Alle soglie della terza rivoluzione industriale si prefigura un futuro in cui saremo chiamati a confrontarci con la post-produzione e l’evanescenza della produzione materiale (Sassen, 2004), ereditando nuove terre con cui fare i conti (Marini, 2011). Il processo di migrazione della produzione di beni e servizi verso nuovi paradisi economici sta innescando un processo di ritrazione delle aziende dal territorio italiano (Moretti, 2013), producendo inevitabilmente degli scarti. Scarti materiali come lo svuotamento, anche di senso, degli stabilimenti delle aziende italiane: uno scenario di oltre 9.000 ettari di aree inutilizzate, che fisicamente si concretizza in un vasto ed articolato patrimonio materiale dismesso, dai nodi delle grandi piattaforme industriali alle minute costellazioni di capannoni medio-piccoli. Scarti immateriali come la dissolvenza delle competenze specifiche maturate nelle aziende nel corso dei decenni, tra cui l’attività progettuale svolta nel XX secolo – a cavallo fra gli anni Trenta e Settanta – all’interno delle grandi aziende italiane dagli Uffici Tecnici. Segmento del periodo d’oro delle imprese italiane rimasto nell’ombra, sono stati laboratori di anonimi disegnatori, capi progetto, direttori dei dipartimenti, tecnici, architetti, ingegneri, geometri che hanno esplorato contesti e situazioni differenti, ibridando i saperi e contribuendo alla trasformazione del territorio italiano e oltreconfine, disegnando luci e ombre di un’idea di mondo-azienda (Marini & Santangelo, 2014).
La ricostruzione della vicenda dell’Ufficio Tecnico Dalmine – sostanziata dallo studio di materiali d’archivio e dal dialogo con la Fondazione Dalmine – diventa occasione per esplorare l’attività progettuale e costruttiva di questi laboratori dove il futuro veniva immaginato, progettato e consegnato “chiavi in mano”.
Il futuro oltreoceano. Il ponte con gli Stati Uniti
A partire dalla seconda rivoluzione industriale si innesca un processo di industrializzazione in Europa e negli Stati Uniti che nel giro di pochissimi anni conduce alla creazione di grandi aziende in determinati settori come la petrolchimica, l’energia, la siderurgia, i trasporti e la grande edilizia industriale (Cariati, Cavallone, Maraini & Zamagni, 2013). Il salto di scala produttivo determina sempre più spesso l’ampliamento fisico degli spazi del lavoro dell’azienda, facendo sì che negli Stati Uniti, già verso la fine dell’800, si iniziano ad introdurre nelle principali aziende industriali degli Uffici Tecnici, interni quindi alle case madri, destinati a gestire l’ampliamento organizzativo e fisico degli stabilimenti.
Nel 1906 l’azienda tedesca Mannesmann, specializzata nella produzione di tubi in acciaio senza saldatura, fonda un nuovo stabilimento nell’area rurale bergamasca denominata Dalmine. Al sorgere dello stabilimento si affiancano ben presto le infrastrutture di base che segneranno le premesse per la fondazione e lo sviluppo di una vera e propria company town: realizzazione delle case per i dirigenti e gli operai secondo diverse tipologie residenziali; introduzione di servizi come la scuola elementare, la caserma dei carabinieri, il refettorio, il garage, gli uffici postali; introduzione di standard minimi per gli spazi verdi e le strutture igieniche, in linea con i primi esempi di città-giardino di quegli anni. Nel frattempo il conflitto mondiale e l’entrata in guerra contro la Germania segnano il definitivo distacco dell’azienda italiana dall’azienda madre tedesca, con la successiva creazione di una nuova società tutta italiana (Dalla Valentina, 2006).
Gli anni Venti rappresentano l’inizio della fase di grande espansione dell’azienda in diversi mercati: tubi per condotte, impianti termici, conduzione di gas e trivellazioni, tralicci. Ciò evidenzia l’esigenza di rinnovare sia gli stabilimenti aziendali ma anche i principi organizzativi, che cominciano ad essere obsoleti. Inizia in tal senso a manifestarsi l’interesse della Dalmine, ma anche di molte altre aziende italiane come Olivetti e Fiat, ad esplorare la cultura aziendale e tecnica oltre l’Atlantico, dove le grandi aziende nordamericane con i loro Uffici Tecnici sono assunti come modello per mettere in atto i piani di espansione e modernizzazione (Banham, 1990; Castronovo, 1977; Olivetti, 1968).
A partire dal 1926 Agostino Rocca, direttore dei laminatoi e consulente della Dalmine, si reca negli Stati Uniti per delle “missioni tecniche e viaggi” (Lussana, 1998), visitando aziende come la National Tube Company, la Pittsburgh Steel Products, la United States Steel Corporation, la Ford e la Westinghouse Electriced entrando in contatto con i relativi Uffici Tecnici, dove tutte le competenze tecniche, le varie fasi e azioni e le relazioni che vi intercorrono sono rigidamente organizzate e sorvegliate dalla figura centrale del project engineer. All’interno del settore Engineering design & drafting si lavora affinché si riesca ad ottenere un tipo di progettazione spinta al dettaglio: dal collocamento sul sito di tutte le apparecchiature necessarie ai dettagliatissimi computi metrici dell’intero materiale occorrente (Rase & Barrow, 1957), cominciando ad adottare la strategia simile al just in time. L’iter progettuale è suddiviso per specialità (processo, civili, strumenti, ispezioni, supervisione ai montaggi ecc.) e ogni progetto è coordinato da un project manager, a cui viene affidato non solo il potere decisionale, ma soprattutto la responsabilità assoluta sulla riuscita del progetto. Viene introdotta la funzione “controllo del progetto” che dal punto di vista operativo consente di verificare l’andamento e la previsione dei costi e dei tempi di esecuzione del progetto, con dettagliate analisi di valutazione dei rischi, mentre la coordination procedure organizza per ogni progetto i ruoli, le competenze, le informazioni, i disegni e le loro revisioni attraverso un articolato processo di uniformazione delle modalità di trasmissione.
Il futuro è oltreoceano: i viaggi di Agostino Rocca negli Stati Uniti, con l’assorbimento dei principi del taylorismo e il confronto con gli Uffici Tecnici nordamericani, diventano la molla per creare anche all’interno della Dalmine un Ufficio Tecnico con lo sguardo rivolto al modello nordamericano. I saperi, le informazioni, gli incontri di Rocca fatti durante i suoi molteplici viaggi diventano il punto di partenza per introdurre un Ufficio Tecnico che sostituisse quello ormai obsoleto e insufficiente creato alla fondazione dell’azienda stessa.
Il futuro oltre l’azienda. L’evoluzione dell’Ufficio Tecnico Dalmine
La disamina degli ordini di servizio della Dalmine e dei verbali dei Consigli degli organi dell’azienda è il punto di partenza per la ricostruzione puntuale dell’evoluzione della struttura dell’Ufficio Tecnico della Dalmine, evidenziando come nel 1926 1All’interno del Verbale del Consiglio dell’8 novembre 1926 si legge come punto all’ordine del giorno: “Creazione di un nuovo Ufficio Tecnico per assoluta insufficienza di quello attuale”., a partire dalla reinvenzione dell’ufficio preesistente ormai obsoleto, si avvia una sorta di smembramento in gruppi e divisioni sempre più specializzati, per fronteggiare la crescente complessità dei progetti affrontati e per ampliare il campo di intervento dell’azienda stessa. Si passa dalla struttura dell’Ufficio Tecnico destinato alla manutenzione degli impianti esistenti e alla progettazione e studio di nuove strutture, alla creazione di diversi Uffici Tecnici specializzati: l’IMA-Gruppo manutenzione ed esecuzione impianti, incentrato sulle operazioni di controllo del corretto funzionamento degli impianti esistenti e alla sorveglianza dei cantieri di quelli in costruzione; il TEI-Gruppo Tecnico Impianti, destinato a gestire l’apparato amministrativo e tecnico inerente costruzioni meccaniche, carpenterie e gru sia delle macchine che delle costruzioni edili; il PAS-Servizio Partecipazioni, Soci e Immobili che comprendeva sia la parte amministrativa degli immobili dell’impresa che la parte progettuale e di manutenzione dei medesimi immobili; il CAT-Centro Carpenteria Tubolare orientato nella sperimentazione, progettazione e realizzazione di strutture in tubolari come coperture, padiglioni espositivi, palificazioni e ponti.
Negli anni Venti l’Ufficio Tecnico è impegnato con l’esigenza di una riconfigurazione e ristrutturazione aziendale per essere competitiva a livello europeo. Ciò determina la modernizzazione dell’azienda dal punto di vista produttivo espandendosi soprattutto nel mercato dei pali elettrici e tralicci per le imprese ferroviarie, consolidando il rapporto con le Ferrovie dello Stato. Al consolidamento nel mercato si affianca anche quello dell’omonima company town che nel frattempo cominciava ad ampliarsi, affidando la progettazione delle infrastrutture, delle abitazioni destinate ai dipendenti e degli edifici pubblici all’architetto milanese Giovanni Greppi, delineando così un processo di urbanizzazione che sarà sancito con la nascita dal punto di vista amministrativo del comune di Dalmine nel 1927.
Negli anni Trenta, con l’entrata in guerra, la Dalmine sposta la produzione verso materiali bellici, facendo sì che l’Ufficio Tecnico si confronti con una committenza militare ma anche nel completamento del centro di Dalmine con piazze ed edifici pubblici, sempre su progetto di Greppi, e nella realizzazione del nuovo stabilimento ad Apuania, che comprenderà anche la realizzazione di un complesso residenziale e attività commerciali, a cui seguiranno poi gli stabilimenti di Sabbio Bergamasco, Costa Volpino e Torre Annunziata.
Alla fine degli anni Quaranta, con la conclusione del secondo conflitto mondiale e l’inizio della modernizzazione del territorio italiano, l’Ufficio Tecnico comincia a mettere a frutto le conoscenze maturate, soprattutto le innovazioni riguardanti le strutture tubolari, per affiancare lo Stato nella progettazione e realizzazione di autostrade, gasdotti, oleodotti, elettrodotti, ponti tubolari, come ad esempio l’impianto NATO di La Spezia, il terminale per l’oleodotto a Falconara Marittima e l’acquedotto per l’approvvigionamento idrico di Ischia e Procida che vince il premio ANIAI 1958.
A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta il boom del settore petrolifero porta l’Ufficio Tecnico a confrontarsi con dei progetti oltre i confini nazionali, in quelli che all’epoca venivano definiti paesi emergenti, come la piattaforma di attracco delle petroliere nel Mar Rosso e la raffineria del Canale di Suez, che si configuravano come piccole isole artificiali di acciaio al largo delle coste totalmente autosufficienti, dotate di ogni comfort per gli addetti e collegate alla terraferma attraverso tubazioni sottomarine.
Negli anni Sessanta esplode il boom economico e vengono introdotti i Piani Casa. Si concretizzano degli accordi con l’InaCasa che portano all’acquisto di alcuni lotti di case a Milano, a cui seguiranno investimenti per case popolari a Bergamo e nei comuni limitrofi a Dalmine, e la partecipazione al programma Gestione Case Lavoratori per la realizzazione di abitazioni a Milano e Roma (Lussana, 2014).
Il futuro è oltre i confini dell’azienda: l’evoluzione dell’Ufficio Tecnico Dalmine dagli anni Venti agli anni Sessanta diventa cartina al tornasole della sfida di andare sempre oltre, di affrontare progetti sempre più complessi e di coinvolgere ed integrare competenze sempre più diversificate. L’azienda non è più solo il luogo fisico della produzione materiale, ma dove alle competenze progettuali si affianca una forte visione d’insieme dell’economia e della società. L’articolazione dettagliata e specializzata dell’Ufficio Tecnico consente alla Dalmine di valicare i “perimetri” aziendali, avviando e consolidando un esteso processo di progettazione degli spazi del lavoro e delle relative infrastrutture di servizio, ma anche di modernizzazione del territorio, configurando la Dalmine come dispositivo di progetto e strutturazione di paesaggi nazionali e internazionali.
Il futuro oltre la crisi. La Fondazione Dalmine
A partire dagli anni Settanta il ciclo degli Uffici Tecnici inizia un graduale esaurimento con l’affermarsi della società post-industriale e l’affiorante obsolescenza della piattaforma industriale italiana. Nel caso della Dalmine, l’acquisizione di nuovi stabilimenti da altre imprese pubbliche porta all’esaurimento del ruolo dell’Ufficio Tecnico nelle sue diverse declinazioni implicando una dismissione del sapere tecnico accumulato nei decenni precedenti. Si dissolve la capacità di prefigurazione del mondo, vengono a mancare visioni di futuro per i territori ed il ruolo del lavoro come elemento fondativo della città e dello spazio, l’anonimato cede il passo al protagonismo degli imprenditori, si affievolisce il dialogo fra pubblico e privato nel disegno dello spazio. Si dismette l’impegno progettuale delle aziende sul territorio e nel disegno degli spazi del lavoro, per cedere il passo a società di ingegneria con orientamenti fortemente tecnicisti e finanziari, ma spesso aride di nuove visioni di futuro. Nel quadro complessivo della delicata congiuntura di crisi economica e di dislocazione della produzione verso i paesi emergenti, si intravede tuttavia dei primi germi del progressivo innesco di un ciclo di inversione della delocalizzazione del Made in Italy e di ritorno al territorio italiano in termini di investimenti, per riconquistare e riconfigurare la sua piattaforma industriale (Bertagna, Gastaldi & Marini, 2012), puntando sulla nuova generazione di lavoratori e sul passaggio da un’economia fondata sulla produzione di beni materiali a un’economia basata su innovazione e conoscenza (Florida, 2003).
La Dalmine, attraverso la creazione dell’omonima Fondazione, prova a reinventare l’azienda come luogo di formazione, insegnamento, rilancio. La sua storia e i suoi saperi maturati nel corso dei decenni, testimoniati dai ricchi materiali d’archivio in fase di sistematizzazione e valorizzazione, sono l’eredità culturale da cui partire.
Il futuro è oltre la crisi: in un momento in cui si riciclano materiali, ma anche idee, la ricostruzione della vicenda dell’Ufficio Tecnico Dalmine diventa cartina al tornasole per leggere la trasformazione fisica e strutturale delle aziende nel territorio italiano, ma anche le possibili future traiettorie progettuali degli spazi del lavoro. Una vicenda entro cui rintracciare le modalità di strutturazione di un laboratorio culturale ed architettonico per ripensare l’impegno progettuale delle aziende sul territorio italiano, il ruolo dell’architettura nel disegno degli spazi del lavoro, sviluppare riflessioni sul modello industriale di progetto dei territori, ritornare ad un possibile futuro “chiavi in mano” che consenta di andare oltre la crisi, il tecnicismo imperante, la dismissione materiale e immateriale, recuperandone i fattori competitivi e riaffermando l’azienda che torna a progettare il territorio, superando l’attuale scollamento e mettendo in gioco nuovi cicli che vanno oltre l’evanescenza della produzione.
Questo contributo prende le mosse dalla ricerca “Dalla Fabbrica al mondo. Gli Uffici Tecnici delle grandi aziende italiane” svolta all’interno dell’Assegno di Ricerca di Ateneo coordinato dalla Prof.ssa Sara Marini, Dipartimento di Culture del Progetto, Università IUAV di Venezia, Gennaio 2013 – Gennaio 2014.
Banham, R. (1990). L’Atlantide di cemento. Edifici industriali americani e architettura moderna europea 1900-1925. Roma: Laterza.
Bertagna, A., Gastaldi, F., Marini, S. (a cura di). (2012). L’architettura degli spazi del lavoro. Nuovi compiti e nuovi luoghi del progetto. Macerata: Quodlibet.
Cariati, V., Cavallone, S., Maraini, E., & Zamagni, V. (a cura di). (2013). Storia delle società italiane di ingegneria e impiantistica. Bologna: Il Mulino.
Castronovo, V. (1977). Giovanni Agnelli. La Fiat dal 1899 al 1945. Torino: Einuadi.
Della Valentina, G. (2006). Dalmine: un profilo storico. In F. Amatori, S. Licini (a cura di), Dalmine: 1906-2006. Un secolo di industria (pp. 31-80). Dalmine: Fondazione Dalmine.
Florida, R. (2003). L’ascesa della nuova classe creativa. Stile di vita, valori e professioni. Milano: Mondadori.
Lussana, C. (giugno 1998) Misure di razionalizzazione nella Dalmine degli anni Trenta. Sistemi & Impresa, 5.
Lussana, C. (2014) Fonti e spunti di ricerca dall’archivio della Fondazione Dalmine. In S. Marini, V. Santangelo (a cura di), Gli Uffici Tecnici delle granzi aziende italiane. Progetti di esportazione di un fare collettivo (pp. 83-114). Padova: Il Poligrafo.
Marini, S. & Santangelo, V. (a cura di). (2014). Gli Uffici Tecnici delle granzi aziende italiane. Progetti di esportazione di un fare collettivo. Padova: Il Poligrafo.
Marini, S. (2011). Nuove terre. Architetture e paesaggi dello scarto. Macerata: Quodlibet Studio.
Moretti, E. (2013). La nuova geografia del lavoro. Milano: Mondadori.
Olivetti, C. (1968). Lettere americane. Milano: Edizioni Comunità.
Rase, H.F., Barrow, M.H. (1957). Project Engineering of Process Plant. New York: John Wiley & Sons Inc.
Sassen, S. (2004). La città nell’economia globale. Bologna: Il Mulino.
1. | ⇡ | All’interno del Verbale del Consiglio dell’8 novembre 1926 si legge come punto all’ordine del giorno: “Creazione di un nuovo Ufficio Tecnico per assoluta insufficienza di quello attuale”. |