Innovazione di prodotto, innovazione di processo e innovazione organizzativa. La rilettura del business nelle aziende più piccole

Di Antonella Grana

Cosa significa innovare? Per innovare è necessario rompere completamente con il passato oppure, più semplicemente, si parte dal passato per ri-vedere, ri-interpretare, ri-creare? E comunque, qualcuno troverà giovamento da questa innovazione oppure è una innovazione fine a se stessa?

Proviamo ad andare con ordine e partiamo da una nostra tipica PMI con un forte orientamento al prodotto. Situazione tipica: “Abbiamo la necessità di vendere di più, magari all’estero, dove ci hanno detto che il Made in Italy è richiestissimo. Perciò abbiamo pensato di innovare la nostra gamma di prodotti perché così ci differenziamo dalla concorrenza, e se arriviamo per primi nel mercato estero riusciamo a vendere perché non abbiamo concorrenti”. Può sembrare uno scherzo ma non lo è.

1. “All’estero”. Cosa si intende per estero? San Marino, un qualsiasi stato dell’Africa o dell’Estremo Oriente, gli Stati Uniti? Il target “estero” non significa nulla se il paese non è identificato, e questo può fare una differenza enorme.

2. “Il Made in Italy”, che non significa semplicemente “prodotto in Italia”: Made in Italy è sinonimo di qualità nella progettazione, di design, di raffinatezza, di eccellenza che “all’estero” possono avere bisogno di un supporto in loco e di un servizio post vendita altrettanto eccellente. Si è pensato a tutto questo?

3. “Innovare la gamma dei prodotti”. Per venderli “all’estero“. Ma “a chi”? In altre parole, si sono definiti chiaramente il target di clienti a cui ci rivolgiamo?

4. “Arriviamo prima della concorrenza”. La concorrenza è identificata o si riferisce a chiunque venda un prodotto simile?

Da un simile scenario si evince una banalità. Se qualcuno, il cliente, non ha interesse ad acquistare il prodotto, per innovativo che esso sia non vale la pena innovarlo. Pertanto l’innovazione avrà senso, sarà spendibile e avrà un ritorno economico solo se risponderà ai bisogni espressi o inespressi dei clienti.

Agli occhi della nostra PMI, questi ragionamenti si legano al piano dell’innovazione di prodotto. In effetti, forse non sarebbe stato necessario innovare il prodotto ma piuttosto innovare il processo di produzione di quel prodotto specifico per permetterci di ri-vederlo e ri-interpretarlo.

Paradossalmente risulta più difficile parlare di innovazione di processo che di innovazione di prodotto. Nell’articolo Ceramica Made in Umbria si pone in stretta relazione la tradizione produttiva umbra con il panorama delle tecnologie attuali. Nel distretto della Ceramica di Nove (VI) all’interno di una azienda che partecipa a un progetto della Regione Veneto si sta portando avanti un percorso simile. Il processo produttivo è stato snellito e reso più rapido dalle tecnologie delle stampanti 3D con il risultato di avere dei prodotti tradizionali ma rivisti nel design, con dei costi e dei tempi di produzione più bassi. L’innovazione è partita non dal produrre qualcosa di nuovo, ma dal produrre in modo diverso qualcosa che c’era già.

La componente artistica nella lavorazione della ceramica è molto presente, e continuerà a esserlo; tuttavia la stampa 3D in argilla permette di sperimentare forme non convenzionali e di innovare il processo di produzione rendendo il ciclo più snello e con un minore impatto ambientale. Soprattutto si possono realizzare librerie virtuali di modelli a cui attingere per personalizzare e rispondere just in time alle esigenze dei clienti.

Tutto questo non è però sufficiente se a fianco dell’innovazione di processo non vi è anche una rilettura del processo organizzativo dell’azienda nel suo complesso. La rilettura del processo organizzativo non può avvenire senza una visione chiara degli obiettivi da raggiungere e la loro conseguente pianificazione. Se partiamo dal caso concreto della ceramica gli obiettivi potrebbero essere declinati in questo modo:

– ridurre il costo, e soprattutto i tempi, di produzione e prototipazione con le nuove tecnologie;

– ridotto il costo di produzione, capire come applicare questo risultato a nuovi concept di prodotto;

– immettere i prodotti rivisitati nel mercato.

Ciò, naturalmente, a condizione che si abbia già ben chiaro il target di riferimento, e si possieda la struttura necessaria per raggiungerlo, perché nella foga di rilettura del prodotto molto spesso ci si dimentica del mercato, come si è ben visto nel progetto della “Ceramica Made in Umbria”:

“Tuttavia, nonostante l’interesse suscitato dal progetto in ambito sia nazionale che internazionale, è venuta a mancare la creazione di una struttura commerciale in grado di gestire tale richiesta a livello di brand unitario. Per suo stesso statuto la Regione non può assumere ruoli e fini commerciali, per cui ad assolvere questo compito avrebbero dovuto essere le aziende, cooperando nella messa a punto delle strategie di produzione, promozione e distribuzione dell’intera collezione. Purtroppo, anziché una propensione al lavoro in squadra, le aziende coinvolte nel progetto hanno dato prova di una certa tendenza all’individualismo che ha inibito in partenza la possibilità di agire entro una dimensione che fosse effettivamente di rete. L’aggregazione, come sottolineano le direttive emanate a tal riguardo dall’Unione Europea, è l’unica opzione che queste aziende hanno oggi per rilanciare la propria produzione all’interno del mercato globale: un’opzione che il sistema dell’imprenditoria umbra sembra non essere ancora pienamente maturo ad accogliere.” 1Si veda http://www.progettorecycle.net/ceramica-made-in-umbria/

Il problema fondamentale per le aziende italiane di dimensioni più piccole non è solo nella rilettura del prodotto ma nella rilettura del proprio modello di business. L’atteggiamento tipico che si riscontra è l’atteggiamento di chi lavora in conto terzi. Più che disponibile a farsi in quattro quando arriva una grossa commessa da un cliente importante, e invece di un immobilismo pericoloso, quasi timore, quando si tratta di muoversi verso il mercato con prodotti propri. Pertanto, oltre a obiettivi relativi al prodotto e al processo produttivo, è di vitale importanza chiarire anche i propri obiettivi di strategia aziendale. A livello generale potrebbero essere riassunti in queste aree:

– creazione o riposizionamento del brand per soddisfare al meglio i target esistenti e individuare nuovi target, generando un aumento di profitto;

– aggregarsi con aziende simili per gestire una strategia commerciale comune;

– darsi un obiettivo di TEMPO.

Il passo successivo sarà quello di pianificare una strategia chiara per raggiungere gli obiettivi prefissati nell’arco di tempo stabilito. Molto semplicemente, una strategia implica sapere dove si vuole andare e decidere il modo migliore per arrivarci. Il “dove” l’abbiamo stabilito (rilettura del brand/nuova strategia commerciale), resta da capire il come. La prima fase imprescindibile è la conoscenza del mercato di riferimento e dei clienti che costituiranno il target di partenza. Nel caso il target non sia già stato ben identificato, è necessario procedere alla sua identificazione il prima possibile! È incredibile quante aziende non conoscano i bisogni e i desideri dei loro clienti.

La seconda fase è relativa all’analisi interna dell’azienda, per fotografare la situazione attuale e capire se vi siano dei gap che potrebbero precludere il raggiungimento degli obiettivi, e per rilevare e saper valutare le competenze già presenti e saperle coordinare al meglio. Se a livello commerciale non vi sono competenze presenti, occorre coinvolgere un temporary manager che gestisca la parte commerciale in coordinamento con le figure apicali dell’azienda.

Tutto ciò può comunque non essere sufficiente per un’azienda di piccole dimensioni. Per raggiungere i mercati desiderati e poter crescere potrebbe essere conveniente aggregarsi con altre aziende in un raggruppamento, che può assumere varie forme purché strutturate con un piano strategico condiviso tra le aziende partecipanti e il relativo personale. È importante inoltre ricordare che un raggruppamento di aziende è da considerare in tutto e per tutto come una nuova azienda. Le forme per aggreagrsi sono più di una. Ecco un semplice schema delle più usate e delle differenze:

tipologie-aggregazione

Per i mercati internazionali le forme aggregative sono ancora più importanti che per il mercato italiano. Il famoso Made in Italy, usato e abusato come brand riconoscibile di eccellenza, deve essere supportato da servizi accessori pre e post vendita, che non possono essere erogati dalla singola azienda, se di piccole dimensioni, ma piuttosto da un raggruppamento di aziende. In ogni caso è da tenere ben presente che la singola azienda nei mercati esteri (resta intesa la necessità di identificare i singoli mercati) ha maggiori difficoltà a negoziare accordi con intermediari in loco.

Le opportunità per rinnovarsi e crescere sono molte, anche per le aziende più piccole, è importante saperle cogliere e sfruttarle nel modo giusto, condividendo le informazioni, facendo squadra dentro e fuori l’azienda, iniziando anche a utilizzare gli strumenti di finanza agevolata o gli strumenti che favoriscono le aggregazioni di imprese, come ad esempio il contratto di rete.

Un solo e singolo aspetto rimane però imprescindibile: conoscere e saper valutare i punti di forza della propria azienda e, a partire da quelli, saper ri-creare e, se vogliamo, ri-ciclare, idee e prodotti già esistenti, attuando un modello di business più competitivo, incline alle rilettura del proprio passato come strategia per guardare al futuro.

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