Numero #3

Editoriale

Di Antonella Grana

In questo numero della rivista mi permetto, come Presidente della Associazione Progetto Re-Cycle, di fare le veci della nostra direttrice Giulia Ciliberto per illustrare i contenuti pubblicati. Quanto troverete va a chiudere, e ad aprire per il futuro, un percorso iniziato a dicembre nelle zone del centro Italia.

Questi mesi sono stati molto densi di lavoro e Progetto Re-Cycle è diventato anche un’associazione culturale. Abbiamo messo a fuoco in modo sempre più preciso che cosa intendiamo per riciclo e la valenza prima di tutto culturale e poi economica che diamo alla tematica. In questo numero tratteremo la tematica del riciclo dal punto di vista di rilettura del territorio con un focus particolare sul sisma del centro Italia.

Il filo rosso che unisce gli articoli di questa uscita di Progetto Re-Cycle deve essere cercato sia nella rilettura del territorio che nel recupero di edifici crollati o dismessi. Come avrete certamente capito riprendiamo e approfondiamo quanto già enunciato nel primo numero dei Quaderni di Progetto Re-Cycle dal titolo Condividere la memoria: passato, presente e futuro. Dalle mappe antiche a Google Maps.

I contenuti di questo numero di Progetto Re-Cycle, complementari tra loro, inizieranno con un articolo su come comunicare la tematica del riciclo, per poi prosegure con la rilettura del territorio e le tecniche di ricostruzione antisismiche degli edifici.

Da questo numero inizia inoltre, per sottolineare la visione internazionale, la divulgazione di articoli in lingua straniera. Siamo pertanto onorati di ospitare la Prof.sa Niglio e il Prof. Valencia Mina con Evolución de la ingeniería sísmica, presente y futuro: caso Colombia e Italia.

L’importanza di “comunicare”

Di Roberto Salvato

È davvero così importante comunicare? È sempre utile comunicare o a volte è preferibile un ossequioso silenzio?

Correva il 1967 quando fu pubblicato il testo La pragmatica della comunicazione umana scritto da Watzlawick, Beavin e Jackson della scuola di Palo Alto in California. In questo testo si postulano i 5 assiomi della comunicazione.

Il primo assioma dice esattamente che “non si può non comunicare”. Diventa evidente che qualsiasi atto diventa comunicativo, anche il silenzio. Data l’impossibilità di non comunicare conviene a questo punto farlo al meglio e, soprattutto, presidiare i luoghi di conversazione che si ritengono strategici per il proprio business (social network, media tradizionali, luoghi fisici, piazze, vetrine…).

In un tempo come il nostro, dove spesso ci troviamo in overloading di informazioni, una comunicazione chiara, semplice ed efficace diventa essenziale per la costruzione di un’identità.

Come Associazione Progetto Re-Cycle abbiamo sentito forte il bisogno di comunicare la nostra visione e i nostri obiettivi che potremmo, sposando la linea della semplicità e sintesi, riassumere intorno alle parole “riciclo” e “riuso” come cultura e opportunità di business.

Nella cultura italiana associamo la parola “business“ al “fare i soldi”. In realtà business si traduce come “fare impresa”.C’è un sostanziale differenza di obiettivo. Fare impresa è guardare il futuro, è gettare le basi per un benessere diffuso e fruibile anche da chi gravita intorno all’impresa stessa. Quello che noi ci proponiamo è creare connessioni tra realtà affini, guidate dai medesimi valori.

Scrivevo poche righe sopra dell’importanza del presidio e della sua essenzialità.

Presidiare gli snodi comunicativi permette di governare le possibili evoluzioni e derive del messaggio che vogliamo dare. Senza la nostra presenza permettiamo che lo facciano altri e che altre forze trasformino e a volte deformino quello che stiamo comunicando.

Diventa altresì importante che il messaggio sia veritiero e che rappresenti la nostra identità. Sembra una banalità ma non lo è affatto. Quante volte infatti abbiamo storto il naso leggendo un messaggio e pensando all’ipocrisia di chi l’ha detto, scritto o disegnato?

Forti di questa consapevolezza abbiamo cercato con Progetto Re-Building di comunicare con delicatezza e determinazione il nostro obiettivo di sostegno alle popolazioni del centro Italia colpite dal sisma iniziato il 24 agosto 2016 e non ancora concluso.

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Norcia, 2016. Foto di Ermes Tuon
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Norcia, 2016. Foto di Ermes Tuon

Comunicare significa creare connessioni possibili con i destinatari e i fruitori del nostro messaggio. Significa gettare il seme per possibili relazioni.

Come si comunica dunque il riciclo, il riuso e la ri-costruzione di ciò che ci sta a cuore?

La prima risposta semplice è praticandolo e vivendolo ogni giorno.

Possiamo infatti comunicare qualcosa che non abbiamo sperimentato? Certamente sì, ma il messaggio risulterebbe sicuramente meno forte e il rischio di non toccare le corde giuste è altamente probabile.

In virtù di questa convinzione, siamo stati nei luoghi colpiti dal sisma di persona, con il nostro presidente Antonella Grana. E adesso possiamo raccontarlo e comunicarlo.

Non dimentichiamo che le materie prime con le quali costruiamo i nostri oggetti, le nostre case, le strade non sono infinite, prima o poi cesseranno. Ma infiniti potrebbero essere i modi di riutilizzare quelle che abbiamo già immesso nei nostri cicli produttivi.

Abbiamo la tecnologia per vivere in un mondo pulito, abbiamo le idee e i nostri cervelli sono sempre all’opera per continuare la ricerca del nostro benessere.

La Terra è la nostra casa. In una casa pulita si cresce e si prospera. In una casa sporca ci si ammala e si muore.

Ed è per crescere che crediamo nella diffusione di una cultura e di una formazione sul riciclo, il riuso, sulla rilettura dei nostri territori, sulla valorizzazione e sul riuso di competenze a tutti i livelli.

Vale la pena raccontare e comunicare queste cose?
Io, noi, crediamo di sì.

Bibliografia

Watzlawick, P., Helmick Beavin, J., & Jackson, D. D. A. (1971). Pragmatica della comunicazione umana: studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi. (M. Ferretti, Trad.). Roma: Astrolabio. (Pubblicato originariamente nel 1967).

Antisismica, la casa baraccata di epoca borbonica può ancora salvare molte vite

Di Paola Mammarella

Non solo tecniche e materiali moderni. Per la messa in sicurezza antisismica si può guardare anche al passato. Ad esempio al regolamento antisismico europeo del 1785, adottato nel regno di Ferdinando IV di Borbone, dopo il sisma del 1783 che distrusse intere città tra Sicilia e Calabria e causò circa 50mila vittime.

Urbanistica nel regolamento antisismico di epoca borbonica

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La ricostruzione avvenne in pochi anni, facendo ricorso a maestranze e materiali locali. Alcune città, completamente spazzate via dal sisma, vennero rilocalizzate in aree più sicure, mentre altre, come ad esempio Reggio Calabria, furono ricostruite nello stesso luogo.

Si utilizzò un sistema nuovo, in grado di scongiurare il collasso strutturale in caso di sisma e di limitare i danni a persone e cose. Le “nuove” regole costruttive prevedevano sezioni stradali pari a 10-13 metri per le strade principali e 6-8 metri per quelle secondarie. Le città dovevano inoltre essere dotate di piazze maggiori per i mercati e piazze minori. Numero e dimensioni delle piazze dovevano essere calcolate in base al numero della popolazione ed essere pensate per fungere anche da rifugio in caso di emergenza.

Struttura degli edifici nel regolamento antisismico di epoca borbonica

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La vera innovazione apportata dagli ingegneri dell’epoca fu l’inserimento di una struttura tridimensionale in materiale ligneo nelle murature in materiale lapideo.

Nacque così la “casa baraccata”, in cui il legno rappresenta un’armatura interna in grado di resistere alle sollecitazioni sismiche.

L’idea nacque studiando altri esempi di costruzioni, realizzate nell’area mediterranea, che avevano resistito ai terremoti. Uno di questi era il Palazzo del Conte di Nocera a Filogaso (Vibo Valentia) che era stato costruito prima del 1783 con una analoga struttura lignea e fu l’unico edificio a rimanere in piedi dopo il sisma.

Un altro esempio è la gaiola pombalina portoghese, adottata dopo il terremoto di Lisbona del 1755.

gaiola

Soluzioni simili sono state adottate anche in Turchia. Sono le himis, che nel terremoto del 1999 sono rimaste in piedi a dispetto di molte costruzioni in cemento armato.

himis

Antisismica borbonica oggi

Il CNR nel 2013, al convegno H.Ea.R.T, ha dimostrato che il sistema costruttivo della casa baraccata può resistere a terremoti di una certa rilevanza.

Durante il convegno è stata realizzata una muratura rinforzata da un’intelaiatura lignea utilizzando il sistema costruttivo settecentesco.

CNR_01

CNR_02

Dopo una serie di test è stato decretato che questa tecnologia, con dettagli costruttivi moderni e fatti i dovuti approfondimenti, può essere applicata alle nuove costruzioni.

Foto credits: Randolph Langenbach, www.conservationtech.com

Originariamente pubblicato in:

News Edilportale, 29 agosto 2016. Disponibile presso: http://www.edilportale.com/news/2016/08/sicurezza/antisismica-la-casa-baraccata-di-epoca-borbonica-pu%C3%B2-ancora-salvare-molte-vite_53539_22.html

Il terremoto di Agadir, o la costruzione dell’identità

Di Edoardo Bernasconi

Il 29 febbraio del 1960, un terremoto rade al suolo la città di Agadir, in Marocco, seppellendone l’immagine tra le macerie. Nella distruzione, perdono la vita 20.000 persone.

L’antica Qasba, eretta sopra un promontorio a presidio del territorio, e il quartiere di fondazione berbera conosciuto come Yachech scompaiono in pochi attimi, mentre gli edifici dei quartieri Founti e Talborjt, costruiti rispettivamente tra il 1920 e il 1930 e tra il 1935 e il 1950, subiscono gravi crolli e danni strutturali irreparabili (Falconer, 1966).

La catastrofe scuote profondamente l’intero Paese, eppure, da questo scenario atroce, si solleva prontamente un vigoroso élan vital unanime che conduce un intero popolo a mobilitarsi su tutti i fronti e a concentrare gli impegni nella realizzazione di una grande opera urbanistica e architettonica corale.

Questo carattere di bene comune connota Agadir sin dal momento della sua fondazione: il suo nome, in lingua Amazigh, significa letteralmente “granaio collettivo fortificato”. Tale aspetto fornisce un indizio che lascia comprendere quale sia sempre stata la portata strategica e la natura identificativa di questo luogo per la regione e per le genti che l’hanno popolata.

Agadir si trova, infatti, in una posizione territoriale cruciale, dove i monti dell’Atlante si abbassano per sfiorare le rive dell’oceano, a presidiare la fertile vallata del Wadi Souss. La facilità di navigazione delle acque e l’abbondanza di pescato fanno sì che, ai piedi dell’agadir, si vada a insediare un modesto villaggio di pescatori berberi che, nel corso dei secoli, successivamente alla conquista portoghese, acquista un importante ruolo come scalo delle rotte navali mercantili diventando Santa Cruz do Cabo de Gué. Nel 1505, queste sue peculiarità la conducono ad assumere il ruolo di porto principale del Marocco meridionale, rendendo necessaria la costruzione di fortificazioni militari a proteggere le crescenti ricchezze. La città mantiene questa carica anche a seguito delle lotte che portano alla deposizione del governatore Guterre de Monroy da parte delle tribù locali nel 1541, perdendola solamente nel 1760, quando, a causa dell’instabilità politica della regione, il sultano Sidi Mohammed Ben Abdullah decide di deviare definitivamente tutte le rotte sul porto di Essaouira. Il borgo viene infine occupato dall’esercito francese il 14 giugno 1913, ma trovandosi in un’area remota del territorio marocchino, difficile da controllare dal punto di vista politico e militare, non viene ritenuta idonea per un utilizzo commerciale e strategico intensivo, lasciando la località in una posizione economicamente marginale. Ciò nonostante, l’abbondanza di pesce nelle acque circostanti comporta lo svilupparsi di una fiorente attività di pesca e di un’importante industria di manifattura e conservazione del pescato (Dartois, 2008). Per questa ragione, dai primi anni Venti, il governo coloniale incarica il service de l’Urbanisme, l’organo deputato allo sviluppo urbano e territoriale del Marocco diretto dall’architetto e urbanista Henri Prost, di trasformare il modesto villaggio in una città modello (Cohen & Eleb, 2004).

Il piano dell’ingegnere Jean Raymond è evidentemente caratterizzato dall’intento di separare la popolazione locale dai coloni, prevedendo l’edificazione di due aree lungo la costa, nettamente distaccate, seppure accomunate sul piano progettuale da un disegno urbano di matrice eclettica (Raymond, 1923).

La borgata a ovest, situata ai piedi del promontorio sormontato dalla Qasba, viene concepita con lo scopo di ospitare la popolazione locale – il Talborjt, che in dialetto tachelit significa “piccolo fortino” –, mentre il quartiere a est, contraddistinto dalla sua forma a ferro di cavallo, situato oltre il Wadi Tildi, è destinato ad accogliere la popolazione europea.

A seguito dell’ingentissimo sviluppo industriale dei primi anni del secondo dopoguerra, il Marocco si trova a dover affrontare una grave emergenza: la mancanza di un vero centro economico strategico nel sud del paese provoca un graduale spopolamento delle aree rurali, dovuto a un’emigrazione massiva verso le grandi città industriali come Casablanca o Rabat (Embarek, 1965).

Così, sia per porre un argine ai problemi di ordine pubblico e sanitario derivanti dal sovraffollamento dei centri del nord, sia per motivare le popolazioni a non spostarsi da una regione così ricca di risorse agricole e minerarie, il governo del protettorato inizia a impiegare mezzi per la creazione di un nuovo capoluogo regionale del Souss.

Jean Raymond, Schéma de la future ville d’Agadir, 1923. Piano di espansione della città. A pagina 339 dell’articolo di J. Raymond, “Dans le Sous mystérieux, Agadir”, in La Géographie. Bulletin de la societé de Géographie, n. 3, marzo 1923, pp. 321-340.
Jean Raymond, Schéma de la future ville d’Agadir, 1923. Piano di espansione della città. A pagina 339 dell’articolo di J. Raymond, “Dans le Sous mystérieux, Agadir”, in La Géographie. Bulletin de la societé de Géographie, n. 3, marzo 1923, pp. 321-340.
La città di Agadir prima del terremoto del 1960. Pianta. Da sinistra: la Quasba, il Talborjt, il Quartiere Amministrativo, il Quartiere Europeo, compreso tra il Wadi Tildi e il Wadi Tanaout e il Quartiere Industriale. Elaborazione dell’Autore.
La città di Agadir prima del terremoto del 1960. Pianta. Da sinistra: la Quasba, il Talborjt, il Quartiere Amministrativo, il Quartiere Europeo, compreso tra il Wadi Tildi e il Wadi Tanaout e il Quartiere Industriale. Elaborazione dell’Autore.

Contemporaneamente, al fine di rendere ben chiara la presenza del protettorato in questa regione, Agadir viene trasformata strategicamente in una prospera località di villeggiatura per abbienti turisti, accentuando la suddivisione in zone funzionali, razionalmente compartimentate da un progetto di Michel Ecochard, allora a capo del Service de l’Urbanisme.

Il piano prevede, oltre all’ampliamento del porto, un’ulteriore estensione della città verso sud, che ha lo scopo di separare le attività turistiche da quelle produttive attraverso l’edificazione di un vasto quartiere industriale e relativa zona residenziale (Ecochard, 1923).

È, tuttavia, la collocazione geografica di Agadir, origine della sua fortuna, la cagione stessa del suo annullamento. Proprio dove sorge, infatti, la porzione dell’Atlante Sahariano che ripiega verso sud, entra in contatto con la Zolla Africana, creando una grande faglia – la linea sud-atlasica – che si estende per circa 2000 chilometri da Gabès, in Tunisia, passando da Biskra, Laghouat e Fuguig, giungendo ad Agadir. Questa condizione rende l’intero limite sud della catena montuosa ad alto rischio sismico (Duffaud, Rothé, Debrach, Erimesco, Choubert & Faure-Muret, 1962).

La tragica calamità naturale si rivela essere un punto focale per la vicenda della città, specialmente perché occorre in un momento storico segnato da una delicata fase di transizione del regno che, da soli quattro anni, aveva ottenuto la sovranità politica dalla Francia, ma che lottava ancora per affermare la propria autonomia culturale.
In questo contesto, dunque, il problema di come fronteggiare l’emergenza diventa il simbolo di una volontà di riscatto e di asserzione dell’identità di un popolo. La criticità della situazione non è solo dovuta alla necessità di ridare nel più breve tempo possibile un tetto ai sopravvissuti, ma anche di affermare la legittimità dell’indipendenza di una nazione.

Il 3 marzo, il re Mohammed V annuncia pubblicamente l’avviamento dei lavori per la ricostruzione di Agadir, e ancora prima dell’estate il Service del l’Urbanisme con il Ministero dei Lavori Pubblici redigono un documento dove vengono riportate le prime indicazioni per il tracciamento di un Piano Regolatore. Una commissione di geologi viene incaricata di tracciare i confini delle aree a rischio sismico e di trovarne altre adatte all’edificazione. Gli studi portano a ritenere necessario uno slittamento verso sud dell’intero perimetro cittadino.

L’evento catastrofico causa preoccupazione in tutto il mondo. A impegnare le proprie risorse sono, in modo particolare, Francia e Stati Uniti. Tuttavia, l’impegno di questi paesi si riduce a occuparsi del problema degli aiuti umanitari per i terremotati (Nadau, 1992). Un mese dopo l’accaduto, l’ambasciatore di Francia invita Le Corbusier a visitare Agadir, con la speranza di convincere il maestro e il governo marocchino a collaborare al progetto di ricostruzione. Gli incontri non hanno seguito. Ciò nonostante Le Corbusier trova il modo di lasciare il proprio segno sottolineando, in un’intervista radiofonica rilasciata durante il suo soggiorno, come l’aspetto di maggiore importanza per la buona riuscita del progetto sia la coesione del fronte d’azione formato da architetti e urbanisti uniti.1La registrazione della trasmissione può essere ascoltata su INA.fr – Institut National Audiovisuel, disponibile presso http://boutique.ina.fr/audio/P13276317/le-corbusier-a-propos-de-la-reconstruction-d-agadir.fr.html (ultimo accesso febbraio 2017)

L’idea che fosse necessario pensare al progetto urbano e a quello architettonico come una cosa sola era stato preso ad assunto fondamentale durante l’ultimo decennio del protettorato dall’urbanista francese Michel Ecochard, direttore del Service de l’Urbanisme.

Sotto molti aspetti, la figura di Ecochard è fondamentale per la formazione e lo sviluppo del pensiero architettonico in Marocco. A partire dal secondo dopoguerra, infatti, il Service de l’Urbanisme accoglie un considerevole numero di giovani architetti, marocchini e non, provenienti dagli studi in Europa – che in quegli anni si trovava ad affrontare una forte crisi economica – in cerca di esperienza, dando loro una formazione e un metodo (Cohen, 1992; Eleb, 2000; Chaouni, 2010).

Così facendo, con la fine del protettorato, il Marocco si trova ad avere a disposizione un consistente gruppo di pianificatori, urbanisti, paesaggisti e architetti esperti, nonostante la giovane età, accomunati dallo stesso modo di guardare al progetto grazie alle competenze maturate sotto il tetto del Service de l’Urbanisme, la cui direzione è ora affidata all’architetto Mourad Ben Embarek.2 La vicenda è descritta da Ben Embarek stesso in un intervista la cui visione è possibile su aMush.org presso http://www.amush.org/blog/55-videos/245-hommage-a-mourad-ben-embarek.html (ultimo accesso febbraio 2017). Lo stesso Ben Embarek si assume il compito di raccogliere e diffondere il pensiero di questo gruppo di progettisti attraverso la rivista a+u – Revue africaine d’architecture et urbanisme, da lui ideata e della quale saranno pubblicati sei numeri tra il 1964 e il 1968.

Tuttavia, l’aspetto fondamentale che rende la realizzazione di Agadir un caso esemplare, risiede soprattutto nel fatto che, in questa occasione, l’idea progettuale di architetti e urbanisti trovi supporto nell’operato delle amministrazioni e degli organi di governo.

La fase di stesura del piano si svolge in controtendenza rispetto alla logica del pronto intervento, finalizzato al contenimento del danno. I terreni edificabili vengono espropriati sistematicamente, ignorando gli interessi fondiari privati dei singoli, così da rendere possibile la realizzazione di un disegno urbano articolato e unitario.

Il progetto è sviluppato partendo dai princìpi della Carta di Atene (Le Corbusier, 1943) di salubrità, esposizione e circolazione, ma nella sua configurazione spaziale dimostra una profonda lettura della tradizione insediativa locale. Questa non è vista come fondo dal quale attingere forme ed espedienti stilistici, ma come sorgente da cui dedurre le dinamiche a-temporali dell’abitare, da usare alla stregua dei materiali da costruzione, strumenti operativi per la realizzazione della nuova architettura. Tali dinamiche trovano la propria raison d’être nel rapporto bidirezionale con gli aspetti fisici e simbolici dell’ambiente naturale e del territorio.

Proprio a partire da questi presupposti, il disegno del Piano Regolatore è realizzato sotto la doppia supervisione dell’urbanista Pierre Mas, erede morale di Ecochard, e del paesaggista Jean Challet. Il progetto cerca, pertanto, di reinventare le tecniche canonizzate dell’urbanistica moderna tramite gli strumenti messi a disposizione dalla disciplina della progettazione del paesaggio che proprio in quegli anni inizia ad assumere importanza nel dibattito internazionale e a prendere le forme e le modalità che oggi conosciamo.

Pierre Mas con Haut commissariat à la reconstruction d’Agadir, Le parti: choix du site, répartition des activités, circulations principales, espaces libres, 1966. Disegno schematico del piano di ricostruzione di Agadir. A pagina 12 dell’articolo di P. Mas, “Plan directeur et plan d’aménagement”, in a+u - Revue africaine d’architecture et d’urbanisme, n.4, 1966, pp. 6-17.
Pierre Mas con Haut commissariat à la reconstruction d’Agadir, Le parti: choix du site, répartition des activités, circulations principales, espaces libres, 1966. Disegno schematico del piano di ricostruzione di Agadir. A pagina 12 dell’articolo di P. Mas, “Plan directeur et plan d’aménagement”, in a+u – Revue africaine d’architecture et d’urbanisme, n.4, 1966, pp. 6-17.

Successivamente Challet pubblica nel terzo numero di a+u (1965) un articolo intitolato Urbanisme et paysage nel quale descrive il paesaggio come l’elemento capace di rendere possibile il rapporto tra il sito fisico e le sfere percettive e sentimentali dell’essere umano. Per il paesaggista il sito è «una porzione di spazio terrestre che offra un’unità geografica, biologica o umana» (p. 16).3Traduzione dell’Autore Questa unità è ciò che permette di riconoscere e riconoscersi e che, di conseguenza, consente la formazione di un’identità.

Per questo motivo, la logica fondativa di Agadir è concepita sulla presa di coscienza del fatto che, a differenza di quello europeo, lo spazio degli insediamenti marocchini non si forma su esigenze estetiche prospettiche: gli assi viari non determinano inquadrature forzate su elementi prestabiliti, ma le architetture sono disposte in modo che la vista vari in continuazione lungo il tragitto (Nadau, 1992).

Il progetto, dunque, integra in continuità pragmatismo e idealità. La costa, per esempio, è lasciata libera dalle costruzioni per due motivi: il primo, di natura poetica, al fine di lasciarne intatta l’immagine, così assiduamente presente nella memoria collettiva degli abitanti, nelle fotografie e nelle cartoline spedite per il mondo; il secondo di natura pratica, per mettere al sicuro le nuove abitazioni nell’evenienza che un nuovo terremoto, se sviluppato al largo della costa, avesse causato onde anomale.

Diversamente dal progetto di Raymond, nato con l’intento di dividere la città per tenere separata la popolazione, il nuovo progetto prevede di ordinare la città per settori con l’intento di favorire l’identificazione degli abitanti con il luogo, mantenendo, per ciascuna zona, caratteri specifici chiaramente riconoscibili, così da apparire domestici nonostante il linguaggio dell’architettura sia inequivocabilmente nuovo.

L’ambizione è di dimostrare falso l’assunto che “modernità” e “tradizione” siano termini antitetici, sostenendo, al contrario, che la modernità non sia altro che un momento di metamorfosi di un pensiero architettonico continuativo; ovvero che essa non fenomeni dalla tabula rasa di ciò che era venuto prima, ma anzi che da questo discenda.

La città si aggrega attorno a un core amministrativo cui rigore inconfutabilmente razionalista, pur rasentando il parossismo, dialoga con la natura domestica e introversa dei quartieri residenziali costruiti per aggregazione di unità abitative mono-familiari a corte, reinterpretando, in chiave contemporanea, la spazialità della medina tradizionale.

I percorsi all’interno della città sono pensati per un transito principalmente pedonale: le strade ad alta affluenza scaricano il traffico fuori dal centro, mentre l’andamento “a baionetta” di quelle urbane non permette alte velocità e facilita gli attraversamenti.

I “pezzi” così definiti sono ricomposti all’interno di un disegno urbano unitario da un sistema di parchi che si estendono, dalla costa all’entroterra, seguendo l’andamento dei wadi che, con il secolare alternarsi di piene e secche, hanno determinano l’orografia del terreno.

L’opera di “cucitura” delle zone urbane non avviene solo sul piano del paesaggio. Le macerie del terremoto sono utilizzate per colmare il letto del Wadi Tanaout, cui flusso stagionale viene canalizzato in acquedotto. Questo wadi aveva segnato, prima del terremoto, il confine tra il quartiere europeo e la zona industriale, dove risiedeva la popolazione operaia marocchina. La cancellazione di questo limite geografico ha, quindi, il sapore di una dichiarazione politica e simbolica che esprime tutta la volontà di lasciarsi alle spalle un’epoca per costruire una nazione unita.

La nuova Agadir. A sinistra, il core di Agadir a confronto con il quartiere residenziale “Nuovo Talborjt”; a destra, il progetto per Saint-Dié di Le Corbusier a sistema con un quartiere della medina di Fèz. Elaborazione dell’Autore.
La nuova Agadir. A sinistra, il core di Agadir a confronto con il quartiere residenziale “Nuovo Talborjt”; a destra, il progetto per Saint-Dié di Le Corbusier a sistema con un quartiere della medina di Fèz. Elaborazione dell’Autore.

Ad accentuare questa immagine, gli architetti Louis Riou e Henri Tastemain costruiscono una delle architetture più emblematiche di Agadir: l’immobile “A”. Edificio per abitazioni, parte dell’organismo del core della città, si colloca in modo da formare un ponte sul luogo esatto dove un tempo scorreva il Tanaout. La sua struttura su pilotis è pensata così che, alla sua base, si venga a formare un luogo coperto, adatto alle attività commerciali. In questo modo, urbanisti, paesaggisti e architetti assieme trasformano un luogo simbolo della segregazione in un vitale mercato cittadino.

Studiando i progetti, è evidente come la maggior parte delle risorse intellettuali di coloro che se ne sono occupati fossero indirizzate a ottenere principalmente una città in grado di funzionare e soddisfare le principali necessità degli abitanti, tuttavia le scelte che hanno condotto alla ricostruzione di Agadir hanno anche un valore simbolico che ci permette di vederle come operazioni di riscrittura del paesaggio, al fine di portare alla luce quegli aspetti che determinano lo spirito del luogo.

La nuova Agadir, 1966. Fotografia aerea della città ancora in fase di costruzione. È chiaramente riconoscibile l’immobile “A” (Louis Riou, Henri Tastemain) posto trasversalmente rispetto segno del sedime del Wadi Tanaout. Sullo sfondo, in nuovo Talborjt. Fotografia di Robert Papini.
La nuova Agadir, 1966. Fotografia aerea della città ancora in fase di costruzione. È chiaramente riconoscibile l’immobile “A” (Louis Riou, Henri Tastemain) posto trasversalmente rispetto segno del sedime del Wadi Tanaout. Sullo sfondo, in nuovo Talborjt. Fotografia di Robert Papini.

L’aspetto più rilevante che appare dallo studio di questo caso risiede nel suo essere concretizzazione, in un momento di grave emergenza, di un pensiero comune, declinato nei domìni delle diverse discipline in campo. Il suo insegnamento può fornire strumenti applicabili in svariati ambiti: dal governo del territorio, alla pianificazione urbana, alla progettazione architettonica; dimostrando che essi non vanno intesi come settori separati, ma possono collaborare alla costruzione di un unico disegno.

Dal punto di vista della composizione architettonica, si può trarre una valida lezione dal particolare modo di affrontare il problema del rapporto con la tradizione. Essa diventa vero e proprio strumento, atto a costruire quella base sulla quale si radicano le scelte che portano alla forma dell’architettura della città.

Originariamente pubblicato in:

Fabian, L., & Marzo, M. (a cura di). (2015). La ricerca che cambia. Atti del primo convegno nazionale dei dottorati italiani dell’architettura, della pianificazione e del design. Siracusa: Letteraventidue.

Bibliografia

Ben Embarek, M. (1965). Urbanisme et aménagement du territoire dans les pays sous-développés. a+u – Revue africaine d’architecture et urbanisme, 3.

Challet, J. (1965) Urbanisme et paysage. a+u – Revue africaine d’architecture et urbanisme, 3, 16.

Chaouni, A. (2010) Depolicizing Group Gamma: Contesting Modernism in Morocco. In D. Lu (a cura di), Third World Modernism; Architecture Developement and Identity (pp. 57-84). New York: Routeledge.

Cohen, J.-L. (1992). Il Gruppo degli Architetti Marocchini e “L’Habitat du plus grand nombre”. Rassegna, 52, 58-67.

Cohen, J.-L., & Eleb, M. (2004). Casablanca: mythes et figures d’une adventure urbaine. Parigi: Hazan.

Dartois, M. F. (2008). Agadir et le Sud marocain. À la recherche du temp passé. Des origines au tremblement de terre du 29 février 1960. Parigi: Courcelles Publishing.

Duffaud, F., Rothé, J. P., Debrach, J., Erimesco, P., Choubert, G. & Faure-Muret, A. (1962). Le séisme d’Agadir du 29 février 1960. Notes et mémories du Service Géologique, 154.

Ecochard, M. (1932). Les quartiers industriels des villes du Maroc. Urbanisme, 11-12.

Eleb, M. (2000). An alternative to Functionalist Universalism; Ecochard, Candilis, and ATBAT- Afrique. In S.W. Goldhagen & R. Legault (a cura di), Anxious modernism: experimentation in postwar architectural culture (pp. 55-73). Cambridge: MIT Press.

Falconer, B. H. (1996). Agadir, Morocco, reconstruction work six years after the earthquake of february 1960. New Zeland Society for Earthquake Engeneering Quarterly Buletin, 1(2), 72-91.

Le Corbusier. (1943). La Charte d’Athenes. Parigi: Plon.

Mas, P. (1966). Plan directeur et plan d’aménagement. a+u – Revue africaine d’architecture et urbanisme, 4, 6-17.

Nadau, T. (1992). La reconstruction d’Agadir ou le destin de l’architecture moderne au Maroc. In M. Culot, J.-M. Thiveaud, Architectures françaises outre-mer (pp. 147-75). Liegi: Mardaga.

Raymond, J. Dans le Sous mystérieux, Agadir. La Géographie. Bulletin de la societé de Géographie, 3, 321-340.

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1. La registrazione della trasmissione può essere ascoltata su INA.fr – Institut National Audiovisuel, disponibile presso http://boutique.ina.fr/audio/P13276317/le-corbusier-a-propos-de-la-reconstruction-d-agadir.fr.html (ultimo accesso febbraio 2017)
2. La vicenda è descritta da Ben Embarek stesso in un intervista la cui visione è possibile su aMush.org presso http://www.amush.org/blog/55-videos/245-hommage-a-mourad-ben-embarek.html (ultimo accesso febbraio 2017).
3. Traduzione dell’Autore

Evolución de la ingeniería sísmica, presente y futuro: caso Colombia e Italia

Di Olimpia Niglio, William Valencia Mina

Desarrollo histórico de la ingeniería sísmica en Colombia

La curiosidad por los sismos y sus registros históricos es una actividad antigua; tanto así que existen registros escritos en China de más de 3000 años de antigüedad además de registros en Japón y Europa que datan de hace 1600 años aproximadamente. En América también, algunos códices Mayas y Aztecas se refieren a los sismos y, de manera un poco más formal, durante la época colonial se produjeron algunos escritos que con cierto grado de detalle narraban los efectos de algunos sismos en poblaciones de la América conquistada por España.

Como es común en muchas de las diferentes culturas de la antigüedad, los sismos fueron atribuidos a deidades u otro tipo de referencias míticas; en el territorio de lo que es hoy en día Colombia también sucedió así. En la época precolombina, la cultura más importante en lo que actualmente es Colombia fue la de los muiscas o chibchas. Ellos pensaban que los temblores ocurrían debido a un dios. Dice la mitología chibcha que Huitaca, diosa que representaba la lujuria, para vengarse del dios Bochica, se encargó de difundir malas enseñanzas entre los Chibchas, quienes entonces iniciaron una vida de pecado. Por esta razón, ellos fueron luego castigados por el dios Chibchacum quien se valió de un diluvio que arrasó con gran parte de la población. Los Chibchas imploraron tanto a Bochica, que él los redimió de su culpa. Bochica castigó entonces a Chibchacum haciéndolo cargar la tierra por la eternidad. Por lo tanto dice la mitología que los temblores ocurren cuando Chibchacum se cansa de cargar la tierra en un hombro y la pasa al otro (Cuayin & Gadel, 2005); similar a lo que sucedió con Atlas según la mitología griega (fig. 1).

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Fig. 1: Chibchacum, el que sostiene la tierra sobre sus hombros (óleo sobre lienzo) – Luis Alberto Acuña Tapias

Durante la época de la colonia en Colombia y posteriormente hasta el siglo XIX hubo aportes importantes al estudio de los sismos y en particular a la sismología histórica de Colombia. Estos aportes se enfocaron en el estudio del fenómeno sísmico, en recopilación de información y descripción de terremotos ocurridos los cuales reflejaban la intensidad y los daños observados. De esta época no existen documentos técnicos con recomendaciones explícitas para la construcción de edificaciones resistentes a sismos. Sin embargo, En la época colonial, en algunas regiones entendieron que ciertos tipos de construcción y ciertos materiales no se comportaban adecuadamente ante terremotos, especialmente tras el sismo de 1785 en Santa Fe. El intento más interesante para construir edificaciones que se comportaran bien ante terremotos está en el “estilo temblorero”, estilo de construcción que se originó a partir de los sismos de 1878 en Manizales y que se extendió en todo el Viejo Caldas; en este estilo, el material primordial es el bahareque: pared de palos entretejidos con guadua – bambú – y barro (fig. 2-3).

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Fig. 2: Vivienda estilo temblorero sobre un talud – Foto de Omar Darío Cardona
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Fig. 3: Fachada de una vivienda en estilo temblorero – Foto de Omar Darío Cardona

Probablemente fue Alexander Von Humboldt (1769-1859) el primero en establecer una relación entre las fallas geológicas y los terremotos tanto en Colombia como en el mundo (fig. 4). Sin embargo, esta teoría no fue universalmente aceptada en ese entonces; (Nava, 1998). Von Humboldt viajó por la Nueva Granada y pudo sentir algunos temblores fuertes. Él estableció una relación entre los terremotos y los volcanes y propuso una relación directa entre los vapores acumulados en el interior de la tierra y los temblores.

 Fig. 4: Alexander Von Humboldt. Científico Alemán con grandes aportes al conocimiento en América
Fig. 4: Alexander Von Humboldt. Científico Alemán con grandes aportes al conocimiento en América

Una ventaja de Von Humboldt con respecto a otros científicos alemanes es que las experiencias directas que experimentó al sobrevivir a algunos terremotos en América Latina le daban una percepción directa del fenómeno. Por esta razón sus observaciones fueron distintas a las de su maestro Werner.

El primer evento sísmico del cual se tiene registro en Colombia es de 1541; no obstante, los primeros documentos que pueden clasificarse en Colombia como precursores de los estudios de sismicidad histórica datan del siglo XVIII y a ellos se añaden varios aportes en el siglo XIX. Entre estos documentos se destacan: el diario de don Luís Vargas Jurado (1703-1764), el catálogo de don Santiago Pérez Valencia (1785-1843), la crónica de don José María Caballero (1813-1819), la cronología sísmica de don Francisco Javier Vergara y Velazco (1898), el trabajo de don Arcesio Aragón publicado en 1926 y el trabajo de don Ramón Correa publicado en 1962 entre otras obras (A. Espinosa, 2001).

La Sismología en Colombia tuvo sus inicios formales cuando el padre Jesús Emilio Ramírez retornó al país en el año 1940 después de realizar sus estudios doctorales en la Universidad de Saint Louis en Estados Unidos. En su tesis doctoral estudió la naturaleza y origen de los microsismos mediante el uso de estaciones tripartitas. Poco después, el padre Ramírez decidió fundar el Instituto Geofísico de los Andes Colombianos, adscrito a la Universidad Javeriana y participó como colaborador en la organización del Año Geofísico Internacional en 1958.

En 1972, se llevó a cabo una reforma curricular para el posgrado en Ingeniería Civil de la Universidad de los Andes, en la cual se incluyeron los cursos de Dinámica de Estructuras, Dinámica de Suelos, Ingeniería Sísmica y Sismología Teórica; este posgrado iniciaría formalmente en 1974 (A. Sarria, 2005). Con esta reforma, se dictan por primera vez en una universidad colombiana cursos que abordan de manera explícita los terremotos y se aplica su conocimiento al análisis del comportamiento sísmico de la estructuras.

En 1973, en un evento organizado por la Universidad de los Andes, se invitó a los profesores Robert Withman del M.I.T., el profesor Nathan Newmark de la Universidad de Illinois, el Profesor Paul Jennings del CalTech y el profesor Joseph Penzien de la Universidad de California en Berkeley quienes entonces representaban verdaderas eminencias en el campo de la ingeniería sísmica y áreas afines. Este evento también se puede decir que sin duda contribuyo a fortalecer aún más la motivación por el desarrollo de la ingeniería sísmica en el país. Por lo tanto se puede decir que la ingeniería sísmica colombiana tuvo sus orígenes formales a comienzos de la década de los setenta. A pesar de esto, no se contaba con una reglamentación para el diseño y construcción sismo resistente de edificios en ese entonces.

En el año 1974, después de varios años de intentos, el ingeniero Alberto Sarria Molina junto a otros eminentes ingenieros del país lograron fundar en la Universidad de los Andes la Asociación Colombiana de Ingeniería Sísmica (AIS), que poco tiempo después dejó de pertenecer a la Universidad para ser un ente externo e independiente en 1975. Esta organización ha sido fundamental para el desarrollo de la ingeniería sísmica en Colombia y para la implementación de prácticas adecuadas en el diseño y construcción de edificaciones seguras ante los sismos.

Algunos de los aportes significativos de la AIS como institución pionera en el desarrollo de la ingeniería sísmica del país en sus inicios han sido la divulgación de temas relacionados con el diseño sismo resistente, el propiciar intercambio de experiencias mediante la integración con expertos mundiales en el área de ingeniería sísmica y sismología y la generación de normas técnicas de diseño y construcción de estructuras resistentes a sismos. Entre los aportes se puede mencionar la traducción en español y distribución, en Colombia, de normativas sismo resistentes de países como los Estados Unidos; particularmente el código de la SEAOC en 1976 y el código ATC-3-06 en 1979. Estos códigos fueron documentos base para la iniciación del diseño sismo resistente en Colombia (NSR-10, 2010).

A comienzos de los ochenta, la AIS publica la primera norma sísmica del país: Requisitos Sísmicos para Edificios, AIS-100-81. Esta publicación es una adaptación del código ATC-3-06 a la realidad nacional. Sin embargo, este documento no tenía carácter obligatorio para su aplicación. Poco después del terremoto de Popayán en 1983, surgió el Código Colombiano de Construcciones Sismo Resistentes, Decreto 1400 de 1984 a partir de algunas modificaciones de la norma AIS-100-83. De esta manera, por primera vez en Colombia se crea un código de diseño sísmico de estructuras de obligatorio cumplimiento por ser un decreto nacional.

Como consecuencia directa del sismo de Popayán también, un grupo de asesores del gobierno, conformado por miembros de distintas universidades propuso la conformación de la Red Sismológica Nacional con el apoyo de Ingeominas (actualmente Servicio Geológico Colombiano); esto contribuiría también de manera sustancial al desarrollo tanto de la sismología nacional como al desarrollo de la ingeniería sísmica en Colombia. Sin embargo, la Red Sismológica Nacional solo se puso en marcha en 1993 (NSR-10, 2010).

Entre los años 1984 y 1987 se realizó la microzonificación de Popayán, la cual fue la primera microzonificación del país. En este proyecto estuvieron involucrados Alberto Sarria, Augusto Espinosa, Aquiles Arrieta, Juan Carlos Puentes y Luis Yamin entre otros.

El Código Colombiano de Construcciones Sismo Resistentes (CCCSR-84), decreto 1400 de 1984, fue más tarde actualizado utilizando las facultades otorgadas por la ley 400 de 1997 mediante el decreto 33 de 1998 como Reglamento Colombiano de Construcción Sismo Resistente (NSR-98). Este nuevo decreto, más exigente que el anterior, presentó cambios sustanciales en cuanto al detallado de las estructuras de concreto reforzado e incorporó una zonificación sísmica mejor fundamentada.

A partir del año 2008, la AIS fue encargada para llevar a cabo la actualización del reglamento NSR-98 y mediante la implementación en la nueva reglamentación de la norma AIS 100-09 como el componente técnico de la versión más reciente del Reglamento Colombiano de Construcción Sismo Resistente, NSR-10.

Esta nueva versión del reglamento colombiano (NSR-10) incluyó aspectos importantes que no estaban definidos en la versión anterior; algunos de estos cambios importantes especifican los parámetros y requisitos para el uso de aisladores y amortiguadores sísmicos, se especifica el espectro de diseño que podría usarse para la adecuación de estructuras declaradas como patrimonio histórico y se incluye en un apéndice la posibilidad de realizar análisis pushover (procedimiento no-lineal estático de plastificación progresiva) con base a los requisitos del NEHRP 2006.

De acuerdo al más reciente estudio de amenaza sísmica, incorporado en la NSR-10, quedó definido que aproximadamente el 39.7% de la población nacional se encuentra localizado en zonas que presentan amenaza sísmica alta, 47.3% en zonas de amenaza intermedia y solo el 13% se encuentra localizado en zona de amenaza sísmica baja. Presentado de otra forma, esto quiere decir que de los 1126 municipios que tiene el país 553 están clasificados como de alta amenaza sísmica, 431 de amenaza sísmica intermedia y solo 139 de amenaza sísmica baja. Las cifras mostradas dan cuenta de la importancia que tiene la ingeniería sísmica en Colombia por el alto riesgo que puede presentar un evento sísmico dada la gran proporción del país que puede experimentar sismos fuertes y la concentración de población en estas zonas.

Desarrollo histórico de la ingeniería sísmica en Italia

Esta primera parte de la discusión describe el desarrollo histórico de la Ingeniería Sísmica italiana y las relativamente nuevas normas de diseño generadas mediante la aprobación de las últimas disposiciones de ley del 2008.

Las primeras leyes que abordaron el problema sísmico fueron proclamadas antes de la unificación nacional, durante la dominación de los Borbones, siglo XVIII. Estas leyes reglamentaron la reparación de los daños provocados por dos fuertes temblores: Val di Noto (Sicilia, 1693) y Calabria Ulteriore (1783) (INGV). Las noticias históricas describen daños muy graves. El terremoto del 1783 ocurrió durante el período de la Ilustración que inició a finales del siglo XVII, cuando toda Europa vivió en una intensa atmósfera de renovación cultural (De Sanctis, 1986). Durante esta época se empezó a entender que los problemas del conocimiento debían ser afrontados con la lógica y la razón, abandonando interpretaciones teológicas y fantasiosas; “sapere aude” fue la inscripción que el filósofo alemán Immanuel Kant escribió para conceptualizar la finalidad de este movimiento cultural. El desarrollo de la prensa, con la invención de Gutemberg en Alemania y sobre todo con las oficinas en las ciudades italianas de Venecia y Florencia, contribuyó a la difusión de los conocimientos. Comenzaron así a difundirse las primeras ideas concretas relacionadas al estudio de sistemas constructivos capaces de resistir temblores.

Con el terremoto de Lisboa (1755), fueron propuestas nuevas técnicas para las edificaciones en zonas sísmicas. Circularon así varias publicaciones sobre la seguridad de las construcciones y sobre los sistemas estructurales sismo-resistentes (Barucci, 1990; Parducci, 2009a). También se difundieron las primeras ideas para afrontar con nuevos enfoques el problema del comportamiento sísmico de las edificaciones y sus sistemas resistentes. Después de los terremotos de Lisboa y de Calabria Ulteriore la propuesta más interesante fue la de utilizar estructuras de madera y mampostería compuesta con ladrillos de tierra (Vivenzio, 1783); la técnica llamó mucho la atención, sobre todo el comportamiento conjunto de la construcción. Estos sistemas también tendieron a favorecer un efecto de interacción madera-mampostería (Parducci, 2012). Los esquemas estructurales de la casa a gajola portuguesa y de la casa baraccata italiana (fig. 5) constituyeron un primer ejemplo de construcción sismo-resistente, cuando aún no se realizaban cálculos numéricos para la verificación del comportamiento estructural (Masciari Genovese, 1915).

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Fig. 5: Casa baraccata (1783), proyecto del arquitecto Vincenzo Ferraresi (Fuente: Vivenzio, 1783)

La casa baraccata, propuesta por el arquitecto Vincenzo Ferraresi, fue concebida como un complejo unitario con armaduras de madera distribuidas por toda la altura del edificio y comprendían elementos diagonales capaces de proporcionar una resistencia horizontal adecuada, además de generar un efecto de arriostramiento de la totalidad de la construcción (Niglio, 2011).

De esta manera fue posible construir edificios dotados de un comportamiento sísmico eficiente con materiales económicos y de fácil consecución en las regiones. Las formas básicas correspondían las utilizadas en las estructuras de madera ya comúnmente construidas en la zona norte de Europa desde la Edad Media como el fachwerkbau alemán y el balloon frame anglosajón.

Estas primeras experiencias constructivas fueron olvidadas pronto, como lo demuestran dos fuertes temblores que entre 1905 y 1908 sacudieron de nuevo Calabria Ulteriore (ciudad de Reggio Calabria) y Sicilia Oriental (ciudad de Messina) (Parducci, 2009a; Tobriner, 1997).

Poco después de estos últimos temblores, el estado italiano proclamó dos decretos en 1907 y 1909, dotados con interesantes instrucciones técnicas. Es interesante notar que en aquellos mismos años fueron concedidas algunas patentes cuyas bases científicas corresponden a las mismas técnicas de los aisladores sísmicos utilizados en la Ingeniería Sísmica actual, pero no encontraron aplicaciones en ese tiempo ni la comunidad académica se interesó en desarrollar estas ideas novedosas. La misma situación también ocurrió con patentes concernientes el empleo de mampostería armada (fig. 6 y 7).

Fig. 6: A. Patente n. 10044 aislador sísmico Archivo ACS, Ministerio AIC, UCB, (Italia) 1909, autor Mario Viscardin de Genoa. B. Fricion Pendulum, sistema de aislamiento en la base utilizado en la obra de reconstrucción de la ciudad de La Aquila después el temblor del 2009 (L’AQUILA: Il Progetto C.A.S.E., IUSS Press, 2010)
Fig. 7: A. Patente n. 100432. Mampostería armada. ACS, Ministerio AIC, UCB, (Italia), 1909, autor Battista Foresti Gio de Bolonia. B: Construcción en mampostería armada, sistema actualmente utilizado en Italia para las construcciones en zona sísmicas.
Fig. 7: A. Patente n. 100432. Mampostería armada. ACS, Ministerio AIC, UCB, (Italia), 1909, autor Battista Foresti Gio de Bolonia. B: Construcción en mampostería armada, sistema actualmente utilizado en Italia para las construcciones en zona sísmicas.

Después de estas experiencias aparecieron las primeras aplicaciones del hormigón armado. Los criterios generales del 1909 casi que permanecieron inalterados hasta el nuevo decreto del 1939 [Parducci, 2009a]. En este período se definió una primera ampliación de las zonas expuestas a riesgo sísmico, hasta a llegar a aproximadamente el 25% del territorio nacional. Estas últimas normas fueron basadas directamente sobre la Teoría de la elasticidad y sobre el método de los esfuerzos admisibles.

Todas estas disposiciones permanecieron vigentes hasta los años 70 del siglo XX cuando fue promulgado un nuevo sistema legislativo actual (leyes n. 1086 del 1971 y n.64 del1974), para trasladar las competencias técnicas al Ministerio de las Obras Públicas. Fue tan extensa la zonificación sísmica, que esta cubrió cerca del 45% del territorio nacional y fue introducido el método del espectro de respuesta para definir la intensidad de diseño como función del período de oscilación de las construcciones. De este modo se hicieron algunas actualizaciones normativas con las que se propuso la implementación de los métodos de diseño basados en los Estados Límite, siguiendo los lineamientos de los Eurocódigos. Aunque en Italia el concepto de Estado Limite fue introducido en las normas en los años ‘70 del siglo XX, este solo se incorporó de manera efectiva en la práctica constructiva unos años más tarde, en el 2009 después del terremoto del la ciudad de La Aquila con la ordenanza número 3274 del 2003.

En detalle los Eurocódigos que se desarrollaron durante cierto tiempo, necesitaron actualizaciones posteriores. De esta manera surgió una situación de conflicto de competencias que para poder solucionarlas fue necesario promulgar dos Ordenanzas: n. 3274 del 2003 y n. 3431 del 2005. Estos nuevos instrumentos normativos modificaron sustancialmente las concepciones de diseño además de los correspondientes métodos de análisis. Los objetivos se volvieron más ambiciosos y las modalidades de diseño más complejas.

La principal finalidad fue la prevención de los colapsos que pueden provocar la pérdida de vidas humanas. Por consiguiente el proyecto de las construcciones sismo-resistentes tuvo que basarse sobre el control de los potenciales mecanismos de colapso y sobre el respeto de los Estados Límite prescritos por los Eurocódigos.

Esta transformación suscitó en Italia una actitud de rechazo generalizado de parte de los ingenieros practicantes cuya formación profesional no fue actualizada adecuadamente. Para eso fue necesario conceder numerosas prorrogas que mantuvieron en vigentes las normas antiguas hasta el 2009, cuando el terremoto de La Áquila volvió insostenibles tales prorrogas.

Con el tiempo las normas promulgadas por las Ordenanzas fueron revisadas e integradas en el complejo normativo muy detallado del voluminoso Decreto Ministerial del 14 enero del 2008 hoy en vigor (Normas Técnicas para las Construcciones – http://www.cslp.it/cslp/). Con este decreto del 2008 la zonificación sísmica ya cubre casi el 80% del territorio nacional. El contenido de este último decreto corresponde a una norma sustancialmente parecido a la reciente normativa colombiana en muchos aspectos.

Finalmente es importante señalar que este las normas tecnica italianas, por cuánto concierne la protección sísmica de las construcciones de interés histórico y monumental, propone expresamente las Líneas Guía por la valoración y reducción del riesgo sísmico del patrimonio cultural, emanadas por el Ministerio por los Bienes y las Actividades Culturales. Estas Líneas Guia son armonizadas en efecto con los contenidos de la normativa oficial del 2008 (http://www.beniculturali.it).

Diseño sísmico basado en desempeño

El diseño sísmico, y por lo tanto, la Ingeniería Sísmica Basada en Desempeño es una filosofía para la concepción integral de las estructuras que ha tenido un auge significativo desde la década de los noventa; aunque el concepto viene de mucho antes.

Según las definiciones presentadas por algunas entidades se puede decir que la “Ingeniería Sísmica Basada en Desempeño busca maximizar la utilidad obtenida de una edificación mediante la minimización del costo total que incluye el costo a corto plazo de su uso y el valor esperado de las pérdidas debidas a sismos futuros (en términos de víctimas, costos de reparación o remplazo, interrupción de la actividad, etc.) Idealmente debería considerar todos los posibles eventos símicos y sus probabilidades anuales de ocurrencia” (Fardis M. N, 2010). Sin embargo, apelando a una definición más sencilla se podría decir que la Ingeniería Sísmica Basada en Desempeño está enmarcada por las actividades que involucran el Análisis, Diseño, Construcción y Mantenimiento de estructuras de comportamiento “predecible” para distintos niveles de amenaza.

En esta filosofía de diseño el propietario, el ingeniero y el arquitecto de manera conjunta definen los objetivos de desempeño para la edificación. Con la ayuda de la matriz de desempeño se selecciona los comportamientos esperados de la estructura para distintos niveles de amenaza sísmica.

Los distintos niveles de desempeño se pueden especificar de manera cualitativa como completamente operacional, operacional, nivel de seguridad de vidas y cerca al colapso. También se pueden representar de manera cuantitativa con derivas de entrepiso de 0.5%, 1.0%, 2.0% y 2.5% o de manera alternativa como un índice de relación entre el desplazamiento máximo experimentado y la capacidad máxima de desplazamiento (IDDR).

Los distintos niveles de amenaza sísmica se pueden especificar de manera cualitativa como sismo frecuente, sismo ocasional, sismo raro y sismo excepcional. De manera cuantitativa, esta amenaza se puede representar como el periodo de retorno del sismo especificado, 43, 72, 475, y 970 años o de manera alternativa como probabilidades de excedencia del 70%, 50%, 10% y 5% en un periodo de 50 años. En la figura 8 se muestra un esquema para la selección del nivel de desempeño. Las combinaciones de amenaza sísmica y nivel de desempeño que aparecen en color rojo, no deben seleccionarse; las combinaciones que aparecen en color azul claro representan los objetivos mínimos requeridos y las que aparecen en color verde representan objetivos de desempeño superior o mejorado.

Fig. 8: Matriz de desempeño para el diseño sísmico basado en desempeño
Fig. 8: Matriz de desempeño para el diseño sísmico basado en desempeño

Algunas similitudes y diferencias entre la normativa colombiana y la italiana

En cuanto al diseño sísmico basado desempeño, en particular en Italia, no existen normas previas que directamente aborden este concepto; las normas anteriores generalmente se basaron en métodos empíricos y no científicos. Las primeras normas técnicas en Italia datan del final del siglo XVIII con Giovanni Vivenzio e Vincenzo Ferrareri; a pesar de ser normas técnicas estas fueron normas descriptivas y no científicas. Las primeras normas de carácter científico son las del 1909, Decreto Regio n. 193 del año 1909. Con estas normas, por primera vez fue introducida la modelación cualitativa de las fuerzas sísmicas representadas por fuerzas horizontales en los pisos y estas fuerzas fueron expresadas como función de las cargas verticales.

Por el contrario en Colombia, a pesar de existir cierta noción en algunos sitios de las configuraciones que favorecían el comportamiento sísmico de las estructuras en los siglos XVIII y XIX, las normas técnicas son relativamente recientes, 1984. Aunque en algunos casos se realizaban diseños sísmicos antes de 1984, estos se realizaban con base a normativas extranjeras, principalmente estadounidenses. En este tiempo ya se expresaban las fuerzas horizontales como función del periodo de la estructura.

Las normas sísmicas italianas más recientes (2008) se basan en una noción probabilista del riesgo, concepto que no excluye que el evento temido no ocurra, pero establece una probabilidad suficientemente pequeña de ocurrencia para este. Partiendo de esta filosofía, estas normas consideran diferentes Estados Límites (EL) definiéndolos según criterios de desempeño. Dos de estos involucran, de modo preciso, el diseño en zona sísmica, ellos son: Estado Límite Ultimo (ELU) y Estado Límite de Daño (ELD). En particular, la norma italiana para el caso sísmico denomina también el ELU como Estado Límite de Salvaguardia de la Vida (ELV).

En este aspecto existen similitudes entre el código Italiano y el Colombiano, que también incluye la noción probabilista del riesgo y el concepto de los estados límites mediante la verificación del desempeño de la estructura usando el espectro de diseño estándar y el espectro para movimiento sísmico correspondiente al umbral de daño (inicio del daño).

Para cada Estado Límite (EL) las normas asignan una determinada probabilidad de excedencia de la intensidad sísmica de diseño PR, la cual es igual al 10% para el ELV y al 63% para el ELD en el caso Italiano; para el caso Colombiano estos valores son del 10% y del 80% respectivamente.

Para ser consistentes con los lineamientos de los Eurocódigos, las normas italianas relacionan los niveles de seguridad con los usos que se les dará a las edificaciones. Para mantener el criterio de riesgo uniforme, este código asigna las probabilidades correspondientes a los distintos periodos de referencia; en las normas colombianas este periodo de referencia es constante e igual a 50 años, con respecto al cual se establecen las distintas tasas de excedencia del movimiento sísmico.

El período de referencia parte de una valoración convencional del intervalo de tiempo en el cual una estructura, sometida a un mantenimiento ordinario, tiene que poder ser usada por el objetivo para la cual ha sido destinada. Aún así es fundamental considerar el uso de la edificación. Por ejemplo, en Italia, a cada uso de una edificación se le asigna un valor del período de referencia: 50 años para construcciones ordinarias (viviendas, oficinas, etc.), 75 años para construcciones muy concurridas (escuelas, estadios, etc.), 100 años para construcciones estratégicas (hospitales, estaciones de bomberos, defensa civil, etc.). De este modo, basándose en un modelo probabilista poissoniano que supone la independencia en la ocurrencia de los distintos eventos sísmicos, se pueden calcular los períodos de retorno de los eventos a tener en cuenta en el proyecto para cada uno de los Estados Límite considerados. Los valores de periodo de retorno se muestran en las columnas (c), (d) y (e) de la Tabla 1. Esta es una presentación de la norma técnica italiana que es muy útil para la intervención de edificaciones que representen patrimonio histórico o en general edificaciones existentes (aunque también se acomoda muy bien para ser usado en la arquitectura moderna y contemporánea).

Este formato de la norma italiana no modifica las probabilidades asignadas a cada estado límite pero si cambia el período de referencia al que estas probabilidades están relacionadas. Este sistema permite valorar, como en el ejemplo siguiente, el tiempo mínimo de intervención dentro del que se debe llevar a cabo la adecuación sísmica de una construcción existente que no posee los requisitos de seguridad exigidos por la norma según sus requerimientos actuales.

Tabla 1: Relación entre el periodo de retorno y la probabilidad de excedencia con los estados límites
Tabla 1: Relación entre el periodo de retorno y
la probabilidad de excedencia con los estados límites

En particular para las construcciones existentes e históricas pueden existir razones por las cuales no es posible cuantificar el valor que a ellas se atribuye de manera arbitraria. Para la protección de los valores históricos y artísticos las normas italianas introducen un Estado Límite de Bienes Artísticos (ELA), que se tiene en cuenta cuando tales valores históricos, artísticos, de uso, etc. están presentes en la construcción. En general las verificaciones solicitadas para un ELA se refieren a modelos análogos a aquellos del ELD. Por ejemplo, el daño puede corresponder a la pérdida de valor de un fresco debido a las grietas. En otros casos, por ejemplo para la conservación de elementos decorativos, el daño también puede ocurrir en ausencia de daño estructural. Las instituciones competentes locales tienen que establecer los criterios según los cuales se definen los diferentes ELA.

Otro concepto muy importante es del tiempo mínimo de intervención. Haber asociado el riesgo sísmico a un período de referencia VR permite utilizar el procedimiento ilustrado para tomar decisiones relacionadas con la programación de las tareas de restauración, que de otra manera serían difíciles de ponderar. Una situación muy común en la conservación del patrimonio cultural consiste en el hecho que cuando haya sido identificada una edificación que no satisface los requisitos de seguridad deseados, se puede determinar el tiempo máximo que debe transcurrir antes del cual se deben ejecutar las actividades de intervención para mejorar su seguridad. Si se acepta esta concepción probabilista, es posible entonces calcular, como información de apoyo, el intervalo de tiempo reducido en el cual la construcción, con su capacidad resistente actual, puede sobrevivir con el mismo nivel de seguridad que tendría con las intervenciones o mejoras planeadas, inclusive antes de realizarlas. Por ejemplo, si por el ELV la capacidad estructural de una construcción existente en sus condiciones actuales permite soportar el evento que en el sitio tiene un período de retorno de 47 años, las intervenciones deberían ser realizadas dentro de los próximos 5 años. Eso porque la probabilidad de excedencia del evento de diseño, inclusive teniendo una intensidad menor, debe ser igual a aquel correspondiente al período de referencia solicitado por las normas. Este criterio supone la ocurrencia de sismos como eventos independientes entre sí; es decir, la ocurrencia de sismo no afecta la probabilidad de ocurrencia de otro sismo (modelo “poissoniano” o de Poisson). Este modelo puede ser considerado válido en general, pero no en un tiempo próximo a aquel en que se ha producido un temblor, pues en el corto plazo son esperadas las réplicas de “ajuste”. Este criterio también permite, con elaboraciones numéricas apropiadas, programar varias estrategias de intervenciones sucesivas.

Este formato no es usado de ni presentado de manera explícita en el código colombiano puesto que para estructuras nuevas se utiliza un espectro con un periodo de retorno correspondiente a 475 años, y en el caso de estructuras especiales, adicionalmente, se debe verificar el comportamiento de la misma usando un espectro con un periodo de retorno de 30años (espectro de umbral de daño). No existe por lo tanto la posibilidad de realizar diseño de estructuras con periodos de retorno distintos a estos dos. Como se expresó anteriormente, existe un espectro de seguridad limitada (adicional a los dos ya mencionados) que puede ser usado para edificaciones que representen patrimonio histórico.

Conclusiones

La evolución de la ingeniería sísmica en Colombia y en Italia ha sido distinta. En Italia, las reglamentaciones –formalmente establecidas – con propósitos de generar edificaciones resistentes a sismos viene de mucho tiempo atrás. El desarrollo de técnicas y dispositivos patentados para estos fines datan de inicios del siglo pasado. Por el contrario en Colombia estas reglamentaciones solo han sido implementadas en el último cuarto del siglo pasado. A pesar de esta diferencia, ambas formas de implementar la Ingeniería Sísmica han llegado a grados de madurez similares.

Una diferencia sustancial existente entre el código italiano y el colombiano es la definición de estados límites y la representación flexible del espectro para diversos periodos de retorno, diferentes periodos de referencia y diferentes probabilidades de excedencia. En Italia las normas del 2008 ha introducido el concepto de Estado Límite de los bienes Artísticos. Es importante destacar el formato con el cual las normas italianas representan de manera explícita los estados límites y el concepto de mínimo tiempo de intervención, lo cual permite determinar de manera racional la prioridad a la hora de intervenir edificaciones que representen patrimonio histórico y la premura con la cual esta intervención se debe llevar a cabo.

Para el caso de Colombia, no solo se debe proveer un nivel de seguridad aceptable a las estructuras que representan patrimonio histórico mediante el uso del espectro de seguridad limitada a la hora de intervenirlas sino también establecer claramente el comportamiento esperado para estas edificaciones.

Agradecimientos

Un especial agradecimiento al Profesor Alberto Parducci de la Universidad de Perugia (Italia) y profesor en la Escuela Internacional de Verano de la Universidad de Ibagué por su colaboración científica y sus importantes sugerencias en la redacción de este documento.

También agradecemos al profesor Armando Espinosa Baquero de la Universidad del Quindío y miembro correspondiente de la Academia Colombiana de Ciencias Exactas, Físicas y Naturales por su colaboración al suministrar datos históricos relevantes y por sus sugerencias para incluir en el texto final.

Originariamente pubblicato in:

El presente artículo hace parte de las memorias del VI Congreso Nacional de Ingeniería Sísmica, organizado por la Universidad Industrial de Santander (UIS), UPB Seccional Bucaramanga y la Asociación de Colombiana de Ingeniería Sísmica. Bucaramanga , 29 al 31 de mayo de 2013.

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