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Il lato ambientale del PNRR: politiche con (poco) territorio

Il lato ambientale del PNRR: politiche con (poco) territorio di Alessandro Boldo è il quarto articolo del nuovo Quaderno Q16 “Paesaggi umani, paesaggi urbani” da luglio scaricabile qui

1. PNRR e ambiente

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sciolti momentaneamente i vincoli di bilancio al 2026, dovrebbe garantire l’attuazione di quelle riforme strutturali in grado di riattivare lo sviluppo del paese all’interno dello schema Next Generation Eu e a sua volta nel nuovo paradigma dell’European Green Deal (EGD).

Il lato ambientale del PNRR

Next Generation EU ha allocato il 37% di 800MM€ a obiettivi di supporto dell’EGD di cui una parte rilevante all’implementazione del PNRR italiano, con l’obiettivo ambizioso di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e ridurre le emissioni climalteranti del 55% rispetto allo scenario del 1990 entro il 2030.

In riferimento alla transizione, l’Italia è il maggiore beneficiario in termini assoluti, con 70 MM€ rispetti i 27 della Spagna, i 18 della Francia; ma in termini relativi l’Italia destina alla transizione il minimo previsto: 37% contro 40% in Spagna, 46% in Francia, 42% in Germania, 59% in Austria.

2. Quale transizione?

La Transizione è già presente all’interno delle maggiori strategie europee degli ultimi 20 anni, la ‘Strategia di Lisbona’ e ‘Europa 2020’. Come rilevato da Schunz (2022) il termine transizione nella prima è associato a riforme strutturali del tipo knowledge-based al fine di abilitare il dinamismo e la competitività economica dell’eurozona; nella seconda gli interventi di natura prettamente economica spostano il campo di policy sulla mitigazione degli effetti indotti dalle crisi finanziarie in particolare quella dei debiti sovrani avanzando due nuove aree d’interesse: digitalizzazione e cambiamenti climatici. Entrambi i linguaggi manifestano asimmetria di azione e subalternità delle dimensioni sociali e ambientali dello sviluppo sostenibile rispetto agli obiettivi di crescita economica (ibid:16). Nella Strategia di Lisbona, i temi ambientali sono confinati in documenti non integrati, su tutti la strategia dello sviluppo sostenibile di Göteborg (2001); in ‘E2020’ lo spazio di policy ambientale è invece utilizzato in modo utilitaristico e si qualifica per mezzo dell’innovazione tecnologica, dell’eco-efficienza e del disaccoppiamento tra crescita e intensità d’uso dell’energia.

I problemi ambientali, principalmente i cambiamenti climatici, si configurano quale finestra d’opportunità per favorire la ripresa e la crescita economica e, quale effetto sottoprodotto, il contenimento delle emissioni climalteranti. Entrambe le strategie hanno di fatto inibito qualsiasi trasformazione nell’ottica della sostenibilità ambientale (forte) e verso misure ambientali più vincolanti, limitandole in modo utilitaristico al fine di abilitare l’eco-innovazione (ibid:10) in supporto della crescita e dell’occupazione.

2.2 Un cambio di paradigma(?)

A partire dal 2019, nuove ‘coalizioni di discorsi’ consapevoli a livello globale della degradazione degli ecosistemi e dell’emergenza climatica pongono l’UE di fronte alla valutazione di un nuovo paradigma: l’European Green Deal (EGD). Di fatto una rottura discorsiva rispetto il passato, l’EGD ha l’ambizione di consegnare alla sostenibilità e alla tutela delle matrici ambientali il riferimento esplicito e quel compito coagulante per tutte le politiche EU ponendo in modo ambizioso le azioni di neutralità climatica nonché preservando la competitività del sistema economico europeo. L’EGD riprende molti stimoli alla crescita via eco-innovazione già presenti nella Strategia di Lisbona e in E2020 cercando di convalidare il ricorrente, seppur discutibile, discorso per cui nel lungo periodo l’innovazione sarebbe in grado di ridurre la tendenza dei rendimenti marginali decrescenti nella produttività nonché ad abilitare crescita e stabilità economica (Bonaiuti, 2013). Il termine transizione è presente 52 volte e qualificato con aggettivi che richiamano la sostenibilità ambientale e sociale, riferendosi principalmente a processi economici, energetici e industriali (Schunz, 2022: 14).

Risultato di una coalizione di discorsi con alto tasso di intertestualità, transizione ecologica/verde ambisce ad essere il cambio (potenziale) di paradigma che pone la dimensione ambientale della sostenibilità e la giustizia sociale al centro dell’agenda comunitaria, perseguendo un’inversione prospettica già proposta da Marcuse (1998) per il quale sostenibilità (prima di transizione) dovrebbe rappresentare un vincolo, piuttosto che una coalizione di obiettivi.

Se tali discorsi rappresentano una discontinuità rispetto le precedenti strategie, il dubbio ricade sull’atterraggio degli stessi nelle pratiche e negli sforzi implementativi: volgeranno a seguito della path dependance comunitaria verso obiettivi di sostegno alla crescita, oppure saranno abilitanti individuando l’agency in grado di garantire il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi e trasferire i discorsi in pratiche, oppure rappresentano già un’opzione asintotica.

3. Le implicazioni con il territorio

Nel dettaglio delle misure PNRR a maggio 2023 la tutela del territorio ha un tasso di completamento per le riforme normative pari al 97% e 18% per la copertura degli investimenti; le energie rinnovabili vedono il 56% di completamento per le riforme istituzionali e il 14,7% per gli investimenti; infine, l’economia circolare ha completatol’86% delle riforme istituzionali e il 25,4% degli investimenti.

Il lato ambientale del PNRR

Pare evidente il mismatch tra l’implementazione normativa e burocratica, di fatto completata per intero o quasi, e quella attuativa definita dagli investimenti a garanzia di quello che dovrebbe essere l’impatto trasformativo sui territori. Si possono sommariamente e generalmente delineare in corso d’opera alcuni limiti o basi d’indeterminatezza dei processi attuativi del Piano in termini di appalti, governance e implementazione locale:

  • l’aggravante delle complesse crisi dello scenario globale, le strozzature dell’offerta e il relativo aumento dei prezzi delle materie prime e dei servizi energetici;
  • se la frammentazione amministrativa e decisionale è di fatto un limite all’implementazione delle politiche è da verificare se i meccanismi di aggregazione siano gli strumenti preferibili per favorire l’interplay (Young et al., 2008) tra i vari attori o per incentivare l’integrazione degli operatori di gestione[1];
  • le endemiche difficoltà del tessuto amministrativo-burocratico locale in termini di risorse umane e competenze abilitanti. A breve termine paiono in crisi gli obiettivi di sostegno alla generalizzata e auspicata ripresa economica dell’area UE e la tutela del mercato da un eccesso di domanda; mentre nel lungo periodo le riforme e le transizioni annunciate paiono appiattirsi su proposte elencative già presenti negli archivi degli enti locali piuttosto che sul carattere trasformativo degli stessi così come evocato dagli intenti generali del Piano stesso.

A prescindere dalle argomentazioni e dalle coalizioni discorsive sovraordinate, la transizione del PNRR è una transizione de-territorializzata. Il territorio è di fatto la verifica delle premesse discorsive dell’EGD e degli obiettivi di transizione del PNRR, ma la spazialità e le specificità territoriali del programma paiono assorbite dagli stimoli del mercato, da opere o acquisizioni di procedure legate a processi di innovazione tecnologica, energetica, digitalizzazione e deroga normativa, frettolosamente qualificative come semplificazione burocratica e riforme di governance. Gestione rifiuti, efficienza energetica degli edifici, azioni di mitigazione e decarbonizzazione per mezzo di rinnovabili, rinnovo TPL con mezzi a bassa emissione, filiera dell’idrogeno; persino la “Tutela del territorio e risorsa idrica” privilegiano monitoraggi, digitalizzazione, semplificazioni gestionali e infrastrutture per ridurre le perdite di rete, eludendo finalità e strategie di adattamento e trascurando i nodi irrisolti di implementazione e governance multilivello delle politiche ambientali

Il lato ambientale del PNRR

Se la questione del territorio, del territorio-complesso, può attivare una domanda di semplificazione (Donolo, 2007), la dipendenza delle politiche territoriali da una primazia e soluzione tecnica e digitale semplifica il rapporto tra prodotto – politiche – territorio subordinando le seconde al grado di innovazione del primo e mantenendo il terzo quale sfondo inerte.

Su scala globale la crisi ecologica coincide con la massima espansione del modello neoliberale di mercificazione ed erosione delle risorse locali e sta in relazione diretta con le crisi economiche per via dei costi crescenti di ristrutturazione delle basi produttive del capitale. Se negli anni ‘70 del secolo scorso la dimensione urbana ha sostituito la fabbrica come terreno privilegiato per cogliere i meccanismi di produzione e sfruttamento, oggi, ridotte (non poco) le soluzioni spaziali del Capitale[2], è la dimensione globale delle crisi ambientali a svelare i riposizionamenti, le tensioni e le contraddizioni intrinseche della catena produzione-valore-merce.  Sono approcci piegati ai meccanismi del mercato globale, dove ambiente, sviluppo sostenibile, transizione verde/ecologica non sono più (o ancora) un vincolo per le politiche (Marcuse 1998, EGD 2019), ma costituiscono occasione e pretesto per una rinnovata azione di sustainable capitalism (O’Connor, 2021) in termini di erosione, o di green gentrification in termini di accessibilità.

Forse sostenibilità è in attesa (anche) di transizione, ma di fatto negli ultimi 40 anni le politiche hanno assecondato e rinnovato troppe nominalizzazioni, «troppi incanti rispetto al disincanto che produce» (Attili, 2023 :57) spostando continuamente il focus terminologico senza raggiungere gli obiettivi (ambiziosi) prefissati. Pertanto, se transizione ecologica ha l’ambizione di agevolare azioni di ricucitura e convergenza tra i sistemi territoriali non può manifestare meramente carattere tecnico, performativo o applicativo, ma ambire a istituire processi di territorializzazione (Beccattini 2015), un atto continuo di messa a tema del territorio che favorisca il consolidarsi di una coscienza dei luoghi (ibid). Nei processi di territorializzazione le soluzioni ad alta intensità di conoscenza non sono escluse a prescindere ma s’inquadrano in una piattaforma delle competenze direttamente dipendenti dalle specificità, dalla capacità d’iniziativa e di federazione di attori e risorse e che progressivamente trovano centralità nell’organizzazione dei sistemi sociali. Su queste modalità interpretative il PNRR è carente.

Per scaricare “Il lato ambientale del PNRR: politiche con (poco) territorio” e i Quaderni editi da il prato cliccare qui

Bibliografia

Attili, G. (2023) Cosmogonie del possibile, in D’Ammando A., Morawski T., Velotti S. (a cura di) Urban Forms of life. Per una critica delle forme di vita urbane. Quodlibet Studio, Macerata.

Becattini, G. (2015) La coscienza dei luoghi: il territorio come soggetto corale. DonzelliMilano

Donolo, C. (2007) Sostenere lo sviluppo. Ragioni e speranze oltre la crescita. Bruno Mondadori Editore, Milano.

Marcuse, P. (1998) Sustainability is not enough. Environment and Urbanization, Vol. 10, No. 2, October 1998

Orthothes, Nocera Inferiore Sa.

O’Connor, J. (2021) La seconda contraddizione del capitalismo. Introduzione a una teoria e storia dell’ecologia. Ombre corte, Verona.

Schunz S. (2022) The ‘European Green Deal’ – a paradigm shift? Transformations in the European Union’s sustainability meta-discourse, Political Research Exchange, 4:1, DOI: 10.1080/2474736X.2022.2085121

Sini, C. (2000) Da parte a parte. Apologia del relativo. Edizioni ETS, Pisa.


[1]    A esempio, per la gestione dei servizi idrici integrati.

[2]    Quantomeno in termini di rendite marginali, mentre per le rendite differenziali l’altro paradigma della ‘rigenerazione’ non garantisce su tutto il territorio alti rendimenti di mercato.


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