assegno finanziato dal Fondo Sociale Europeo e che prevedeva il partenariato con PR Consulting di Padova, azienda dedicata alla promozione di attività turistiche.

Il tema proposto, che consisteva nel ripensamento delle dinamiche di trasformazione del territorio veneto contemporaneo a partire da pratiche di recupero e riuso di manufatti dismessi, veniva declinato attraverso due operazioni fondamentali: da un lato l’individuazione, all’interno del vasto numero di infrastrutture legate alla Grande guerra oggi abbandonate, della ex linea ferroviaria Montebelluna-Susegana e di una serie di manufatti ad essa connessi quali punti fissi per ripensare le modalità di attraversamento o di visita del territorio attorno al Montello, un contesto assai particolare per le stratificazioni di memorie storiche e di usi contemporanei soprattutto legati a turismo ed escursionismo sportivo; dall’altro la mappatura e la successiva riorganizzazione dei principali luoghi storici o della memoria presenti in quel territorio, al fine di costruire un sistema di visita coerente, ma allo stesso tempo diversificato secondo molteplici temi narrativi.

Il progetto si proponeva di far reagire due concetti di natura diversa – l’una immateriale, l’altra fisica – quali memoria e tracce, a partire da una costatazione piuttosto evidente: da un lato, la memoria della Grande guerra ha spesso assunto un carattere sostanzialmente atopico, astratto, anche in luoghi dove i racconti e le immagini delle vicende passate sono estremamente vividi, ma sono difficilmente “ricollocabili” nel mutato scenario contemporaneo; dall’altro, la semplice presenza di tracce materiali, anche numerose, non è di per sé sufficiente a testimoniare la storia di cui sono portatrici, dimostrando al contrario tutta la fragilità di fronte alle recenti dinamiche di trasformazione del territorio.

Infrastrutture belliche e attuali modalità di visita del territorio: la linea ferroviaria dismessa Montebelluna-Susegana come itinerario ciclo-turistico
Infrastrutture belliche e attuali modalità di visita del territorio: la linea ferroviaria dismessa Montebelluna-Susegana come itinerario ciclo-turistico.

Il tratto infrastrutturale preso in considerazione è costituito da una linea ferroviaria oggi dismessa che, tra campi abbandonati e proprietà recintate, corre parallelamente al versante meridionale della collina, tra Ponte della Priula e Montebelluna. Lunga poco meno di 21 km, questa ferrovia fu costruita nelle fasi precedenti la Prima guerra mondiale come itinerario in grado di portare i treni provenienti dalle varie parti del Regno verso la linea di confine orientale. A seguito della rotta di Caporetto e dell’attestamento del fronte sul Piave, la linea, che si trovava in posizione riparata dal Montello, si rivelò un’infrastruttura fondamentale per la movimentazione e l’approvvigionamento delle truppe. Il rapporto tra retrovie e prime linee si basava fondamentalmente sulla struttura viaria esistente, fatta di 21 “strade di presa”, una serie di strade parallele in senso nord-sud, che suddividevano la collina in settori regolari: si trattava di una rete che affondava le sue origini nel tradizionale sfruttamento del Montello come riserva boschiva per la Serenissima, ma la cui finale configurazione si era definita soltanto nel 1892 con la ripartizione stabilita dalla legge Bertolini. Coinvolta e danneggiata pesantemente dalla guerra, fu riaperta soltanto nel 1920; un progressivo smantellamento di numerose sue parti, tuttavia, condusse alla dismissione nel 1966, fatta eccezione per alcuni brevi tratti rimasti a servizio di un deposito militare e di un’industria locale e ufficialmente soppressi nel 1984.

Il progetto muove dal recupero del sedime ferroviario, riconvertito in pista ciclabile o metropolitana leggera di superficie: oltre a costituire un’infrastruttura per modalità differenti di attraversamento di quel territorio, la definizione di questa nuova spina offre l’occasione per attestare una serie di itinerari di visita del territorio, in particolare legati alla memoria della Grande guerra. Costruiti selezionando sezioni ideali che ripercorrono le vie di merci e uomini dalle retrovie alle trincee di prima linea fino al Piave, quattro nuovi itinerari di progetto raccontano le relazioni tra fronte e territorio circostante. Questi nuovi percorsi, disegnati a partire dal riutilizzo di alcuni ex caselli, stazioni e case cantoniere in posizione strategica e dalla loro trasformazione in piccoli luoghi espositivi, ma anche di ristoro e bike sharing, promuovono la creazione di una sorta di “museo diffuso” lineare, ma anche la ridefinizione di spazi adibiti alla fruizione delle comunità locali. Inoltre, a conferma di un’idea di messa a sistema delle diverse iniziative legate alle celebrazioni del Centenario della Grande guerra, essi vengono progettati in collegamento con gli itinerari turistici da poco inaugurati sul lato del fronte austriaco.

Itinerario sulle trasformazioni del paesaggio: il nuovo recinto all’area sacra della Valle dei morti.
Itinerario sulle trasformazioni del paesaggio: il nuovo recinto all’area sacra della Valle dei morti

Gli itinerari di visita sul Montello ricalcano il sedime storico delle strade che, fin dai tempi della Serenissima e dei lavori di manutenzione e gestione del territorio ottocenteschi, ne hanno costituito il sistema infrastrutturale e sono stati identificati attraverso un principio narrativo, organizzato per temi, individuando lungo il percorso piccoli luoghi strategici in grado di rendere particolarmente manifesto il tema proposto. I temi attorno a cui si condensano i quattro itinerari sono: la questione dello sguardo, dei punti di vista e delle tecniche di osservazione; le trasformazioni del territorio, sia per le distruzioni belliche, che per le pratiche agricole; il tema delle infrastrutture costruite per la guerra; infine, il tema della stratificazione del territorio, confermato dal frequente riuso di collocazioni strategiche nel corso della storia.

Itinerario delle infrastrutture di guerra: passerelle sul greto del Piave
Itinerario delle infrastrutture di guerra: passerelle sul greto del Piave.

Costruiti secondo una direzione trasversale che collega linea ferroviaria e fiume, i quattro percorsi permettono di seguire integralmente, ma secondo punti di vista ogni volta differenti, la completa articolazione del fronte italiano: una sorta di sezione ideale che incrocia i campi di battaglia, identificabili nelle vaste isole di ghiaia che caratterizzano il corso del Piave tra Vidor e Falzè, la sequenza delle principali linee fortificate concentrate soprattutto nella parte settentrionale del colle, e, oltrepassato il crinale, le zone di retrovia che costituivano una sorta di filtro complesso e caotico tra la fascia delle operazioni belliche e il territorio civile retrostante.

Itinerario delle stratificazioni della Storia: punti di vista bellici e punti di riferimento antichi
Itinerario delle stratificazioni della Storia: punti di vista bellici e punti di riferimento antichi.

Nell’intento di modificare il meno possibile i luoghi, considerando che i manufatti bellici, siano essi edifici o infrastrutture, hanno ormai perso la loro funzione, constatando molto spesso l’impossibilità di immaginare per loro una nuova funzione e riconoscendo la capacità che la loro condizione di rovina ha di evocare tragici eventi, la proposta è stata di lavorare attraverso piccoli dispositivi di avvicinamento ai luoghi che, focalizzando l’attenzione su alcuni frammenti, marcando la distanza o costruendo diaframmi, possano attivare nuovi sguardi.

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Itinerario delle stratificazioni della Storia: le rovine dell’Abbazia di Sant’Eustachio a Nervesa della Battaglia, bombardata durante la Grande guerra.
Prospettive

L’imminente ricorrenza del Centenario offre l’occasione alle amministrazioni per il “recupero e valorizzazione dei luoghi rilevanti di memoria militare e delle tracce presenti [in un] ambiente in cui la guerra ha fatto irruzione all’improvviso, sconvolgendo ordinamenti sociali e spaziali sedimentatisi in tempi lunghi e soprattutto lenti […] al fine di garantire la trasmissione della conoscenza storica alle nuove generazioni”(Regione del Veneto, 2013, p. 3).

Alcuni amministratori rivalutano oggi il ruolo di alcune infrastrutture dismesse, tentandone faticosamente il recupero a fini turistici, ma anche di nuovo sviluppo per le popolazioni locali. Nello specifico la linea ferroviaria dismessa Montebelluna-Susegana, nonostante la dismissione in atto da parecchi anni, presenta un tracciato ancora riconoscibile in molte sue parti e manufatti – ponti, stazioni, case cantoniere, binari e traversine – ancora in relativamente buono stato di conservazione. A fronte di una certa incertezza riguardo le modalità e le funzioni legate a un loro recupero, è ormai da diversi anni che la convergenza degli interessi dei comuni attraversati da questo tracciato si è fatta sempre più chiara, al punto che l’intero sedime è stato inserito nel P.T.R.C. come collegamento sovracomunale da tutelare e riconvertire ed è in atto l’accordo per verificare la fattibilità dell’acquisto delle aree per la trasformazione in percorso ciclo-pedonale. Ad un buon esempio di collaborazione e dialogo si affiancano tuttavia casi in cui la riconversione di questi tracciati infrastrutturali è via via più difficoltosa per impedimenti burocratici o inutili rivalità.

L’auspicio è che, in un momento in cui la rivalutazione e la promozione del territorio è di fondamentale importanza per il futuro di questi luoghi prevalgano logiche di collaborazione e di dialogo, capaci di attivare sinergie positive.

Bibliografia

Sui campi di battaglia. (1925-1931). Milano: Touring club italiano.

Duménil, A. (2007). I combattenti. In S. Adouin Rouzeau & J.-J. Becker (a cura di), La Prima guerra mondiale (pp. 199-216). Torino: Einaudi (Pubblicato originariamente nel 2004. Paris: Bayard. Edizione italiana a cura di A. Gibelli).

Ermacora, M. (2005). Cantieri di guerra. Bologna: Il Mulino.

Gibelli, A. (1998). La Grande guerra degli italiani. Milano: Biblioteca Universale Rizzoli.

Kipling, R. (1988). La guerra nelle montagne. (A. Pasolini Rasponi, Trad.). Firenze: Passigli. (Pubblicato originariamente nel 1917).

Regione del Veneto. (2012). Proposta di Masterplan del centenario della Grande guerra. Disponibile presso http://www.regione.veneto.it/web/cultura/
masterplan
[28 aprile 2015].

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1. A riguardo si vedano Gibelli (1998) e Duménil (2007).
2. Il numero di civili reclutati nei lavori di infrastrutturazione bellica viene stimato di poco inferiore al milione di unità. Per uno studio approfondito sul coinvolgimento dei civili nelle costruzioni delle infrastrutture belliche si veda Ermacora (2005).
3. Il Recycle Veneto Lab è l’organo di sede che l’Università Iuav di Venezia ha fondato relativamente alla partecipazione come capogruppo a un PRIN (Progetto di ricerca di interesse nazionale) dal titolo Re-Cycle Italy. La Fondazione Francesco Fabbri di Pieve di Soligo è un’istituzione dedicata allo sviluppo di programmi in ambito culturale, socio-economico e ambientale, con particolare riferimento all’osservazione delle trasformazioni in atto nel territorio veneto. Le ricerche cui si fa riferimento sono in parte quelle condotte all’interno dell’unità di ricerca Architettura, archeologia, paesaggi: teatri di guerra dell’Università Iuav di Venezia, coordinata dalla prof. Fernanda De Maio, in parte quelle raccolte all’interno di due assegni di ricerca svolti presso il medesimo istituto, responsabile scientifico prof. Alberto Ferlenga: Andrea Iorio, Riciclare paesaggi, interpretare memorie. Esperienze di riciclo strategico (2013-14) assegno parte del PRIN Re-Cycle Italy; Claudia Pirina, Turismo sostenibile, comunicazione e valorizzazione del territorio, progettazione e gestione di offerte turistiche tematizzate su temi storici e culturali e del relativo marketing territoriale (2014-15), assegno finanziato dal Fondo Sociale Europeo e che prevedeva il partenariato con PR Consulting di Padova, azienda dedicata alla promozione di attività turistiche.