Cuoio, pelle sintetica e materiali compositi. Caratteristiche, degrado e conservazione

Di Valentina Perzolla, Chris Carr, Stephen Westland
Questo articolo rappresenta un’introduzione allo studio specialistico di materiali compositi che, per varie ragioni illustrate nel testo, potrebbero entrare presto a far parte di collezioni museali.
Nella prima parte vengono descritte alcune caratteristiche e proprietà (chimiche e fisiche) del cuoio conciato al cromo, mentre nella seconda parte si presentano le pelli sintetiche. Entrambi i materiali risultano indispensabili per comprendere a pieno i compositi di natura collagenosa, i quali sono costituiti da fibre di collagene e rivestiti con materiale polimerico. Tali compositi sono studiati per replicare l’aspetto e le proprietà del cuoio oltre che per ragioni ambientali. La terza parte, infine, espone le ragioni dello studio dei materiali innovativi con finalità sia conservative che industriali. L’articolo si chiude sottolineando l’importanza della conservazione preventiva e come la parziale comunanza di interessi dei due ambiti, quello della conservazione e quello dell’industria, possa costituire un punto di partenza essenziale per introdurre nuove pratiche conservative.

pelli
Esempi di varie tipologie di pelli sottoposte a differenti metodi di concia e finitura

Introduzione

La lavorazione delle pelli animali è considerata da alcuni studiosi come il primo esempio di manifattura a opera dell’uomo (Forbes, 1957). Se è vero che questo processo ha iniziato a diffondersi già in tempi antichi, bisogna ricordare che i primi trattamenti non consistevano in veri e propri processi ci concia. Prima di arrivare a produrre un materiale complesso quale il cuoio sono stati necessari millenni di tentativi, errori, innovazioni e progressi tecnologici (Thomson, 2011). Nella seconda metà dell’800 è stata introdotta la pelle sintetica, caratterizzata da un supporto in tessuto e l’aggiunta di un rivestimento polimerico (Fung, 2002).

Da un decennio a questa parte è comparsa, accanto a pelli naturali e sintetiche, la pelle composita. Tale prodotto è caratterizzato dalla compresenza di fibre provenienti dalla lavorazione del cuoio, tessuti e sostanze polimeriche di rivestimento. Se da un lato la presenza di un rivestimento plastico può sminuire il fascino tipico della pelle, in questi compositi l’innovazione tecnologica si sposa con l’interesse per la sostenibilità ambientale.

Oggetti in pelle provenienti da diversi periodi storici sono facilmente individuabili all’interno di innumerevoli collezioni museali (Ravilio, 2010) e il numero di testimonianze culturali, storiche e artistiche in pelle sintetica è in continuo aumento. Per tale ragione entrambe le tipologie di prodotti hanno avuto modo di essere esaminate sotto il profilo scientifico-conservativo, valutando il degrado e i meccanismi che lo determinano oltre ai metodi per migliorarne la conservazione. I nuovi materiali che giungono sul mercato, al contrario, sono testati per misurare le loro performance ma non per la resistenza al degrado; questo determina una notevole quantità di incognite sia per il quotidiano impiego del materiale che per la sua vita in museo. Il percorso dei nuovi materiali compositi verso una riduzione dell’impatto ambientale dovrebbe essere accompagnato dalla volontà di studiare anticipatamente i meccanismi di degrado e le possibili soluzioni a eventuali futuri problemi. Un simile approccio sarebbe non solo in linea con le attuali tematiche della sostenibilità, ma anche con il percorso, già segnato da anni, della conservazione preventiva in ambito museale.

La pelle e la sua composizione

I termini pelle e cuoio, che in inglese vengono riassunti dal sostantivo leather, rientrano in una categoria di materiali realizzati a partire dalla pelle animale. A seconda del tipo di animale e dell’applicazione per cui si vuole utilizzare il supporto si possono avere prodotti molto diversi. Le caratteristiche sono strettamente legate ai processi che precedono la concia, al tipo di concia e alla qualità dei reagenti impiegati nelle varie fasi di produzione. Quindi, per comprendere il comportamento macroscopico del cuoio è indispensabile sia capirne la composizione chimica sia quali sono i fenomeni che, seppur avvenendo a livello microscopico, influenzano l’intera struttura.

In primo luogo, non si puo’ parlare di pelle e di cuoio senza citare il collagene, ossia la molecola principale che ne caratterizza la composizione. Nonostante esistano 28 tipi di collagene (Kadler, Baldock, Bella & Boot-Handford, 2007), quello più presente nella pelle è il tipo I. Essendo una proteina, il collagene è costituito da una serie di aminoacidi (definiti α o β a seconda della loro chiralità) uniti attraverso legami peptidici che si instaurano tra i gruppi amminico e carbossilico di due strutture aminoacidiche (vedi Figura 1).

Figura 1: Rappresentazione schematica della formazione di un legame peptidico
Figura 1: Rappresentazione schematica della formazione di un legame peptidico

Dal punto di vista chimico, la reazione è una condensazione e avviene per eliminazione di una molecola d’acqua; tale reazione è reversibile e dunque, in presenza di acqua e determinate sostanze che fungono da catalizzatori, la molecola può venire idrolizzata (Covington & Covington, 2009). Il processo di idrolisi ha un ruolo centrale durante l’intera lavorazione della pelle e anche in seguito, quando il prodotto è in uso ed è sottoposto all’azione del tempo e degli agenti deteriogeni.

L’organizzazione del collagene è molto elevata e comincia dalla ripetizione di triplette di aminoacidi: la glicina occupa generalmente la prima posizione e costituisce un terzo del totale degli aminoacidi, seguita da prolina e idrossiprolina. Si formano delle strutture chiamate α-eliche che, unendosi ancora a gruppi di tre, danno luogo alla tripla elica di protocollagene di dimensioni 300 x 1.5 nanometri (Covington & Covington, 2009). Le estremità delle triple eliche contengono una regione detta telopeptide che non ha la medesima struttura ad elica; tale zona è responsabile di legare una molecola di protocollagene a un’altra. Le diverse triple eliche iniziano poi a interagire e si formano delle fibrille nelle quali le triple eliche sono distanziate – in lunghezza – di 67 nanometri. Solo a questo punto si formano le vere e proprie fibre di collagene (Florian, 2011).

In questa struttura l’acqua si presenta in varie forme e con diverse funzioni: conferisce stabilità alle eliche facenti parte della molecola di collagene grazie alla formazione di forti legami; crea collegamenti inter- e intra-fibrillari; funge da solvente e quindi consente la circolazione degli agenti chimici durante i processi di lavorazione (Reich, 2005). Dal momento che ciascuna funzione dell’acqua è legata a un determinato livello strutturale del collagene, appare chiaro che anche l’eliminazione del composto assume un’importanza diversa e può causare problematiche differenti. Questo aspetto diventa centrale nel momento in cui si effettuano indagini sul degrado o i meccanismi di deterioramento.

Esaminando la pelle a un ingrandimento minore si possono fare ulteriori considerazioni. Osservando la struttura in sezione trasversale si identificano tre macroregioni: il grain, che costituisce la parte superiore della pelle e comprende le radici pilifere; il corium, subito sotto le radici ed esteso fino ai muscoli e tessuti grassi; e il flesh, la parte subito sotto la pelle che quindi forma la carne viva (Haines, 2011).

La pelle di ogni animale possiede uno spessore tipico di tale stratificazione e una distribuzione dei pori piliferi ben definita. Queste caratteristiche sono legate al tipo di animale e ad altri fattori quali l’ambiente di vita, alla sua dieta e all’età. Le diverse stratificazioni delle pelli influenzano le proprietà fisiche quali la flessibilità, la resistenza alla trazione e all’applicazione di pressioni e la compressibilità.

Processi di preparazione, concia e finitura

Sebbene la concia costituisca uno dei processi più noti che riguardano la lavorazione della pelle, di certo non è l’unico. In Figura 2 sono riportati i tipici trattamenti subiti dalla pelle dal momento in cui viene ottenuta come scarto dell’industria alimentare fino a quando non diviene un prodotto finito.

Figura 2: Processi di lavorazione della pelle e relativi prodotti intermedi
Figura 2: Processi di lavorazione della pelle e relativi prodotti intermedi

Esistono numerosi modi per conciare la pelle, ossia per effettuare trattamenti che la rendano non putrescibile e conferiscano alla struttura maggior stabilità idrotermica e resistenza al degrado (Beghetto, Matteoli, Scrivanti, Zancanaro & Pozza, 2013). Fino all’introduzione della concia al cromo nel 1884, il processo di produzione principale è stato la concia vegetale. Questo metodo si basava sull’immersione delle pelli, precedentemente preparate per rendere la struttura del collagene adeguatamente recettiva, in fosse contenenti acqua ed estratti di piante; le pelli venivano lasciate in questi bagni almeno per un anno, fino a quando non veniva raggiunto il colore desiderato e i capi potevano essere lavati, ulteriormente trattati e infine asciugati (Thomson, 2011). In genere la reazione che avviene tra tannini vegetali e collagene consiste nella formazione di legami come quello a idrogeno (Covington, 1997); tali legami garantiscono una discreta stabilità ma la loro resistenza è certamente inferiore a quella di altri legami.

La scoperta del processo di concia al cromo ha decisamente modificato la situazione per due ragioni principali: richiede meno tempo e l’efficienza del metodo è molto elevata. Non è un caso che, ancora oggi, tra l’80 e il 90 % delle pelli vengano conciate a cromo. Sebbene esistano ancora alcuni dubbi sull’esatto meccanismo di interazione tra cromo e collagene, la formazione di complessi di coordinazione e legami covalenti è data per assodata (Mann and McMillan, 2008). Uno dei principali miglioramenti che la concia al cromo introduce nella molecola di collagene riguarda la stabilità idrotermica, che costituisce uno dei parametri più utilizzati per testare la stabilità della pelle.

Pelli sintetiche

Nell’arco degli ultimi 150 anni sono comparsi sul mercato numerosi materiali artificiali che imitano quelli naturali. Inizialmente i sostituti artificiali vennero introdotti sul mercato per far fronte all’elevato costo delle pelli naturali che faceva anche aumentare il prezzo degli oggetti finiti da esse costituiti. Si iniziarono quindi a valutare dei metodi alternativi che consentissero all’industria di abbassare i costi e di rendere oggetti e capi di abbigliamento più facilmente accessibili a una quantità superiore di utenti. Varie tipologie di fibre (naturali e sintetiche) e tessuti iniziarono a essere utilizzate come supporto per i neo-introdotti polimeri che, grazie alla loro versatilità, si prestavano a questo genere di utilizzo. Attualmente le pelli sintetiche costituiscono un’ampia fetta del mercato legato ai rivestimenti da arredamento, alle imbottiture per sedili e all’abbigliamento (per esempio nell’ambito delle calzature).

I polimeri vengono utilizzati su molti tessuti, talvolta poco pregiati o costituiti da fibre poco tenacemente aderenti le une alle altre, in modo da aumentare il valore e ampliare le possibilità di impiego del prodotto finito. I processi di laminazione (lamination) e di rivestimento (coating) rappresentano le due categorie in cui si possono inscrivere le modalità di applicazione dei polimeri ai tessuti (Figura 3). La maggior differenza riscontrabile tra i tessuti laminati e quelli rivestiti è nella presenza o assenza di una sostanza con funzione di adesivo tra lo strato polimerico e il tessuto (Sen, 2008).

Figura 3: Rappresentazione schematica di un tipico tessuto laminato (a) e uno rivestito (b) in materiale polimerico
Figura 3: Rappresentazione schematica di un tipico tessuto laminato (a) e uno rivestito (b) in materiale polimerico

Va però detto che, proprio in virtù della grande varietà di tecniche disponibili, la distinzione tra i due processi è andata lentamente assottigliandosi. Questo genere di prodotti offre alcuni vantaggi rispetto alla pelle. Essendo un materiale prevalentemente sviluppato dall’uomo può essere modellato a seconda delle esigenze e del tipo di applicazione. Ciò significa che non è necessario adattare un substrato esistente a una specifica necessità, ma è invece possibile adoperarsi per creare un supporto su misura. Flessibilità e facilità di cucitura e lavorazione sono alcuni importanti aspetti tipici delle pelli sintetiche che influiscono sulla varietà di utilizzo (Fung, 2002). Altro vantaggio riguarda la gamma di colori disponibili, che è decisamente elevata per non dire virtualmente infinita.

Nonostante i vantaggi, la presenza di materiale polimerico e l’associazione con il termine finta pelle hanno determinato negli anni la sedimentazione di uno scetticismo diffuso nei confronti della pelle sintetica. Se da un lato bisogna riconoscere che l’origine del prodotto non è stata quella di un materiale pregiato, il livello di specializzazione oggi richiesto per la produzione di alcune tipologie è decisamente elevato.

Problematiche ambientali

È stato menzionato inizialmente che la lavorazione del cuoio rappresenta una delle più antiche industrie specializzate nella storia dell’essere umano. Se è vero che si è passati da metodi poco a molto efficienti e da condizioni di lavoro scarsamente a gradualmente dignitose, bisogna ammettere che i processi che conducono alla concia e la concia stessa (soprattutto quella al cromo) sono considerati altamente inquinanti. Per tale ragione il mondo delle concerie ha visto incrementare in maniera consistente in numero di restrizioni e regolamenti che ne governano l’attività, in particolar modo nell’area dell’Unione Europea. Questo ha determinato un deciso aumento delle esportazioni dei capi, nello stato wet blue, verso zone del pianeta meno interessate alle condizioni di lavoro degli operatori e alle tematiche ambientali. Il risultato è che solo un ristretto numero di concerie, rispetto a quelle presenti anche solo una quindicina di anni fa, è riuscito a sopravvivere e ad adeguarsi alle nuove norme (COTANCE and Industrial All, 2012).

I maggiori problemi associati ai processi di produzione della pelle sono l’impiego di prodotti chimici inquinanti e il trattamento delle acque impiegate durante la lavorazione (Mann & McMillan, 2008), i quali si vanno a unire alla quantità di inquinanti atmosferici derivanti non solo dai processi pre-concia ma anche da quelli di finitura. Inoltre, la quantità di collagene che esce dalle concerie sotto forma di pelle è circa il 50 % del totale, il che indica una notevole mole di scarto che deve trovare nuovo utilizzo o venire trasferita in discarica (Reich, 2005). Purtroppo la seconda opzione è quella che viene maggiormente messa in atto.

Studio del degrado con finalità conservative e industriali

In passato si è assistito innumerevoli volte all’introduzione di materiali innovativi in ambienti museali, soprattutto in seguito allo sviluppo delle plastiche. Questo è probabilmente imputabile a una serie di ragioni: la varietà di applicazioni e la versatilità che ciascun prodotto polimerico è capace di offrire; la curiosità di artisti e designer nei confronti dei nuovi prodotti sul mercato; la mancata consapevolezza della velocità con cui i processi di degrado possono avere luogo.

Partendo da queste considerazioni si può riflettere su come lo studio del degrado dei materiali in ambito conservativo possa risultare utile anche in quello industriale. Se negli ultimi vent’anni il numero di studi sui materiali plastici nelle collezioni museali sono aumentati notevolmente, creando un nuovo insieme di conoscenze nell’ambito del degrado della plastica (Shashoua, 2006; Lavédrine, Fournier & Martin, 2012; Waentig, 2008), rimane l’incognita dei materiali compositi e di tutti quei materiali che vengono introdotti sul mercato ignorando il loro futuro comportamento.

Partendo dagli aspetti positivi e dalle problematiche tipici delle pelli e dei sostituti sintetici, si possono ricavare informazioni importanti sulle proprietà e i comportamenti dei materiali compositi costituiti dagli stessi elementi. Questo approccio assume una duplice valenza: si propone come un metodo pionieristico di collaborazione tra la conservazione preventiva nel settore museale e l’indagine della stabilità dei prodotti condotta industrialmente; promuove l’attitudine alla ricerca della sostenibilità. Infatti, indagando anticipatamente i possibili meccanismi di degrado e i migliori metodi per prevenirlo, si promuovono non solo la prevenzione ma anche lo sviluppo di materiali più duraturi.

In conclusione, questo studio punta alla collaborazione tra l’industria e i musei sottolineando come tale approccio su ampia scala, favorirebbe lo sviluppo di un’etica comune che abbia come finalità il raggiungimento della sostenibilità.

Bibliografia

Beghetto, V., Matteoli, U., Scrivanti, A., Zancanaro, A. & Pozza, G. (2013). The Leather Industry: A Chemistry Insight Part I: an Overview of the Industrial Process. Sciences at Ca’ Foscari, 1, 13-22.

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