Gli inerti del Veneto.

Di Giuseppe Caldarola
Il recupero ecologico di materiali da costruzione individua un approccio alla pratica edilizia fondato su un principio di rigenerabilità delle stesse componenti, che si estende in una prospettiva multiscalare dalla dimensione del singolo manufatto a quella del sistema territoriale. Tuttavia, nel prefigurare frontiere operative ad alto indice di innovazione, i processi finalizzati al riciclo di inerti devono necessariamente passare al vaglio di un rigoroso sistema normativo, fatto di direttive, autorizzazioni, permessi e certificazioni, anche contrastanti, che ne regolamenta e vincola i presupposti di effettiva praticabilità o ne condiziona la “convenienza” del recupero in sostituzione dello “smaltimento”, oltre che l’opzione per i materiali riciclati in sostituzione di quelli naturali “vergini”. Uno degli esempi più lampanti di tale condizione riguarda lo scenario del Veneto, dove, all’esistenza di uno solido apparato produttivo e tecnologico fa riscontro un sistema normativo in parte arretrato, o almeno non organico e sistematico, che limita sensibilmente le opportunità di sperimentazione e ricerca da parte delle aziende specializzate nel settore.

Il riciclo di materiali attiene all’individuazione di modalità tecnico-operative e costruttive di reimpiego, tra gli altri, di scarti di attività edilizie (costruzioni e demolizioni),1 L’andamento del settore delle costruzioni a livello nazionale (fointe ISPRA, rapporto sui rifiuti, gennaio 2013, disponibile on-line all’indirizzo www.isprambiente.gov.it) fornisce indicazioni utili a comprendere le quantità in gioco. I dati disponibili sono aggiornati al 2010 e indicano che a fronte di una produzione pari a 42 Mt, le quantità di materiali destinati a recupero si aggirano intorno a 30Mt con un tasso pari a circa il 70%. Occorre tuttavia discutere questo dato in quanto non tutti i rifiuti recuperati rientrano nella filiera delle costruzioni e che una parte delle quantità in gioco vengono indicate come “recuperi” solo impropriamente ove dovrebbero più correttamente indicarsi come smaltimenti. Infine, va rimarcato che non tutti i materiali recuperati hanno le caratteristiche per essere veri e propri prodotti da costruzione. come anche di processi produttivi. La sistematica analisi di processi di riciclo di tali materiali diviene l’occasione per la creazione di reti di strutture produttive e finanziarie legate alla demolizione e allo smaltimento e al re-impiego degli scarti delle attività edilizie come dei processi di lavorazione (opportunamente trattati a costituire materie “prime” re-immissibili in cicli di produzione) ma anche all’investimento immobiliare su restauro e recupero che possono trarre vicendevolmente vantaggio economico e produttivo da un processo di riconfigurazione sostenibile del territorio.

Il continuo fabbisogno di materie prime – e per le quantità in gioco, centrali risultano la localizzazione sul territorio e il ruolo degli impianti di recupero – diviene una occasione per individuare modalità d’uso low-cost e low-tech alternative per tanti materiali di scarto generalmente destinati a smaltimento mediante conferimento in discarica o, nei casi migliori, al re-impiego per la realizzazione di sole opere ‘sottosuolo’ (sottofondi, strati di fondazione, riempimenti, colmate, ecc…). Numerosi sono gli studi e le sperimentazioni che muovono verso l’apertura di nuovi e molteplici campi applicativi per tali materiali. A fronte di numerose esperienze virtuose, specie in ambito europeo ed extra-europeo, questo settore -in verità centrale nel dibattito teorico e supportato dall’avanzamento delle sperimentazioni in atto- si muove in bilico tra innovazione tecnologica (possibile e auspicabile) e ritardi normativi. I contenuti di questo scritto racconlgono esiti interpretativi parziali delle attività condotte dall’autore durante l’annualità di assegno di ricerca FSE “Turismo, Territorio, Riciclo: riciclo di reti ferroviarie e infrastrutturali dismesse e di fabbricati abbandonati a favore dello sviluppo di itinerari turistici a percorrenza lenta nell’area veneta”, sub-titulo “Riciclo e Restauro territoriale”.2 La ricerca è stata condotta in partenariato tecnico-operativo con l’azienda REM srl di Motta di Livenza, referenti aziendali Alberto Battistella e Marta Camilotto, che qui si ringrazia per il contributo di idee e per il supporto generale in ogni fase delle attività.

Quali materiali: gli inerti riciclati

panoramica
Impianto di recupero, REM srl, Motta di Livenza, foto di Giuseppe Caldarola, 2014

Nell’ampia gamma dei materiali riciclati, particolarmente interessanti risultano gli inerti trattati dagli impianti di recupero il cui impiego è, sempre più spesso, sostitutivo (anche solo parzialmente) di materiali “naturali” o “vergini” nella realizzazione di manufatti infrastrutturali o in opere di ingegneria civile. Per queste realizzazioni si registra l’impiego di aggregati riciclati, specialmente ottenuti dalla lavorazione di rifiuti da costruzione e demolizione tra cui quelli derivanti dall’attività edilizia e dalla costruzione e manutenzione di strade, in affiancamento all’uso/ri-uso dei terreni e delle rocce da scavo. Tali rifiuti da C&D sono in gran parte composti da cemento, mattoni, mattonelle e altri materiali ceramici, terre e rocce, miscele bituminose, metalli, vetri, legni e plastiche, tutti (secondo la normativa vigente) catalogati come rifiuti speciali appartenenti al capitolo 17 del Codice CER. Per origine, essi derivano da attività di costruzione, manutenzione, ristrutturazione, demolizione, ecc. di edifici pubblici e privati; da opere civili e infrastrutturali; da attività industriali dei settori tra cui l’industria di prefabbricati, la ceramica, le pietre ornamentali, la fabbricazione e prefabbricazione di elementi e componenti delle costruzioni civili (mattoni, piastrelle, elementi strutturali in c.a., ecc.). La loro composizione può essere invece estremamente variabile in dipendenza dalla tecnologia di costruzione, dai tipi di materie prime, dalle condizioni territoriali (per quanto attiene a caratteristiche climatiche oltre che di sviluppo economico e tecnologico). Per tali materiali residuali, vale la pena ricordare che un impianto di recupero costituisce una alternativa al conferimento in discarica per rifiuti speciali non pericolosi e che all’interno del medesimo impianto vengono effettuate tutte quelle lavorazioni (selezione, separazione di materiali e sostanze indesiderate, vagliatura, deferrizzazione, ecc…) necessarie alla trasformazione del “rifiuto” stesso, sia questo composto da macerie o da scarti di processi produttivi, altrimenti destinato al conferimento in discarica e che comunque ha già esaurito il suo ciclo di vita, in materia prima. In un impianto di recupero si producono materiali che si possono ricomprendere nelle macrocategorie dei misti cementati (calcestruzzi e laterizi) generalmente composti da rifiuti da C&D, frazioni di raccolta differenziata non direttamente re-immissibili in cicli di produzione, scarti di processi di lavorazione (i.e., le sabbie refrattarie). Tra queste ultime, anche lo scarto di quelle impiegate per la realizzazione delle tegole canadesi), scorie (ceneri, scorie di acciaieria o loppa di fonderia) o sabbie di vetro (provenienti dalla frantumazione del vetro, la frazione non ricondotta in vetreria, proveniente da raccolta differenziata). Tutti questi materiali opportunamente trattati e vagliati concorrono alla formazione di macinati e stabilizzati per l’uso in sottofondi per opere infrastrutturali.

Stoccaggio di inerti lavorati, REM srl, Motta di Livenza, foto di Giuseppe Caldarola, 2014
Stoccaggio di inerti lavorati, REM srl, Motta di Livenza, foto di Giuseppe Caldarola, 2014

Tali scarti di attività edilizie e di processi di lavorazione, attraverso le lavorazioni condotte all’interno di impianti di recupero, concorrono alla formazione di nuovi materiali, utilizzati singolarmente o aggregati in mescola (con o senza agenti leganti bituminosi o cementizi) classificabili come: macinati rilevati vagliati, macinati rilevati, sabbie per sottofondi, stabilizzati vagliati. Costituiscono aggregati riciclati tecnici con più o meno elevate caratteristiche meccaniche di resistenza e portanza, prodotti da processi di frantumazione, selezione e vagliatura.

Ipotizzare per questi materiali usi alternativi in settori “altri” (pur tutti collegati alle attività edilizie) significa provare a valutarne l’applicabilità in ambiti innovativi tutti in grado di restituire esiti costruiti sul territorio e di delineare sostanziali variazioni nell’immagine complessiva dei luoghi. In generale i materiali riciclati possono divenire “occasione” per innescare processi produttivi e post-produttivi virtuosi se adottati in sostituzione di quelli di “prima” produzione e il loro uso risulta sostenibile sia da un punto di vista economico che ambientale. In questo senso è inevitabile il riferimento all’infrastrutturazione del territorio.

Con specifico riferimento all’area veneta, si possono già registrare una serie di progetti (alcuni realizzati, altri in corso di realizzazione o non ancora cantierizzati) di infrastrutturazione sia “pesante” che “leggera” del territorio che compongono una casistica più o meno “virtuosa” dell’uso degli inerti riciclati in sostituzione degli aggregati naturali. Vi si possono annoverare le realizzazioni della terza corsia sull’autostrada A4, da Venezia in direzione Trieste, della Valdastico e della Pedemontana Veneta piuttosto che numerosi percorsi e itinerari ciclabili e pedonali attrezzati sull’intero territorio regionale (i.e., la trasformazione della ferrovia dismessa Treviso-Ostiglia in itinerario ciclabile). Questi compongono una quadro variegato di esiti costruiti sul territorio, alcuni peraltro recentemente divenuti oggetto di cronaca per questioni di “qualità” del progetto, usi impropri o difformità dei materiali utilizzati, rispetto ai parametri fissati in fase di affidamento degli incarichi di progettazione o cantierizzazione, o per problematiche di natura ambientale occorse in fase di realizzazione o durante il ciclo di vita dei manufatti costruiti.

I cicli produttivi

Processi di lavorazione: movimentazione, separazione e vagliatura, REM srl, Motta di Livenza, foto di Giuseppe Caldarola, 2014
Processi di lavorazione: movimentazione, separazione e vagliatura, REM srl, Motta di Livenza, foto di Giuseppe Caldarola, 2014

I cicli di produzione edilizia si sono tradizionalmente strutturati secondo modelli “lineari” che vanno dal reperimento delle risorse naturali (i.e., le attività estrattive) alla formazione dei rifiuti passando attraverso la produzione delle materie prime e delle componenti, la costruzione, l’intero ciclo di vita di materiali e di manufatti fino alla demolizione e allo smaltimento. Per contro l’uso dei materiali riciclati può dirsi innescare modelli di uso e gestione “ciclici” con un migliore impiego di risorse e con l’allungamento del loro ciclo di vita. In questa condizione tali materiali possono destinarsi al riuso di edifici interi, alla costruzione di nuovi edifici, alla produzione di nuovi componenti, alla produzione di nuovi materiali. Possono legarsi a scenari terminali quali il riuso di edifici o loro ricollocazione, di componenti (o ricollocazione in nuovi edifici), di materiali nella produzione di nuove componenti, il riciclo dei materiali da utilizzarsi al posto di risorse primarie. Gli inerti riciclati non sono più “rifiuti” ma a materie prime “seconde”, cioè non “vergini” ma derivanti da materiali per i quali, mediante post-produzione, si rende possibile un secondo ciclo di vita. Il passaggio terminologico dalle parole “rifiuto”, “scarto”, “scoria” a quello di “materie prime seconde” rende conto di un necessario cambio di paradigma di primaria importanza.

Tipologie di materie prime “seconde” (macinati rilevati vagliati, macinati rilevati, sabbie per sottofondi, stabilizzati variati) © REM srl, Motta di Livenza
Tipologie di materie prime “seconde” (macinati rilevati vagliati, macinati rilevati, sabbie per sottofondi, stabilizzati variati) © REM srl, Motta di Livenza

Il loro uso suggerisce altrettanto necessari cambiamenti nei criteri di progettazione dei manufatti basati sulla circolarità della produzione edilizia, fondata sul recupero e riciclo di risorse e prodotti: a fine vita, non più “rifiuti”, ma materie prime “seconde” da riusare o riciclare. Il rifiuto diviene risorsa: si supera il concetto di “scarto” e, laddove ogni prodotto è composto da parti tecniche e biologiche, le prime possono re-immettersi nei cicli produttivi per nuovi assemblaggi e riusi con minimi consumi possibili di energia. Tutto ciò si basa su lavorazioni e cicli di post-produzione in impianto di recupero in verità abbastanza “elementari” (selezione, deferrizzazione, vagliatura, ecc.) e a basso contenuto tecnologico ma la loro efficacia, nei termini della produzione di materiali riciclati qualitativamente assimilabili a quelli naturali, passa necessariamente attraverso un più generale ripensamento dell’intero sistema della produzione edilizia.

Quali opportunità: gli usi possibili

Gli inerti riciclati trovano applicazione in forma legata o non legata: gli aggregati sono utilizzati “sciolti” o in mescola con agenti leganti, a formare misti cementati o bituminosi. È opportuno ricordare che, dal punto di vista del mercato, i fattori favorevoli all’uso degli aggregati riciclati in sostituzione di quelli naturali consistono prevalentemente nel prezzo minore, nella elevata domanda di materiali con basse prestazioni e nel contenimento dei costi di trasporto. I settori prevalenti di utilizzo riguardano la realizzazione delle opere in terra dell’ingegneria civile, dei corpi di rilevati delle medesime opere, di recuperi ambientali, riempimenti e colmate, di lavori stradali e ferroviari, di sottofondi stradali, ferroviari, aeroportuali e di piazzali civili e industriali, di strati di fondazione delle infrastrutture di trasporto, di strati accessori con funzione anticapillare antigelo e drenante. I conglomerati bituminosi, recuperati con fresatura, sono prodotti di elevate caratteristiche tecniche riutilizzabili nell’ambito delle stesse costruzioni stradali da cui provengono (strati di usura e collegamento composti da aggregati lapidei naturali e da bitume). I frantumati misti di demolizione trovano applicazione nella realizzazione dei corpi dei piazzali o delle strade in alternativa alle sabbie naturali, alle ghiaie e agli stabilizzati. I frantumati grossi di mattoni e cementi divengono materiali applicabili in sottofondi stradali quali strati inferiori rispetto alla stesa di misti stabilizzati, nonché in strati di fondazione di parcheggi e strade al di sotto di misti stabilizzati.

Tali materie prime seconde, opportunamente trattate in modo da poter essere assimilate ai materiali lapidei, trovano ulteriori utilizzi in manufatti per i quali si ricorre normalmente a inerti naturali. Tra gli usi possibili va citata la composizione di elementi alveolari, ripetibili all’infinito, utilizzati nella formazione di sistemi di pavimentazione da esterni. Possono inoltre divenire componenti per la rimodellazione ambientale, a formare elementi di svariate forme, anche molto irregolari. Tra gli usi più largamente attestati si ritrovano applicazioni per la formazione di elementi standardizzati per pavimentazioni di superfici scoperte (i.e., nei parcheggi) con caratteristiche utili a garantire percentuali graduali di permeabilità dei suoli e sagome idonee alla formazione di vuoti normalmente destinati all’inerbimento. Ulteriori impieghi di inerti riciclati in sostituzione di quelli naturali riguardano la formazione di terre armate, pareti di sostegno rinverdibili per scarpate, rilevati e terrapieni; rivestimenti e terrazzamenti, divisori di proprietà, barriere verdi fonoassorbenti (anche in calcestruzzo riciclato e terra), barriere verdi di protezione visiva, elementi di arredo urbano tra cui dissuasori stradali, elementi di seduta, pavimentazioni di percorsi pedonali. Ma i materiali riciclati (non solo gli inerti classici) vengono sempre più spesso utilizzati per la produzione di calcestruzzi (con funzione non strutturale): si fa riferimento ai calcestruzzi additivati con vari materiali anch’essi di riciclo (applicazioni in pavimentazioni industriali), con polimeri riciclati (in sottofondi di supporto per impianti di riscaldamento a pavimento, per barriere antirumore), con canapa e materiali naturali di origine vegetale (per isolamento murature, formazione di intonaci isolanti per murature interne e esterne e coperture), con ceneri volatili (produzione di cementi di miscela e sottofondi stradali).

Quali ostacoli: tra normative e filiere produttive interrotte

La molteplicità di usi individuati per gli inerti riciclati rende conto di una serie di “occasioni” di progetto che possono trarre vantaggio dal ricorso a tali materiali in sostituzione di quelli naturali o di prima produzione. Sussistono tuttavia anche elementi ostativi e limitazioni d’uso che attengono a molteplici ordini di fattori. Si tratta di vincoli indotti dai processi di produzione piuttosto che dalle specifiche normative di settore. A questi si affiancano questioni più strettamente legate alla “percezione” di tali materie prime seconde, ancora legate alla condizione di “rifiuto”, di “scarto”. La sommatoria di questi tre fattori rende il settore degli inerti riciclati non ancora in grado di esplicitare a pieno le proprie potenzialità.

Il primo ordine di fattori è legato alle problematiche relative alla selezione di materiali idonei a essere immessi all’interno di processi di recupero ecologico, che vincola e gradua su scala territoriale (con differenze cospicue a seconda dei contesti geografici) l’effettiva opportunità di propendere per riciclare tali materiali presso aziende specializzate invece che per il conferimento in discarica. A questo si deve sommare la disponibilità di materie prime e la facilità di reperimento in prossimità degli ambiti territoriali in cui si localizzano gli interventi. Da questa condizione sembra infatti derivare la maggiore o minore propensione all’uso dei riciclati sia dal punto di vista dell’investimento su innovazione tecnologica e sperimentazione che dell’adeguamento dei processi produttivi e delle progettazioni per il conseguimento di obiettivi di qualità di prodotto e per la costruzione di filiere produttive con il coinvolgimento di più attori di processo. E le problematiche legate alla filiera produttiva attengono anche alle specifiche condizioni e tipologie degli impianti di recupero e delle lavorazioni dagli stessi effettuate.

Il secondo ordine di fattori è legato ai quadri normativi vigenti, alla sommatoria degli stessi (direttive, normative e regolamenti europei, nazionali, regionali e locali) e ai conflitti di competenze tra Enti e soggetti legiferanti o preposti al controllo e tra questi e i tessuti produttivi locali. Ne derivano alterne applicazioni, più o meno “virtuose” dal punto di vista del contenimento del consumo di risorse e delle condizioni di facilitazione o inibizione di lavorazioni, produzioni e immissioni sul mercato di materiali innovativi o di facilitazioni di processo.

Il terzo ordine di fattori – in parte più aleatorio rispetto ai precedenti – appare parimenti importante e attiene ad un cambiamento nella “percezione” della qualità dei materiali riciclati, da scindersi rispetto all’origine degli stessi a partire da un “rifiuto”, dallo “scarto”: ciò, al fine di generare nuove disponibilità all’uso di tali materiali da parte dei possibili nuovi utilizzatori. Favorisce questo necessario cambiamento di percezione la sostituzione dei termini di “rifiuto” e di “scarto”con quello di materie prime “seconde” e una diversa comunicazione sui temi del recupero ecologico, al fine di sensibilizzare gli attori di processo all’aggiornamento dei quadri conoscitivi sulle proprietà e caratteristiche dei materiali riciclati, anche attraverso un più sistematico confronto di caratteristiche, convenienze, opportunità e possibilità applicative.

Si muovono sicuramente nella direzione della rimozione di alcuni degli elementi limitativi dell’uso degli inerti riciclati alcune modifiche recenti sui dispositivi di legge e sui principali documenti normativi, anche se gli indirizzi innovativi hanno carattere prevalentemente ambientale e sono spesso riconducibili a strategie e politiche legate ad un’ottica di futura “Discarica zero” senza incidere sulle nature dei materiali e sul loro confezionamento e trattamento.

Un esempio di aggiornamento dei quadri normativi di riferimento è rintracciabile ad esempio nell’autorizzazione all’uso (in quota parte) dei materiali riciclati per il confezionamento dei calcestruzzi. Tra le previsioni del Green Public Procurement (GPP o Acquisti Verdi), vi sono alcune definizioni di Criteri Ambientali Minimi per le categorie delle costruzioni e ristrutturazioni di edifici con particolare attenzione ai materiali edili, alla costruzione e manutenzione delle strade e all’arredo urbano. Nella Direttiva 98/2008/CE, che fissa gli obiettivi di riciclo e riporta la politica europea in tema di rifiuti, si rimarca la priorità delle operazioni di riciclaggio rispetto a quelle di smaltimento in discarica e vi si dettano le condizioni per elaborare criteri affinché i rifiuti, se sottoposti ad operazioni di recupero (incluso il riciclaggio), cessino di essere tali in un’ottica di perseguimento dell’obiettivo end of waste.3 La direttiva impone, al fine di definire il momento il cui un rifiuto sottoposto a operazioni di recupero diventi prodotto, di elaborare criteri specifici finalizzati alla valutazione della qualità degli aggregati riciclati. Gli aggregati devono rispondere a requisiti tecnici e ambientali. Dal punto di vista del primo ordine di requisiti, la rispondenza viene ‘certificata’ a mezzo della marcatura CE secondo le Norme Europee Armonizzate; per quanto attiene invece ai requisiti ambientali, la rispondenza viene verificata a mezzo di test di cessione. Con riferimento alla Certificazione LEED degli edifici, si fissano una serie di pre-requisiti obbligatori per i quali l’edificio o il manufatto edilizio in costruzione o ristrutturazione possa ottenere, appunto, la certificazione: tali criteri attengono alle macro-categorie di sostenibilità del sito, gestione delle acque, energia e all’atmosfera, materiali e uso delle risorse, qualità ambientale, innovazioni introdotte nella progettazione. Con riferimento al tema dei rifiuti da C&D, sussistono una serie di requisiti e relativi obblighi corrispondenti tra cui la dotazione di stazioni di riciclo o riuso dedicate alla separazione, alla raccolta e allo stoccaggio di materiali da riciclare o la localizzazione di progetti all’interno di amministrazioni locali che effettuino la raccolta differenziata; la presenza di punti di raccolta per conferimento di rifiuti potenzialmente pericolosi; di stazioni o siti di compostaggio; localizzazione in isolati ad uso misto o non residenziale di contenitori per la raccolta differenziata. Per le attività di costruzione e demolizione, infine, l’obbligo di riciclare e/o recuperare almeno il 50% dei rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi e di elaborare un piano di gestione dei rifiuti che identifichi i materiali destinati a discarica e/o a impianto di recupero. Tutto ciò, come evidente, fa riferimento alla tendenza al potenziamento d’uso dei materiali riciclati – nello specifico, appunto, gli inerti – e passa soprattutto attraverso l’accurata progettazione delle attività di demolizione, nel senso di giungere a una “vera” demolizione selettiva.

A livello di regolamenti e di quadri di riferimento normativi prodotti dagli Enti locali, la Provincia Autonoma di Trento ha elaborato un apposito Piano Provinciale per lo Smaltimento dei Rifiuti con specifico stralcio per la gestione dei rifiuti speciali inerti non pericolosi provenienti da costruzione e demolizione; le Norme Tecniche Ambientali per la produzione dei materiali riciclati e posa nella costruzione e manutenzione di opere edili, stradali e recuperi ambientali (Del. Giunta Provinciale 24 giugno 2011, n.1333 – All. B) e le Linee Guida per la corretta gestione di un impianto di recupero e trattamento rifiuti e per la produzione di materiali riciclati da impiegare nelle costruzione (Del. Giunta Provinciale 24 giugno 2011 – All. A). La necessità della dotazione di tali strumenti nasceva proprio dalle specifiche condizioni dei settori produttivi trainanti dell’economia trentina, specie caratterizzata dall’attività estrattiva. Inoltre la Regione Emilia Romagna ha più recentemente predisposto il Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti che, tra i numerosi obiettivi e priorità, ha posto la promozione di strumenti operativi finalizzati a favorire una gestione dei rifiuti ambientalmente corretta e sostenibile, anche finalizzata a dare nuovo impulso allo sviluppo economico di vari settori imprenditoriali.

Ben diverso appare lo stato di avanzamento dei quadri di riferimento normativi e delle ricadute sui processi produttivi se si guarda all’area veneta. Questo contesto regionale appare significativo per sue condizioni intrinseche: non solo per la localizzazione e il numero di impianti di recupero sul territorio ma anche (dato, questo, che sembrerebbe in controtendenza) la ridotta operatività degli stessi a fronte della quantità di domanda di movimentazione di materiali generata e supportata dalle specifiche condizioni del tessuto produttivo e delle attività edilizie. In questo contesto territoriale, a fronte di un elevato indice di innovazione di processo e di prodotto, molte lavorazioni e sperimentazioni non risultano possibili o ancora economicamente vantaggiose a causa di ritardi e lacune dei sistemi e degli strumenti normativi oltre che delle specifiche condizioni del settore di produzione dei materiali riciclati. Tra le altre cose, vale la pena ricordare l’assenza di un piano generale sistematico di gestione dei rifiuti o di regolamentazione delle attività estrattive, condizione per cui se da un lato è cresciuta negli ultimi anni la localizzazione di impianti di recupero sul territorio, dall’altro (e parallelamente) si assiste ancora al rilascio di licenze per lo sfruttamento delle attività estrattive che generano ulteriori consumi di risorse naturali e di territorio. E questa condizione appare rafforzata dall’attuale crisi del settore edilizio che ha generato anche una riduzione delle “convenienze” in termini di costi di produzione, di vendita e di trasporto di materiali riciclati rispetto a quelli naturali, di cava. Da ciò, la non primaria necessità e importanza dell’aggiornamento dei capitolati d’appalto e una sostanziale riduzione della disponibilità degli attori di processo alla valutazione di scenari alternativi di produzione edilizia.

Inerti riciclati e progetto di architettura, di territorio, di paesaggio

Il bilanciamento tra opportunità d’uso dei materiali riciclati ed elementi ostativi del loro impiego – li si è detti di carattere normativo, di processo di produzione, di filiera e di applicazioni possibili – restituisce parimenti “saldo positivo” e sostiene ugualmente la tendenza all’innovazione. Tra le varie possibilità, risulta particolarmente in grado di aprire nuovi scenari l’impiego degli inerti riciclati in opere “sopra-suolo” e, più specificatamente, nel progetto di architettura, di territorio e di paesaggio. Il lavorare con gli inerti riciclati offre infatti ampie potenzialità multiscalari che vanno dalla scala del singolo manufatto edilizio e delle sue componenti alla ristrutturazione territoriale e sua nuova infrastrutturazione secondo logiche differenti rispetto a quelle ormai consolidate nelle pratiche progettuali. Rispetto alle attuali condizioni di contesto – e con riferimento non solo al livello nazionale italiano, ma soprattutto ai contesti regionali e, specie, in aree quali quella veneta – il settore degli inerti riciclati per meglio esprimere le potenzialità dei materiali stessi necessita della garanzia di adeguatezza della lavorazione dei materiali negli impianti di trattamento (in termini di efficacia ed efficienza) e di disponibilità dei prodotti recuperati nel territorio; della rispondenza delle caratteristiche dei prodotti recuperati ai requisiti di idoneità previsti dalle specifiche normative di settore; dell’individuazione di condizioni di applicabilità degli inerti, opportunamente verificati e certificati, alle varie occasioni progettuali; del perseguimento dell’obiettivo del raggiungimento di livelli prestazionali in opera simili o confrontabili tra aggregati riciclati e di origine naturale anche attraverso una attenta valutazione dei benefici ambientali ed economici.

Tali condizioni possono generarsi anche e soprattutto attraverso un’alterazione dell’attuale network di relazioni –ancora in contesto veneto molto limitate – che coinvolge il sistema delle aziende che si occupano di recupero ecologico, ipotizzando prospettive di apertura verso ulteriori categorie di interlocutori.

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1. L’andamento del settore delle costruzioni a livello nazionale (fointe ISPRA, rapporto sui rifiuti, gennaio 2013, disponibile on-line all’indirizzo www.isprambiente.gov.it) fornisce indicazioni utili a comprendere le quantità in gioco. I dati disponibili sono aggiornati al 2010 e indicano che a fronte di una produzione pari a 42 Mt, le quantità di materiali destinati a recupero si aggirano intorno a 30Mt con un tasso pari a circa il 70%. Occorre tuttavia discutere questo dato in quanto non tutti i rifiuti recuperati rientrano nella filiera delle costruzioni e che una parte delle quantità in gioco vengono indicate come “recuperi” solo impropriamente ove dovrebbero più correttamente indicarsi come smaltimenti. Infine, va rimarcato che non tutti i materiali recuperati hanno le caratteristiche per essere veri e propri prodotti da costruzione.
2. La ricerca è stata condotta in partenariato tecnico-operativo con l’azienda REM srl di Motta di Livenza, referenti aziendali Alberto Battistella e Marta Camilotto, che qui si ringrazia per il contributo di idee e per il supporto generale in ogni fase delle attività.
3. La direttiva impone, al fine di definire il momento il cui un rifiuto sottoposto a operazioni di recupero diventi prodotto, di elaborare criteri specifici finalizzati alla valutazione della qualità degli aggregati riciclati. Gli aggregati devono rispondere a requisiti tecnici e ambientali. Dal punto di vista del primo ordine di requisiti, la rispondenza viene ‘certificata’ a mezzo della marcatura CE secondo le Norme Europee Armonizzate; per quanto attiene invece ai requisiti ambientali, la rispondenza viene verificata a mezzo di test di cessione.