Quando, come e perché nasce il progetto Ceramica Made in Umbria?
Il progetto nasce nel 2013, quando il servizio per l’internazionalizzazione, lo sviluppo economico e il credito alle imprese della Regione Umbria ha intrapreso un’indagine in merito alla situazione di crisi in cui attualmente versa lo scenario locale della lavorazione della ceramica. A scapito di un passato glorioso che lo ha reso famoso in tutto il mondo, quello della ceramica umbra appare ormai da anni come un settore in grave difficoltà, in cui all’assenza di investimenti finalizzati a generare innovazione ha corrisposto la dismissione di un ingente numero di imprese. È stato quindi per approfondire le cause di tale crisi che la Regione ha avviato una mappatura delle aziende ceramiche attualmente operanti in area umbra, nell’ottica di individuare quali, fra di esse, apparissero più adeguatamente “attrezzate” a supportare un’azione di rilancio produttivo e merceologico del settore. Lo studio, condotto in collaborazione con la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Perugia, ha portato alla selezione di una ventina di soggetti su più di un centinaio, fra singoli artigiani, micro-imprese e aziende di dimensioni più cospicue. Di qui è nata l’idea di un “contributo operativo” alla ricerca, volto alla progettazione di una serie di oggetti in ceramica in grado di intercettare più efficacemente le esigenze dei nuovi mercati nazionali ed esteri. Questo compito è stato affidato a me in qualità di docente dell’Istituto Italiano di Design, l’unica scuola in Umbria a includere il design del prodotto nella propria offerta formativa.
Quali sono dunque le cause di tale crisi?
La ceramica umbra ha tradizionalmente goduto di un elevato grado di consenso da parte del mercato, raggiungendo un picco fra gli anni ‘80 e ‘90 del XX secolo. La crisi finanziaria globale, da un lato, e le rinnovate esigenze manifestate dal pubblico in termini economici ed estetici, dall’altro, hanno fatto sì che tale domanda calasse drasticamente nel giro di pochi anni, cogliendo le aziende del distretto del tutto impreparate a far fronte alla situazione. Le tecniche produttive e gli stilemi formali a cui esse si attenevano erano ancora quelli che hanno fatto celebre la storia della maiolica umbra, ma che al giorno d’oggi, per varie ragioni, non risultano più sostenibili (basti pensare che un piattino del diametro di 20 cm completamente dipinto a mano può arrivare a costare intorno ai 300 euro). Per anni queste aziende hanno vissuto di rendita senza prendere in considerazione le future evoluzioni del mercato, e ciò ha finito per mettere in crisi il settore stesso, e i modelli di produzione e fruizione su cui esso si era fino ad allora basato.
Quante aziende sono coinvolte nel progetto, e in che modo sono state selezionate?
Il progetto coinvolge 21 aziende, selezionate in base a prerogative che denotassero una particolare propensione a innovare e internazionalizzare la propria attività produttiva: un solido apparato tecnico e organizzativo, una buona percentuale di esportazioni all’estero, l’adozione di strategie di comunicazione e vendita online… E via dicendo. Al tempo stesso, la selezione ha tentato di riflettere la ricchezza e la varietà delle tecniche di lavorazione ceramica storicamente diffuse sul territorio umbro: le aziende che partecipano al progetto appartengono non solo all’area di Deruta (il centro produttivo più noto e rinomato), ma anche a realtà come Gubbio, Gualdo Tadino, Orvieto e altre ancora, ciascuna con le sue caratteristiche e peculiarità. È stato principalmente questo aspetto a suggerirmi l’idea di una collezione di prodotti che, a partire dalla tradizione della ceramica umbra intesa nella sua unitarietà, sapesse anche rispecchiare e valorizzare le specificità locali.
Che tipo di modello produttivo ed economico risiede alla base della nuova collezione di prodotti?
Per agevolare economicamente le imprese senza per questo penalizzare la prestazione del designer, oltre ai costi di realizzazione degli stampi e dei prototipi la Regione Umbria ha scelto di coprire anche quelli di progettazione. I diritti della collezione appartengono alla Regione, e ogni impresa coinvolta ne produce uno o più pezzi, svincolata dal pagamento di royalty nei confronti del progettista e facendosi carico unicamente dei costi legati ai processi di produzione degli articoli avuti in concessione. In questo modo i prodotti della collezione valorizzano anche le abilità specifiche delle singole aziende, a partire dalla loro identità storica e dalle tipologie di prodotti già consolidate verso i loro abituali clienti di riferimento.
Perché ritieni importante recuperare la tradizione della ceramica umbra?
In un territorio come l’Umbria, ricco di boschi e fiumi, l’argilla si offre spontaneamente, e fin dai tempi degli Etruschi la produzione di oggetti in ceramica ha rappresentato un’importante testimonianza di evoluzione economica, artistica e culturale. È tuttavia con il Rinascimento che il settore raggiunge la sua soglia di massimo sviluppo, quando artisti come Raffaello, Pinturicchio e il Perugino commissionano agli artigiani ceramisti la messa in forma di oggetti elaborati a partire dai dettagli presenti nelle proprie opere, dando vita agli esemplari che possiamo ammirare oggi in alcuni dei musei più importanti del mondo. Lavorando alla nuova linea di prodotti ho ritenuto imprescindibile confrontarmi con una tradizione che ha segnato a tal punto l’identità storica della nostra regione: ho anzi sentito che, per realizzare qualcosa che fosse al tempo stesso innovativo e tipicamente umbro, era necessario partire proprio dal recupero di questa tradizione, proiettandola nella contemporaneità tramite una rilettura che agisse analogamente sul piano produttivo, funzionale ed estetico.
Cos’è il Banchetto Contemporaneo, e a che categoria di pubblico si rivolge?
Il Banchetto Contemporaneo è una collezione composta da 45 articoli (in prevalenza oggetti da tavola, ma anche altre differenti tipologie di prodotti), che fa riferimento a un mercato contract e retail di alto livello nel campo della ristorazione e dell’ospitalità. Nel reinterpretare un tema ricorrente nella tradizione della ceramica umbra, quello del banchetto, la collezione tenta di intercettare i nuovi scenari della socialità condivisa, concentrandosi principalmente su situazioni conviviali quali catering, degustazioni, aperitivi. Gli oggetti della collezione nascono per connotare scenograficamente lo spazio collettivo e, pur non escludendo un loro possibile uso nel privato delle mura domestiche, si prestano maggiormente a essere impiegati nell’ambito di occasioni speciali piuttosto che a una fruizione quotidiano e di routine. La scelta di una vendita al dettaglio (pensiamo ad esempio agli hotel e ai ristoranti italiani all’estero) è stata motivata anche dai limiti tecnici e funzionali del materiale: la maiolica è molto fragile e, pur essendo un materiale povero, al contrario di impasti come porcellana e grès, non risulta particolarmente adatta a un utilizzo di vasta scala.
Quali sono gli aspetti del processo tradizionale di lavorazione della maiolica che il progetto va a recuperare?
La lavorazione tradizionale è legata all’uso del tornio, alle forme di rotazione, alla circolare perfezione descritta ne I tre libri del vasaio di Cipriano Piccolpasso, in cui il trattatista cinquecentesco raccoglie e sintetizza le conoscenze tecniche sulla produzione della ceramica fino ad allora codificate. Gli oggetti che compongono la collezione richiamano le geometrie realizzabili al tornio, ma sono prodotti tramite stampi in gesso a colaggio: tecnologia, anch’essa di origini antichissime, che permette di ottenere forme anche complesse con costi ridotti e logica di serialità, facendo eco a una standardizzazione di tipo industriale pur rimanendo un procedimento essenzialmente artigianale. Un’ulteriore prerogativa della collezione fa riferimento a un’istanza di astrazione estetica e formale. Storicamente la maiolica è dipinta, fattore che portato, nel corso del tempo, ad assimilare tale lavorazione alla stregua di una vera e propria forma d’arte, tradendone in un certo senso il principio originario: quello di abbellire gli oggetti d’uso quotidiano. Nel mio progetto ho privato la pittura di questo ruolo centrale attribuendolo invece alla materia, tramite la creazione di motivi in rilievo ispirati alle decorazioni pittoriche tradizionali; il colore è invece ridotto a poche pennellate, che, a seconda di come il pigmento si distribuisce fra una rientranza e l’altra, creano effetti unici e irripetibili che contribuiscono a rimarcare il carattere artigianale di ciascun prodotto.
E in che modo il progetto mette in relazione tale tradizione produttiva con il panorama delle tecnologie attuali?
Le texture che appaiono in rilievo sulla superficie dei pezzi sono state disegnate attraverso un software CAD e successivamente trasferite su maschere in lamiera metallica da imprimere sul materiale in fase di stampaggio. Oltre al fatto che sarebbe stato assurdo chiedere allo stampista di riprodurre delle forme così regolari e minute direttamente all’interno dello stampo, tale procedura asseconda tecnicamente l’idea di decoro applicato come strato materico anziché cromatico. Un secondo aspetto riguarda l’utilizzo di un codice QR, leggibile tramite smartphone e altri dispositivi mobili, in luogo del classico marchio di fabbrica con cui ogni bottega usava siglare i propri pezzi per denotarne la provenienza. Grazie a questo sistema, ciascun pezzo rimanda interattivamente a un contenuto online correlato, che permette di rintracciare, insieme ai dati dell’azienda produttrice, alle specifiche tecniche del prodotto e alle informazioni sull’acquisto, anche un approfondimento storico sul dettaglio della tradizione locale a cui l’articolo in questione si ricollega.
Quali sono state le strategie di comunicazione legate al progetto?
L’identità visiva trae ispirazione dagli elementi tipici del processo produttivo della ceramica: il logo, ad esempio, richiama il profilo del parallelepipedo di argilla, il blocco di materia grezza da cui la lavorazione ha inizio per svilupparsi attraverso configurazioni via via sempre più articolate. Dal punto di vista comunicativo, un ruolo predominante è stato affidato al sito web, realizzato con la logica dell’app e pertanto facilmente fruibile su dispositivi sia desktop che mobile. Interamente gestito dallo studio perugino Salt & Pepper, il progetto di immagine coordinata e comunicazione di Ceramica Made in Umbria è stato di recente selezionato per la partecipazione all’edizione 2016 di ADI Design Index.
Che tipo di impatto economico ha riscontrato il progetto a livello sia nazionale che internazionale?
Il Banchetto Contemporaneo è stato presentato per la prima volta nell’ambito della grande mostra dedicata a Steve McCurry tenuta a Perugia nel 2014. Successivamente è stato proposto in diverse altri circostanze – in occasione delle manifestazioni milanesi del Salone del Mobile e Homi, ad esempio, e anche all’estero, nel contesto della sede newyorchese di Eataly –, in ciascuna delle quali ha ricevuto riscontri molto favorevoli e incoraggianti da parte del pubblico. Tuttavia, nonostante l’interesse suscitato dal progetto in ambito sia nazionale che internazionale, è venuta a mancare la creazione di una struttura commerciale in grado di gestire tale richiesta a livello di brand unitario. Per suo stesso statuto la Regione non può assumere ruoli e fini commerciali, per cui ad assolvere questo compito avrebbero dovuto essere le aziende, cooperando nella messa a punto delle strategie di produzione, promozione e distribuzione dell’intera collezione. Purtroppo, anziché una propensione al lavoro in squadra, le aziende coinvolte nel progetto hanno dato prova di una certa tendenza all’individualismo che ha inibito in partenza la possibilità di agire entro una dimensione che fosse effettivamente di rete. L’aggregazione, come sottolineano le direttive emanate a tal riguardo dall’Unione Europea, è l’unica opzione che queste aziende hanno oggi per rilanciare la propria produzione all’interno del mercato globale: un’opzione che il sistema dell’imprenditoria umbra sembra non essere ancora pienamente maturo ad accogliere.