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Turismo, persone, formazione

Turismo, persone, formazione è l’articolo introduttivo del Q17 “Scuola, professioni e trend del turismo” da ottobre scaricabile qui

I quattro articoli concentrano l’attenzione su due aspetti (che tratterò a mia volta): la formazione/istruzione delle persone e le criticità emerse con il turismo di massa.

Chiara Ceccon, docente di un istituto turistico del Veneto, ci conduce nel mondo dell’educazione scolastica e della formazione dei docenti, evidenziando le importanti modifiche che educazione e formazione hanno subito durante e dopo il Covid.

Emanuele Persiani – guida AIGAE -ci accompagna sui Monti Sibillini e in Valnerina e nell’accompagnamento dei turisti da parte delle Guide GAE

Lucia Ammendolia ci introduce alle tendenze, criticità e punti di forza del turismo italiano emersi nel 2023

Tiziano Simonato ci racconta invece della stagione balneare appena conclusa lungo la costa di Cavallino Treporti

Turismo, persone, formazione

Personalmente, in questa mia introduzione, intendo soffermarmi su alcuni aspetti legati alla formazione e alla situazione del turista a Venezia.

La Formazione

Da più parti si parla di potenziare la formazione, di questi tempi la formazione finanziata è di importanza cruciale. Nel settore ho più di 25 anni di esperienza, qualcosa ne so, avendo ricoperto più ruoli. Cosa è stato fatto? Direi il punto più positivo è senza dubbio che parlare di formazione anche in aziende piccole, ormai non è più un tabù e credetemi non è un passo da poco. Cosa resta da fare? Moltissimo e qui vado per elenchi puntati:

  • troppi enti di formazione che avrebbero a loro volta bisogno di molta formazione essendo privi della conoscenza dei bisogni del proprio territorio. I bisogni di aziende e persone sono visti solo in base ai bandi che escono, poca analisi preventiva. Con una analisi preventiva, a cui far seguire una formazione mirata, ci saremmo risparmiati le criticità legate alla ricerca di personale, soprattutto nel settore turistico. Molti operatori del settore hanno avuto difficoltà come ci spiega anche Tiziano Simonato
  • bandi in cui impera la burocrazia. Assistiamo al paradosso in cui la digitalizzazione si è trasformata in burocrazia digitale. I progetti si sono trasformati sempre più in un percorso di guerra con documenti da produrre con firma digitale, a cui alleghiamo però un documento di identità scansionato. Meglio abbondare, sia mai. A questo si aggiunga anche il caricamento a portale. Ogni Regione ha il proprio portale – come d’altro canto ogni fondo interprofessionale – che funziona a modo suo. Perdite di tempo infinite. Tempo che si potrebbe spendere meglio visitando aziende e scuole per capire bene i bisogni e le aspettative.  Mi permetto di suggerire alle Regioni di fare una cosa del tipo “Boss in Incognito” ne vedreste delle belle, potreste imparare qualcosa. Il mio sogno sarebbe di farvi fare un progetto completo, dal contatto con le aziende, alla stesura e al caricamento a portale. Un sogno per me e un incubo per voi
Turismo, persone, formazione
  • maggiore cooperazione tra enti. Molto spesso esistono reti che si costituiscono per bandi specifici ma in effetti sono soltanto delle spartizioni di territorio. Servono 80 partecipanti? Bene 40 sono su Treviso con l’ente X e altri 40 su Padova con l’ente Y. Altro mio sogno sarebbe invece di lavorare per centri di competenze. In una azienda esiste la produzione, l’amministrazione, il commerciale. Sono tutti coordinati tra loro ma ciascuno ha una competenza specifica che accresce il valore del tutto. Allo stesso modo in una rete per la formazione si dovrebbe lavorare su progettazione, contatto con le aziende/studenti, monitoraggio ecc.ecc. Ciascuno in base al progetto contribuisce con una competenza specifica
  • last but not least, le cose talvolta – ad aziende e corsisti – vanno fatte pagare. Il “gratis” non è percepito come un valore ma come un “tanto non corro rischi e faccio quello che voglio” Dietro a quel “faccio quello che voglio” ricordo che ci sono persone che hanno lavorato e stanno lavorando per riuscire a tenere in piedi tutto. Vuol dire che non riconoscete il valore di quanto fanno, anche per voi un bel “Boss in Incognito” ci starebbe bene

 Persone o limoni da spremere? Storia di Leila a Venezia

Leila è un nome di fantasia ma rappresenta una persona reale, per meglio dire sono più persone – tutte donne – che hanno trascorso una giornata a Venezia. Iniziamo già male, poiché rappresentano la tipologia turistica che non è proprio ben vista nella città lagunare. Sono quelle del turismo “mordi e fuggi”, quelle che vanno in supermercato e preparano i panini che poi mangeranno da qualche parte e a cui si dirà “Venezia non è Disneyland”.

Peccato che queste persone si siano rapportate con la città con grande rispetto, abbiano tentato di visitare più cose possibili ma che le loro aspettative siano state disattese. Code ovunque, prezzi alle stelle e servizi inesistenti. A tutto questo aggiungiamo una grande sporcizia. Come ci dice Lucia Ammendolia (riferendosi nel suo articolo al Sud Italia) Secondo l’Istat, riguardo il consumo di acqua pro capite, si stima che un turista consumi circa il doppio dell’acqua rispetto a un residente e che produca circa il 50% di rifiuti in più”.

 Tutta colpa dei turisti? Certamente hanno le loro responsabilità  ma vogliamo parlare, e qui ritorno a Venezia, anche dell’atteggiamento “è una città unica e ci sarà sempre turismo”, salvo poi lamentarsi perché i flussi non sono gestiti. Vogliamo dire che chiunque abbia una stanza la offre in affitto? Sì, anche in nero, e questo non è certo un segreto.

Tornando al viaggio di Leila io non credo che a Venezia questa Persona abbia avuto il rispetto che avrebbe meritato. Leila è una donna colta, benestante e a causa della guerra si è trovata a doversi reinventare la vita. Meglio avere una persona come Leila, anche per un giorno solo, o preferiamo una influencer? Credo che alla base di tutto sia sempre il rispetto per gli abitanti (i pochi rimasti) e per i turisti che non sono soltanto limoni da spremere. Come ci dice ancora Lucia Ammendolia è necessario puntare su “un’offerta globale a base territoriale.  Anche gli eventi, se non ben armonizzati e integrati in un piano di sviluppo e promozione, non avranno la giusta collocazione e incisività all’interno di un piano per un futuro sviluppo.”

Venezia e il Veneto – estendo in ogni caso il ragionamento a tutta Italia – non hanno un piano di sviluppo e promozione integrato. In ottica di integrazione – per inciso l’ottica è del Destination Manager – ho portato avanti un progetto, “Storie d’Acqua”, che utilizzava Venezia come driver per valorizzare luoghi limitrofi legati da percorsi fluviali.

Piani di sviluppo

Venezia e il Veneto – estendo in ogni caso il ragionamento a tutta Italia – non hanno un piano di sviluppo e promozione integrato. In ottica di integrazione – per inciso l’ottica è del Destination Manager – ho portato avanti un progetto, “Storie d’Acqua”, che utilizzava Venezia come driver per valorizzare luoghi limitrofi legati da percorsi fluviali.

Era durante il Covid con tutta la fatica del caso, però è stato fatto. Ma a livello macro- decisionale cosa è stato fatto? Poco, purtroppo. Fiumi di parole, prima fra tutta la sostenibilità che si sta trasformando in una grande patacca senza senso. Tra l’altro la sostenibilità è vista solo dal punto di vista più di impatto, quello dell’ambiente. Ci si dimentica della parte sociale (persone) e per la parte economica si vede solo il profitto a ogni costo. Stiamo perdendo tempo, con la mia attività mi propongono bandi che sono delle “ciofeche”. Ma sì, facciamo un altro portale! Anzi una app. Entrambe le cose, perché no? Nel frattempo, testate internazionali iniziano a consigliare di non venire a Venezia e nelle altre città d’arte. Che (#Opento) meraviglia

E Leila che fine ha fatto? In tutto questo lei si porterà a casa altri paesaggi lontani dalla folla, paesaggi montani come il Cansiglio o aree più tranquille in provincia, come quelle delle Storie d’Acqua. Di Venezia purtroppo non resterà un buon ricordo.

Turismo, persone, formazione

Mi fermo qui, credo sia chiaro che questo Quaderno sia piuttosto articolato. Leggetelo con calma.

Il Q17 e ” Turismo, persone, formazione” saranno disponibili da ottobre. Per gli altri numeri già disponibili dei Quaderni editi da il prato cliccare qui

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LA STAGIONE BALNEARE 2023

LA STAGIONE BALNEARE 2023 NEL LITORALE DI CAVALLINO TREPORTI

La stagione balneare 2023 nel litorale di Cavallino Treporti” di Tiziano Simonato è il quarto articolo del Q17 “Scuola, professioni e trend del turismo” da ottobre scaricabile qui

Si è conclusa la stagione balneare e anche quest’anno si conferma la tendenza positiva già registrata nel 2022. Arrivi e presenze, nel comparto del turismo all’aria aperta, si attestano ai livelli pre-Covid. Un buon segnale per la ripresa delle vacanze e dei viaggi in generale, nonostante la congiuntura economica non favorevole.

Il Litorale del Cavallino è particolarmente frequentato per tutto il periodo della stagione estiva da turisti provenienti da Germania, Austria e Svizzera. Gli arrivi iniziano già a maggio con le vacanze di Pentecoste che in alcuni Länder Tedeschi sono di due settimane e in altri, come in Austria, di una. Il calendario delle vacanze scolastiche in Germania viene stabilito con anni di anticipo e con periodi diversificati fra i vari Länder. Con questa modalità siamo in grado di organizzare una promozione mirata, con la partecipazione alle fiere internazionali di settore, nell’area di provenienza dei turisti.

La vera forza di questa destinazione è la fidelizzazione del cliente. Ogni anno arrivano famiglie che frequentano il nostro villaggio da decenni e vengono in vacanza da tre generazioni: i nonni, con i figli e i nipoti. Prima di terminare la vacanza, chiedono già di prenotare per l’anno successivo senza nemmeno conoscere le tariffe, per avere la certezza di poter ritornare nella loro “seconda casa”.

Il Comune di Cavallino-Treporti ha persino istituito il “Premio Ambasciatore” con una cerimonia di riconoscimento alle famiglie di ospiti stranieri, segnalate dai villaggi turistici, che da decenni vi trascorrono le vacanze.

La stagione balneare 2023

Presenze straniere e italiane

Il mese di luglio è il periodo di ferie dei Danesi e poi verso la fine del mese arrivano anche gli Olandesi. Il primo giorno di agosto festeggiamo con un party tutti gli ospiti svizzeri presenti in villaggio. I Tedeschi dopo la Pentecoste ritornano anche per una seconda vacanza verso fine agosto e a inizio settembre. Le famiglie italiane preferiscono il mese di giugno, quando chiudono le scuole, e il periodo canonico delle ferie d’agosto, ma rappresentano una quota minoritaria delle presenze rispetto agli stranieri. Sono in continuo aumento anche gli ospiti provenienti dall’Est Europa. Per questi Paesi il litorale Adriatico è il primo “sbocco sul mare” dove trascorrere le vacanze e i nostri servizi, assieme alla tradizione enogastronomica della cucina italiana, sono la scelta prediletta dei turisti delle “economie emergenti”.  

La stagione balneare 2023

Tipologie di servizi

Il turista “open air”, soprattutto proveniente dal Nord e Centro Europa, predilige le destinazioni più attente alla sostenibilità ambientale e chiede servizi sempre più adeguati agli standard internazionali. I servizi sono erogati seguendo le indicazioni riportate nelle Guide Camping dell’ADAC (Automobile Club Tedesco) e ANWB (Touring Club Olandese). In entrambe il nostro villaggio figura fra le migliori strutture.  A esempio, uno dei servizi più richiesti dagli ospiti è potersi connettere con facilità alla rete wi-fi per lavorare da remoto. Chi arriva con l’auto elettrica e si aspetta di trovare colonnine di ricarica sempre più efficienti. Nel nostro villaggio ci sono quattro stazioni di ricarica di ultima generazione. Particolare attenzione viene dedicata anche alla raccolta differenziata dei rifiuti poiché la buona abitudine di chi la pratica sempre, non può venir meno durante le vacanze

Il personale

Per garantire questi servizi viene impiegato oltre un centinaio di lavoratori fra personale diretto e dell’indotto. Quest’anno le difficoltà nel reperire operatori qualificati e soprattutto disponibili per la stagione, sono state un vero problema. La causa principale è sicuramente dovuta a una sempre minor propensione dei giovani a lavorare nel turismo e nella ristorazione. Oltre alla scarsa attitudine verso queste mansioni, si è notevolmente ridotta anche la forza lavoro. Le famiglie sono composte in media da uno o al massimo due figli e hanno disponibilità economiche sufficienti da poterli mantenere senza un impiego anche dopo l’università in attesa di un “lavoro più interessante”.

Per attrarre nuova forza lavoro, servono attività formative specifiche e politiche attive rivolte ai giovani per incentivarli a lavorare in questo settore, favorendo il loro ingresso nel mondo del lavoro, rendendoli partecipi del valore etico, sociale ed economico che il turismo riversa nel territorio. In tal senso si stanno sempre più sviluppando i Centri di Formazione Professionale e gli ITS per orientare gli studenti nella scelta del percorso formativo nell’accoglienza turistica, nella ristorazione e nell’organizzazione di eventi culturali e sportivi, poiché la competitività di una destinazione si basa anche sulla preparazione del personale nel rendere il miglior servizio. Questo è sicuramente un elemento ancor premiante per l’offerta turistica delle Spiagge Venete rispetto ad altre località balneari. È quindi fondamentale investire nella formazione delle risorse umane, nella conservazione dell’ambiente, nel miglioramento delle strutture e dei servizi per rimanere, nel tempo, la meta ideale delle vacanze all’aria aperta. 

Il Q17 e ” La stagione balneare 2023 nel litorale di Cavallino Treporti” saranno disponibili da ottobre. Per gli altri numeri già disponibili dei Quaderni editi da il prato cliccare qui

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Le guide ambientali escursioniste

Le guide ambientali escursioniste è il secondo articolo del Q17 “Scuola, professioni e trend del turismo” da ottobre scaricabile qui

Le attività delle guide ambientali escursioniste nei Monti Sibillini e in Valnerina

La natura va amata, compresa e soprattutto rispettata e proprio per queste motivazioni, unite alla volontà di far parlare del mio territorio, dal 2019 ho iniziato il percorso per diventare una guida ambientale escursionista. Prima di parlarvi delle mie attività però vorrei spiegarvi cosa è, e cosa fa una GAE.

Le guide ambientali escursioniste (GAE) sono professionisti che si occupano di guidare le persone in escursione e in varie attività all’aria aperta. Non fanno però solo questo. 

Il compito di una GAE può essere molto vario e si differenzia da guida a guida, da territorio a territorio. Oltre ad essere una guida in un sentiero possono fornire al contempo informazioni naturalistiche, storiche e culturali.

Le guide ambientali escursioniste

Le attività delle Guide

Le attività delle guide ambientali escursioniste, anche in Valnerina e nei Monti Sibillini, sono molto varie e dipendono dalle esigenze e dalle richieste dei visitatori. Di sicuro, tra le attività principali, ci sono le escursioni a piedi, che possono prevedere diversi livelli di difficoltà e durata: dalle semplici passeggiate per famiglie e principianti, alle escursioni di più giorni per escursionisti esperti.

Durante le escursioni, le guide ambientali escursioniste forniscono agli escursionisti informazioni sulla flora, la fauna, la geologia e la storia della zona, rendendo così l’escursione una vera e propria esperienza educativa. Spiegano anche l’importanza della conservazione dell’ambiente e delle buone pratiche di escursionismo sostenibile.

Oltre alle escursioni a piedi, le guide ambientali escursioniste possono organizzare altre attività come, a titolo di esempio, attività educative (anche per i bambini), il birdwatching, la divulgazione delle regole e delle attività proprie di una zona, attività a tutela di flora e fauna selvatica, il trekking con le ciaspole (molto apprezzate le attività sulla neve anche dai bambini), il nordic walking e molto altro ancora. Queste attività permettono ai visitatori di scoprire la natura e il paesaggio in modo diverso e avvincente, trasformando allo stesso tempo una passeggiata in natura in un’esperienza turistica di qualità.

Le guide ambientali escursioniste possono essere anche collegate alle associazioni, ai parchi naturali, alle riserve, ai centri visita, alle aziende turistiche specializzate e ad altre strutture che promuovono il turismo nella zona. Molte guide ambientali escursioniste sono anche liberi professionisti che possono proporre e organizzare escursioni su misura per gruppi o privati.

Le Guide e il turismo

In generale, le attività delle guide ambientali escursioniste contribuiscono a far conoscere e valorizzare le bellezze naturalistiche e culturali dei propri territori. Nello specifico tra i Monti Sibillini e la Valnerina queste guide promuovono l’omonimo Parco Nazionale dei Monti Sibillini e il Parco Regionale del fiume Nera, le svariate aree protette e i siti Natura 2000, promuovendo un turismo di qualità e sostenibile con la conservazione dell’ambiente. Un altro compito che spetta alle “guide” è quello di responsabilizzare il turista, anche nei confronti della sua stessa sicurezza, per contribuire allo sviluppo di un turismo eco-friendly, sostenibile e soprattutto responsabile.

Le guide ambientali escursioniste

Sempre più spesso, grazie ai social network che condividono informazioni anche senza andarle a cercare, e grazie agli strumenti tecnologici (APP e dispositivi GPS) si può “andare” in montagna con uno spirito di avventura senza conoscere quasi nulla, purtroppo avendo un bassissimo livello di sicurezza. Un esempio tra le centinaia (perché si parla davvero di molti casi) è il soccorso di un ragazzo di appena 30 anni che a fine luglio, nonostante il sentiero principale sia realizzato anche da bambini, ha dovuto chiamare il soccorso tramite elicottero perché partendo senza avere la giusta conoscenza del sentiero e della montagna è rimasto bloccato tra le rocce.

Eco-friendly

Non conoscendo le regole del buonsenso alcuni lasciano rifiuti a terra pensando che essendo “materiale organico” non sia un problema (esempio bucce di frutti), nella peggiore delle ipotesi un turista “poco amante della natura” lascia anche rifiuti differenti. Personalmente, mi è capitato di vedere sacchetti di raccolta di escrementi di animali abbandonati a terra con dentro i rifiuti.

Sicurezza

Sono decine gli escursionisti che cercano di andare in montagna (e parliamo comunque di montagne che arrivano a quasi 2500 m slm) con scarpe inadatte, sneakers o addirittura ciabatte e, nonostante gli avvertimenti, spesso continuano imperterriti la loro avventura in solitaria. Alcuni vogliono andare in alta quota anche con bambini piccoli, altri cercano di arrivare in una zona inesplorata nonostante la propria inesperienza.

Per esempio, per arrivare da Foce alla cima del Monte Vettore occorre praticare un dislivello di circa 1500m con un itinerario da circa 12km, con dei tratti abbastanza rischiosi. Spesso gli utenti meno esperti pensano che sia superfluo portare acqua o viveri. Altri escursionisti cercano ristoranti in quota dove a volte ci sono solo dei ripari di emergenza.

L’errore più eclatante è quando si cerca di imitare qualcuno che, pubblicando una foto nei social network, mette in evidenza quanto sia bello un ambiente e quanto è stato “facile per lui” raggiungerlo.

Sostenibilità

Un turismo non sostenibile è anche quello che può danneggiare irrimediabilmente un ambiente, portando in zone tutelate materiali inquinanti, lasciando rifiuti, danneggiando (anche inavvertitamente) i sentieri, infastidendo la fauna e rovinando la flora.

La mia attività per il territorio

Come avevo accennato in apertura dell’articolo, la mia scelta di diventare guida è stata dettata dalla voglia di promuovere il territorio.

Durante tutto l’anno lavoro in un ufficio di web marketing, fotografia e servizi alle aziende. Sono sempre in contatto costante con le informazioni riguardanti le richieste e le proposte dal territorio. Da 4 anni ho iniziato quindi l’attività di guida proprio per questo scopo, frequentando un corso di formazione come Guida AIGAE e Guida del Parco Nazionale dei Monti Sibillini.

Le attività di una guida AIGAE

In qualità di guida AIGAE (una guida GAE iscritta all’associazione Italiana guide ambientali escursionistiche, quindi AIGAE), come libero professionista, ho la possibilità di proporre le attività come guida per gruppi privati o, come accade spesso, per solo una o due persone (escursionisti che prediligono visitare il territorio in solitaria o coppie). La mia non è una attività che organizza prevalentemente gruppi raccolti in una data fissa, ma una attività pensata per accompagnare il turista nel momento in cui ne ha bisogno, quando si trova in zona. Si tratta perciò di un servizio personalizzato.

Le attività di una Guida del Parco

La responsabilità verso il territorio, la costanza nel divulgare le regole locali, la presenza sul posto per aiutare anche le attività locali. Questo è in sintesi il ruolo della Guida del Parco. Una figura esperta e responsabile che possa aiutare l’Ente Parco nei momenti di divulgazione e che possa essere sul territorio quando le aziende devono organizzare delle attività. La persona con cui ci si può incontrare per parlare o la persona che può fare da interprete ambientale

Un’offerta turistica, per tutti, costante e destagionalizzata

Tramite la presenza di proposte specifiche in determinati momenti dell’anno (come tour di primavera o escursioni sulle montagne in estate, tour fotografici nel foliage o attività di scoperta delle aziende locali) le persone che cercano una “scusa” per uscire di casa trovano svariate proposte che creano anche un indotto economico e che possono rappresentare un volano di ripresa anche per quei territori che vengono penalizzati dalla loro posizione come “area interna”.

Allo stesso tempo la condivisione di foto e i consigli che la guida GAE sviluppa nel web risultano utili a tutte le organizzazioni nella zona, permettendo di promuovere il turismo anche nei confronti di tutti coloro che non sono direttamente coinvolti con il mondo dell’outdoor ma che possono voler condividere una proposta correlata al territorio.

Anche qui occorre stabilire dei limiti e delle regole di buona condotta, occorre identificare gli ambienti che possono ospitare il turista e gli ambienti più fragili che invece dovrebbero rimanere più isolati.

Attività di rete locale

La guida spesso si trova a parlare con altre aziende locali, creando collaborazioni e partnership con alberghi, ristoranti, agriturismi e altre attività turistiche della zona. Si riesce così a ottenere una diffusione delle notizie locali grazie, a esempio, a iniziative come gli sconti reciproci o dei pacchetti combinati per aumentare la visibilità dell’area e attrarre più visitatori.

Alla base di queste attività occorre sempre considerare che la passione è indispensabile. L’amore per la natura circostante e per l’ambiente è un caposaldo delle attività che conducono la guida in montagna e successivamente tutti i visitatori.

Spero che anche voi vorrete conoscere una guida ambientale escursionista nella Valnerina e nei Monti Sibillini, spero che anche per voi possa esserci la passione per andare a passare qualche ora nel silenzio della montagna.

Il Q17 e ” Le guide ambientali escursioniste” saranno disponibili da ottobre. Per gli altri numeri già disponibili dei Quaderni editi da il prato cliccare qui

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Il turismo va demonizzato o glorificato?

“Il turismo va demonizzato o glorificato?” di Lucia Ammendolia è il terzo articolo del nuovo Quaderno Q17 “Scuola, professioni e trend del turismo” da ottobre scaricabile qui

“L’organizzazione del lavoro richiede più motivazione che controllo, più creatività che burocrazia, più etica che astuzia, più estetica che pratica, più equilibrio vitale che overtime, multitasking e reperibilità”. Domenico De Masi

Aumento degli arrivi

Quest’anno abbiamo assistito a un forte aumento degli arrivi in Italia. Il primo settembre 2023 sono stati presentati a Venezia i dati dell’Osservatorio territoriale flussi turistici nazionali e internazionali. L’Italia è la quarta meta più popolare per i turisti europei, che investono il 12% della spesa totale nel Belpaese. Il maggior flusso di turisti stranieri in Italia proviene da Germania, Svizzera, Stati Uniti, Regno Unito e Olanda. Solo nel mese di luglio l’Italia ha superato Spagna e Gran Bretagna. (fonte immobiliare.it)

Diminuzione turismo interno

Il rovescio della medaglia è che, purtroppo, il turismo interno ha stentato a decollare. Eppure dovrebbe essere il “tesoretto” del comparto, perché al riparo da eventuali variabili che al giorno d’oggi facilmente colpiscono il turismo estero. Inoltre, questo tipo di turismo, predilige località nazionali anche poco battute. Questo si è potuto notare l’anno scorso, con un incremento di presenze in molte aree del Sud.

Giovani professionisti e lavoro

Molti sono gli italiani che nel 2023 non sono riusciti a fare una vacanza o hanno preferito mete più economiche. C’è l’inflazione, il caro prezzi avanza, i salari, rimasti bloccati, non offrono più una sicura base economica. Anche se c’è molta richiesta di lavoro, soprattutto nel comparto dei servizi di ristorazione e alloggio, tanti sono i giovani che da Nord a Sud non rispondono neanche alla richiesta. Molti pensano che siano i giovani italiani a non voler fare sacrifici, ma il fenomeno della “great resignation” (grandi dimissioni) nasce già da un paio d’ anni in America e si espande rapidamente anche in Europa, Tutto ciò sta a significare che forse le cose andrebbero comprese guardando a un modello gestionale diverso per la risoluzione del problema. Questa questione della mancanza di personale nel settore turistico non aiuterà sicuramente nel garantire una offerta di alto livello, come dovrebbe essere quella italiana. I giovani professionisti del settore sono le basi sulle quali costruire la nostra economia. Ben vengano anche nuove normative per tutelare le professioni turistiche, come il recente DDL sulla professione di guida turistica nazionale.

 Ci sarebbe bisogno però di paghe dignitose, corsi di formazione più performanti, snelli e alla portata di tutti. Così come dovrebbero essere le università. La cultura dovrebbe essere un faro importante per il nostro paese, anche come comparto. Molti lavori sono collegati alla cultura, lavori che andrebbero anche a favorire la messa in rete di azioni di protezione e valorizzazione di importanti siti naturalistici e storici. Eppure, si investe ancora poco in questo settore per noi così importante.

Aumento posti letto e cortocircuito

C’è chi pensa che sia una buona proposta l’offrire al turista ricchi ed improbabili itinerari, dopo i quali partirà più stanco di quando è arrivato. Chi invece sostiene che sia in base alla quantità dei posti letto, e alla grandezza delle strutture ricettive, la soluzione per avere più turismo. Oppure che per la promozione serva il rilancio di grandi eventi, che raccolgono in una giornata migliaia di persone,

Ci sono zone del Sud, in cui il turismo stenta a decollare. Si sente spesso parlare di implementazione della capacità ricettiva, per attrarre investitori stranieri, che avessero convenienza nel riempire alberghi e aerei. Il problema non sarebbe risolto, anzi, si creerebbe un cortocircuito importante. Il territorio non avrebbe la forza di sostenere questi meccanismi, dati i problemi atavici che lo attanagliano, come la mancanza di infrastrutture: strade, trasporti, servizi ospedalieri di prossimità, C’è poi l’eterno problema dell’acqua e dei rifiuti. Secondo l’Istat, riguardo il consumo di acqua pro capite, si stima che un turista consumi circa il doppio dell’acqua rispetto a un residente e che produca circa il 50% di rifiuti in più – In queste località sarebbe auspicabile promuovere quello che c’è, che già esiste. Si supera lo scoglio cercando di puntare alla gestione di flussi piccoli ma costanti durante l’anno. Puntando ancora di più sull’offerta globale a base territoriale. Anche gli eventi, se non ben armonizzati ed integrati in un piano di sviluppo e promozione, non avranno la giusta collocazione ed incisività all’interno di un piano per un futuro sviluppo.

Il turismo va demonizzato o  glorificato

La professionalità

Prima della promozione, bisognerà, possibilmente, curare e valorizzare bene il prodotto, che è il luogo, con tutte le sue complessità. La Visione unitaria di partnership pubblico-privata, insieme alla collaborazione tra strutture ricettive è determinante. Come ormai è decisivo per gli enti pubblici avvalersi di personale qualificato, come i destination manager, per promuovere l’offerta di un territorio.

Nel documento Onu Priorità per la ripresa del turismo, tra le linee guida, si legge:

1.Fornire liquidità e proteggere i posti di lavoro. 2. Recuperare la fiducia attraverso la sicurezza. 3. Collaborazione pubblico-privato per una riapertura efficiente. 4. Frontiere aperte con responsabilità – (*gestione flussi) – 5. Armonizzare e coordinare protocolli e procedure. 6. Posti di lavoro a valore aggiunto attraverso le nuove tecnologie. 7. Innovazione e sostenibilità come nuova normalità

Per conseguire questi risultati Onu e Unwto hanno ripresentato e valorizzato il ruolo delle DMOs (Destination Management Organizations) come «organismi di guida e coordinamento di una molteplicità di attori chiamati a creare le condizioni culturali, strategiche e organizzative favorevoli allo sviluppo turistico delle destinazioni”. La politica turistica ha bisogno di professionalità, a tutti i livelli.

Crescente interesse per la sostenibilità

Ormai è la qualità dell’offerta, su tutti i fronti, ad attrarre il turista. Per le grandi città c’è l’esigenza di ordine e pulizia, oltre che la richiesta di sistemi più tecnologici e sostenibili riguardo le strutture ricettive. La tendenza più forte è comunque quella che va alla ricerca delle emozioni, alla scoperta delle tradizioni, dei prodotti locali, delle destinazioni meno affollate, dei luoghi ancora incontaminati.

 Secondo Euromonitor international – nota società di consulenza inglese – il 73% dei travel executive ha riscontrato un crescente interesse per la sostenibilità da parte dei propri clienti. Anche il turismo basato sulla natura – tra cui l’avventura, l’ecoturismo, il sole e il mare – sta godendo di un crescente appetito da parte dei consumatori, per una previsione del 57% di tutti i pacchetti di viaggio nel mondo, in tutto il 2023. Questi pacchetti comprendono destinazioni e attività rurali, balneari e avventurose, poiché il fascino della natura e della natura selvaggia continua a crescere dopo la pandemia, come antidoto all’urbanizzazione e alle nuove pratiche di lavoro ibride.

Il turismo va demonizzato o  glorificato

Turismo e superpoteri

A volte si pontifica sul turismo che viene trattato come una entità con superpoteri: “Il turismo per il rilancio economico”. Diciamo piuttosto che bisogna riuscire a trovare il modo di attivare un circolo virtuoso tra il turismo e il sostegno alle attività locali per sostenere maggiormente l’economia e quindi produrre benessere sociale ed economico. La risorsa di un luogo sono i residenti, ed essi stessi devono essere insieme produttori e fruitori di ricchezza, che deve rimanere sul territorio.

Prendiamo l’esempio di una città come Venezia. Il numero di posti letto per turisti equivale quasi al numero dei residenti, Secondo i dati dell’ufficio studi della Cgia di Mestre, negli ultimi 10 anni la provincia di Venezia ha perso 4.172 artigiani, pari al 14,5% del totale.  Tra i mestieri tradizionali in via di estinzione ci sono calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, orafi, orologiai, restauratori, sarti e vetrai. (fonte Veneziatoday.com) Queste attività caratterizzavano e davano spessore a quella che era l’identità del territorio. Se Venezia si svuotasse dei residenti(resilienti) il luogo stesso si svuota da ogni peculiarità e caratteristica che lo rendeva unico e inimitabile. In questo modo una città diventa una impalcatura per turisti, una nuova Disneyland. Abbiamo una parte d’Italia che anela al turismo l’altra che subisce il turismo di massa.

Il turismo va demonizzato o  glorificato

 Turismo significa soprattutto viaggio, che è una predisposizione naturale che ogni persona avverte. Il turismo è sempre esistito e continuerà ad esistere; quindi, bisognerà iniziare ad amministrare bene e professionalmente questo fenomeno complesso, partendo dai bisogni dei territori, sia livello sociale che ambientale. Si dovrebbe fare una analisi di realtà e pianificare, eventualmente, anche delle strategie nazionali che creino una sorta di osmosi tra aree in cui esso è carente e aree pervase da grandi flussi.

Opere e musei sono riproducibili, anche virtualmente, quello che non può mai essere riprodotta è la natura, il contesto locale, l’attività umana, le relazioni. Cose di fondamentale importanza, non solo per il turismo ma per la vita delle persone.

Ora posso rispondere alla famosa domanda del titolo: Il turismo va demonizzato o glorificato?

Va gestito!

Il Q17 e ” Il turismo va demonizzato o va glorificato?” saranno disponibili da ottobre. Per gli altri numeri già disponibili dei Quaderni editi da il prato cliccare qui

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Nuovi turismi e nuovi apprendimenti nel settore turistico

Nuovi turismi e nuovi apprendimenti nel settore turistico di Chiara Ceccon (docente di discipline turistiche aziendali ITSET A. Martini Castelfranco Veneto -TV -) è il primo articolo del nuovo Quaderno Q17 “Scuola, professioni e trend del turismo” da ottobre scaricabile qui

Apprendimenti nel settore turistico

Superata la crisi pandemica, con tutto ciò che ha comportato, dalla riorganizzazione della didattica alla formazione obbligatoria per i docenti nel campo delle nuove tecnologie digitali, la scuola secondaria di secondo grado ha dovuto affrontare nuove sfide per stare al passo con i tempi e con i cambiamenti nel mondo del lavoro. In qualità di docente di una materia fondamentale nell’indirizzo turistico, ovvero discipline turistiche aziendali, mi sono resa conto che il settore del turismo ha accelerato i tempi in modo quasi incontrollabile; infatti, non è una novità che i flussi turistici nel mercato italiano e internazionale abbiano avuto una ripresa post pandemia a ritmi esponenziali rispetto al periodo pre- Covid-19.

Lo dimostra il fatto che le agenzie di viaggio e in particolare i tour operator on line sono aumentati o hanno modificato la loro mission, partendo dal “turismo di prossimità” per dirigersi verso il cosiddetto “turismo esperienziale”, richiesto dalla maggior parte della domanda turistica. Questo anche a causa del revenge tourism, cioè il desiderio di rivalsa e l’aumento della propensione a viaggiare dopo le restrizioni. Anche le strutture ricettive si sono rinnovate, complice la possibilità di usufruire degli incentivi fiscali e l’offerta si è arricchita anche di nuove proposte nel settore eno-gastronomico.

Lo studio durante la pandemia

Durante e a seguito della pandemia gli stessi studenti hanno avuto un rapporto con lo studio diverso: sono stati costretti a seguire le lezioni e a svolgere i compiti assegnati da remoto e di fatto l’utilizzo di pc, tablet e smartphone per uso scolastico, oltre che personale, li ha portati a essere connessi in ogni momento della giornata.

Le visualizzazioni dei video sono aumentate, così come le iscrizioni a Instagram o a Tik Tok, dove gli utenti vogliono sentirsi protagonisti proponendo nuove esperienze di viaggio, conoscenze di luoghi o cibi tipici del territorio, eventi o contenitori di una serie di proposte che fanno divertire e creare momenti di spensieratezza, raggiungibili on line anche da un pubblico minorenne.

Le nuove tendenze presenti nei social riguardo al settore del turismo sono oggetto di studio anche da parte degli istituti scolastici e del Ministero dell’Istruzione, che, da un lato riflettono sui rischi dell’iperconnessione, ma dall’altro guardano a questa opportunità come a un altro modo di conoscere i vari tipi di turismo, e in generale ad apprendere e studiare in modo innovativo grazie al confronto con diverse realtà e iniziative.

I docenti dei vari gradi scolastici hanno l’obbligo normativo di formarsi attraverso corsi o piattaforme on line che propongono formazione di qualsiasi tipo, e si sono adeguati alle nuove strategie in modo da poter trasmettere con maggior efficacia ai loro alunni competenze socio-culturali e di cittadinanza attiva.

Tuttavia, non è sempre facile per un docente rimanere sulla cresta del cambiamento, considerata la mole di burocrazia che deve svolgere quotidianamente, burocrazia che è aumentata proprio in seguito alle nuove direttive. Il fattore principale che permette a un docente di discipline turistiche di mantenere un livello di attenzione alto è la capacità di coinvolgere maggiormente i colleghi e i suoi studenti attraverso la condivisione di progetti o compiti di realtà che permettano di valorizzare il territorio circostante. In base alla mia esperienza personale, se i ragazzi sono coinvolti attraverso i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, i famosi PCTO, in esperienze attive, sono più motivati e raggiungono l’eccellenza con maggior frequenza.

Una metodologia didattica più coinvolgente rispetto alla classica lezione frontale, dal mio punto di vista, consiste nel partire dall’analisi dei documenti proposti dal docente, per poi inserire nella consegna un obiettivo da raggiungere in modo da creare vari gruppi di lavoro e di confronto. Questa tipologia di lavoro viene attuata anche nei corsi di formazione dei docenti stessi, come quelli proposti dall’USR- Ufficio Scolastico Regionale – Veneto, come, a titolo di esempio, la creazione di podcast o la realizzazione di brevi video che i nostri studenti hanno realizzato in laboratorio e a casa per la valorizzazione delle ville venete del nostro territorio.

Apprendimenti nel settore turistico

Cambiamenti sociali e tecnologici e impatto sullo studio

Negli ultimi anni ho notato che i cambiamenti sociali e tecnologici hanno portato gli studenti a essere, generalmente, meno indipendenti e responsabili e più impazienti: spesso il loro voler tutto e subito non permette un approccio efficace allo studio, mentre se studiano assieme riescono a confrontarsi, a prendere delle decisioni e ad arrivare a un obiettivo condiviso. La modalità di confronto favorisce l’autocritica e lo spirito di iniziativa che sono sempre più richiesti nel mondo attuale.

Gli stage nel triennio della scuola secondaria superiore sono sicuramente una buona opportunità di apprendimento e permettono agli studenti un veloce e consapevole ingresso nel modo del lavoro, perché all’età di 16- 17 anni hanno scarsa consapevolezza del loro futuro e sono ancora nella fase dell’adolescenza, in cui pensano di “spaccare il mondo”, ma in realtà sono superficiali e ingenui, perché non hanno ancora maturato l’esperienza personale per affrontare le difficoltà.

La scuola deve continuare a essere un punto di riferimento fondamentale per i ragazzi che, soprattutto oggi, sono molto disorientati a causa dei rapidi cambiamenti della società e il COVID sicuramente ha contribuito ad aumentare questo senso di insicurezza e fragilità.

Il Q17 e ” Nuovi turismi e nuovi apprendimenti nel settore turistico” saranno disponibili da ottobre. Per gli altri numeri già disponibili dei Quaderni editi da il prato cliccare qui

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Paesaggio umano usato/partecipato

Paesaggio umano usato/partecipato di Antonella Grana è il quinto articolo del nuovo Quaderno Q16 “Paesaggi umani, paesaggi urbani” da luglio scaricabile qui

Questo Quaderno inizia per me con un tuffo nel recente passato, un passato che chiamerei pre-Covid da una parte e post-sisma dall’altra. Dieci dicembre 2016, furgone carico di tutto quanto siamo riusciti a raccogliere con le donazioni, ore 5 del mattino, direzione Norcia. C’è un gran bel ghiaccio a quell’ora del mattino (notte?).  La strada è lunga e con deviazioni perché il sisma che ha colpito il centro Italia, ad agosto prima e a ottobre poi, non ha risparmiato la viabilità. Ad attenderci ci sarà Emanuele Persiani, l’autore del primo pezzo di questo Quaderno.

Il terremoto ha cambiato per sempre il paesaggio dell’area, ce lo spiega bene Emanuele nel suo articolo. Corsi d’acqua, come il Torbidone, che hanno fatto nascere una sorta di laghetto, gli insediamenti umani che si sono allargati creando dei dormitori dove sono state costruite le SAE – Soluzioni Abitative di Emergenza.

Paesaggio umano usato/partecipato

Sono stata a Norcia e nei paesi limitrofi umbri e marchigiani, l’ultima volta nell’estate del 2019. Poi, da febbraio 2020 la pandemia e non ci sono più tornata. Mi riprometto di farlo presto. Quando ho letto il testo di Emanuele ho subito (ri)visto la situazione che si stava già palesando: confusione nella ricostruzione – ma questo ci può anche un po’ stare, l’area è immensa- ma soprattutto decisioni non condivise con la popolazione.

Ho ancora negli occhi il centro commerciale costruito per le attività che avevano necessità di delocalizzare, l’ho visto sempre desolatamente vuoto. Si è voluto importare un modello che non è nelle corde della zona. Per me che abito in Veneto, una struttura di quel tipo era una situazione ovvia. Esco di casa e ho 4 o 5 centri commerciali nel raggio di 5 chilometri. Non è la stessa cosa per chi abita a Norcia e che è abituato al negozietto di prossimità.

Emanuele nel suo racconto condensa questi anni, tutt’altro che semplici, del post sisma.

Paesaggio umano usato/partecipato

C’è un limite allo sfruttamento del territorio? E se il corpo territoriale fosse paragonato a un corpo biologico?

“Esiste ormai una quantità di letteratura e di studi, nonché di modelli urbani, che incontrovertibilmente hanno posto al centro della loro riflessione, per la risoluzione dei problemi, la questione del limite.

Le realtà urbane più vivibili – e guarda caso più ricche – sono quelle che hanno accettato tale sfida e fanno, del “darsi un limite”, l’occasione per il loro rilancio e successo” ci dice Roberto Ervas nel suo articolo. E aggiunge “…si scopre che le città che hanno risolto meglio il problema del traffico privato sono quelle che hanno smesso di “assecondarlo”, promuovendo il trasporto pubblico e la viabilità ciclopedonale e supportando quello commerciale attraverso specifici percorsi, tecnologie dedicate e organizzazioni logistiche innovative.”

Nel suo pezzo Emanuele Persiani ci dice “…sono aumentati gli spostamenti, quando prima del sisma ci si muoveva di più a piedi perché era tutto più vicino.” Stiamo forse ricostruendo ma nel modo sbagliato? Sembrerebbe di sì… Forse mancano i fondi, ma… fermi tutti! Ecco a noi il PNRR che tutto risolve, ce ne parla in un altro articolo Alessandro Boldo. Quale è l’importanza del territorio/ambiente nella strategia di sviluppo del PNRR? Come termine risuona molte volte, nella pratica il riscontro è proprio basso: territorio e ambiente sono sudditi dell’economia.

A prescindere dalle argomentazioni e dalle coalizioni discorsive sovraordinate, la transizione del PNRR è una transizione de-territorializzata. Il territorio è di fatto la verifica delle premesse discorsive dell’EGD e degli obiettivi di transizione del PNRR, ma la spazialità e le specificità territoriali del programma paiono assorbite dagli stimoli del mercato, da opere o acquisizioni di procedure legate a processi di innovazione tecnologica, energetica, digitalizzazione e deroga normativa, frettolosamente qualificative come semplificazione burocratica e riforme di governance”

Una transizione de-territorializzata. Se pensiamo alla ricostruzione, di nuovo, non ci siamo. Dove sono finiti territorio e persone?

Di paesaggio e persone ce ne parla Lucia Ammendolia nel suo pezzo dedicato interamente al Veneto “sulle orme del Leone Marciano”. Lucia ci accompagna lungo i paesaggi veneti, bellissimi ma a volte contraddittori, dove una forte cementificazione fa da contrasto a luoghi naturali che sono stati – e sono – fonte di ispirazione per poeti, pittori e scrittori.  Ma cos’è il paesaggio? Una delle definizioni dice: “…quindi spazi di territori in continua costruzione e conseguente interazione tra uomo e natura. Tutto questo, mette in luce la naturale correlazione tra il territorio e la parte antropica. All’interno del paesaggio, l’uomo non è un semplice osservatore ma, citando Jacob, è un “soggetto attivo abitante

L’essere umano è un “soggetto attivo abitante”, le politiche territoriali sembra che se ne dimentichino spesso. Il Veneto è una delle aree a più alta cementificazione, dove anche l’agricoltura con le monocolture intensive sta contribuendo a cambiare il paesaggio.

Paesaggio umano usato/partecipato

“L’anima veneta” è paesaggio, soprattutto negli occhi e nei racconti di chi questa terra l’ha fortemente amata e abitata. Molte sono le testimonianze di questo sentimento, in particolare da chi ne ha vissuto la trasformazione da paesaggio agricolo a industrializzato, cogliendone la bellezza di prima e le contraddizioni del dopo. Come Mario Rigoni Stern, nato ad Asiago, nell’omonimo altopiano. Egli ambienta i suoi romanzi principalmente nelle montagne del Veneto, illustrando con grande cura il territorio e anche il rapporto tra l’uomo e la natura stessa. In alcuni suoi libri utilizza anche una antica lingua: il cimbro, lingua antica dell’altopiano, in via d’estinzione, che lui cercò di valorizzare. Il rispetto per la sua terra era davvero profondo e sentito.

Credo sia ormai chiaro il perché del titolo della mia introduzione “Paesaggio umano usato/partecipato”

Ho utilizzato svariate volte l’esempio delle zone del sisma. Io avevo sempre visto la ricostruzione come un grande laboratorio condiviso, dove con una buona pianificazione si poteva rendere il paesaggio – ferito- anche più bello di prima. Nella disgrazia c’era – spero ci sia ancora – la possibilità di ripartire da zero e di ripartire nel modo giusto. È più semplice quando tutto deve esser ricostruito lavorare su una progettualità nuova, molto più semplice rispetto a interventi su aree già popolate e sfruttate. In questo momento purtroppo anche in quelle aree/laboratorio c’è solo un paesaggio umano usato, molto verosimilmente per logiche di mercato.

Il paesaggio umano partecipato è quello che manca. Un paesaggio umano partecipato è una comunità attiva e vivace che fa proposte anche quando non le si chiede nulla. Ecco, questo è quello che spero, per Norcia e non solo, anche per tutti noi: un paesaggio umano partecipato. Sta anche a noi fare una mossa.

Buona lettura. E… proponete il vostro paesaggio

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Il lato ambientale del PNRR: politiche con (poco) territorio

Il lato ambientale del PNRR: politiche con (poco) territorio di Alessandro Boldo è il quarto articolo del nuovo Quaderno Q16 “Paesaggi umani, paesaggi urbani” da luglio scaricabile qui

1. PNRR e ambiente

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sciolti momentaneamente i vincoli di bilancio al 2026, dovrebbe garantire l’attuazione di quelle riforme strutturali in grado di riattivare lo sviluppo del paese all’interno dello schema Next Generation Eu e a sua volta nel nuovo paradigma dell’European Green Deal (EGD).

Il lato ambientale del PNRR

Next Generation EU ha allocato il 37% di 800MM€ a obiettivi di supporto dell’EGD di cui una parte rilevante all’implementazione del PNRR italiano, con l’obiettivo ambizioso di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e ridurre le emissioni climalteranti del 55% rispetto allo scenario del 1990 entro il 2030.

In riferimento alla transizione, l’Italia è il maggiore beneficiario in termini assoluti, con 70 MM€ rispetti i 27 della Spagna, i 18 della Francia; ma in termini relativi l’Italia destina alla transizione il minimo previsto: 37% contro 40% in Spagna, 46% in Francia, 42% in Germania, 59% in Austria.

2. Quale transizione?

La Transizione è già presente all’interno delle maggiori strategie europee degli ultimi 20 anni, la ‘Strategia di Lisbona’ e ‘Europa 2020’. Come rilevato da Schunz (2022) il termine transizione nella prima è associato a riforme strutturali del tipo knowledge-based al fine di abilitare il dinamismo e la competitività economica dell’eurozona; nella seconda gli interventi di natura prettamente economica spostano il campo di policy sulla mitigazione degli effetti indotti dalle crisi finanziarie in particolare quella dei debiti sovrani avanzando due nuove aree d’interesse: digitalizzazione e cambiamenti climatici. Entrambi i linguaggi manifestano asimmetria di azione e subalternità delle dimensioni sociali e ambientali dello sviluppo sostenibile rispetto agli obiettivi di crescita economica (ibid:16). Nella Strategia di Lisbona, i temi ambientali sono confinati in documenti non integrati, su tutti la strategia dello sviluppo sostenibile di Göteborg (2001); in ‘E2020’ lo spazio di policy ambientale è invece utilizzato in modo utilitaristico e si qualifica per mezzo dell’innovazione tecnologica, dell’eco-efficienza e del disaccoppiamento tra crescita e intensità d’uso dell’energia.

I problemi ambientali, principalmente i cambiamenti climatici, si configurano quale finestra d’opportunità per favorire la ripresa e la crescita economica e, quale effetto sottoprodotto, il contenimento delle emissioni climalteranti. Entrambe le strategie hanno di fatto inibito qualsiasi trasformazione nell’ottica della sostenibilità ambientale (forte) e verso misure ambientali più vincolanti, limitandole in modo utilitaristico al fine di abilitare l’eco-innovazione (ibid:10) in supporto della crescita e dell’occupazione.

2.2 Un cambio di paradigma(?)

A partire dal 2019, nuove ‘coalizioni di discorsi’ consapevoli a livello globale della degradazione degli ecosistemi e dell’emergenza climatica pongono l’UE di fronte alla valutazione di un nuovo paradigma: l’European Green Deal (EGD). Di fatto una rottura discorsiva rispetto il passato, l’EGD ha l’ambizione di consegnare alla sostenibilità e alla tutela delle matrici ambientali il riferimento esplicito e quel compito coagulante per tutte le politiche EU ponendo in modo ambizioso le azioni di neutralità climatica nonché preservando la competitività del sistema economico europeo. L’EGD riprende molti stimoli alla crescita via eco-innovazione già presenti nella Strategia di Lisbona e in E2020 cercando di convalidare il ricorrente, seppur discutibile, discorso per cui nel lungo periodo l’innovazione sarebbe in grado di ridurre la tendenza dei rendimenti marginali decrescenti nella produttività nonché ad abilitare crescita e stabilità economica (Bonaiuti, 2013). Il termine transizione è presente 52 volte e qualificato con aggettivi che richiamano la sostenibilità ambientale e sociale, riferendosi principalmente a processi economici, energetici e industriali (Schunz, 2022: 14).

Risultato di una coalizione di discorsi con alto tasso di intertestualità, transizione ecologica/verde ambisce ad essere il cambio (potenziale) di paradigma che pone la dimensione ambientale della sostenibilità e la giustizia sociale al centro dell’agenda comunitaria, perseguendo un’inversione prospettica già proposta da Marcuse (1998) per il quale sostenibilità (prima di transizione) dovrebbe rappresentare un vincolo, piuttosto che una coalizione di obiettivi.

Se tali discorsi rappresentano una discontinuità rispetto le precedenti strategie, il dubbio ricade sull’atterraggio degli stessi nelle pratiche e negli sforzi implementativi: volgeranno a seguito della path dependance comunitaria verso obiettivi di sostegno alla crescita, oppure saranno abilitanti individuando l’agency in grado di garantire il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi e trasferire i discorsi in pratiche, oppure rappresentano già un’opzione asintotica.

3. Le implicazioni con il territorio

Nel dettaglio delle misure PNRR a maggio 2023 la tutela del territorio ha un tasso di completamento per le riforme normative pari al 97% e 18% per la copertura degli investimenti; le energie rinnovabili vedono il 56% di completamento per le riforme istituzionali e il 14,7% per gli investimenti; infine, l’economia circolare ha completatol’86% delle riforme istituzionali e il 25,4% degli investimenti.

Il lato ambientale del PNRR

Pare evidente il mismatch tra l’implementazione normativa e burocratica, di fatto completata per intero o quasi, e quella attuativa definita dagli investimenti a garanzia di quello che dovrebbe essere l’impatto trasformativo sui territori. Si possono sommariamente e generalmente delineare in corso d’opera alcuni limiti o basi d’indeterminatezza dei processi attuativi del Piano in termini di appalti, governance e implementazione locale:

  • l’aggravante delle complesse crisi dello scenario globale, le strozzature dell’offerta e il relativo aumento dei prezzi delle materie prime e dei servizi energetici;
  • se la frammentazione amministrativa e decisionale è di fatto un limite all’implementazione delle politiche è da verificare se i meccanismi di aggregazione siano gli strumenti preferibili per favorire l’interplay (Young et al., 2008) tra i vari attori o per incentivare l’integrazione degli operatori di gestione[1];
  • le endemiche difficoltà del tessuto amministrativo-burocratico locale in termini di risorse umane e competenze abilitanti. A breve termine paiono in crisi gli obiettivi di sostegno alla generalizzata e auspicata ripresa economica dell’area UE e la tutela del mercato da un eccesso di domanda; mentre nel lungo periodo le riforme e le transizioni annunciate paiono appiattirsi su proposte elencative già presenti negli archivi degli enti locali piuttosto che sul carattere trasformativo degli stessi così come evocato dagli intenti generali del Piano stesso.

A prescindere dalle argomentazioni e dalle coalizioni discorsive sovraordinate, la transizione del PNRR è una transizione de-territorializzata. Il territorio è di fatto la verifica delle premesse discorsive dell’EGD e degli obiettivi di transizione del PNRR, ma la spazialità e le specificità territoriali del programma paiono assorbite dagli stimoli del mercato, da opere o acquisizioni di procedure legate a processi di innovazione tecnologica, energetica, digitalizzazione e deroga normativa, frettolosamente qualificative come semplificazione burocratica e riforme di governance. Gestione rifiuti, efficienza energetica degli edifici, azioni di mitigazione e decarbonizzazione per mezzo di rinnovabili, rinnovo TPL con mezzi a bassa emissione, filiera dell’idrogeno; persino la “Tutela del territorio e risorsa idrica” privilegiano monitoraggi, digitalizzazione, semplificazioni gestionali e infrastrutture per ridurre le perdite di rete, eludendo finalità e strategie di adattamento e trascurando i nodi irrisolti di implementazione e governance multilivello delle politiche ambientali

Il lato ambientale del PNRR

Se la questione del territorio, del territorio-complesso, può attivare una domanda di semplificazione (Donolo, 2007), la dipendenza delle politiche territoriali da una primazia e soluzione tecnica e digitale semplifica il rapporto tra prodotto – politiche – territorio subordinando le seconde al grado di innovazione del primo e mantenendo il terzo quale sfondo inerte.

Su scala globale la crisi ecologica coincide con la massima espansione del modello neoliberale di mercificazione ed erosione delle risorse locali e sta in relazione diretta con le crisi economiche per via dei costi crescenti di ristrutturazione delle basi produttive del capitale. Se negli anni ‘70 del secolo scorso la dimensione urbana ha sostituito la fabbrica come terreno privilegiato per cogliere i meccanismi di produzione e sfruttamento, oggi, ridotte (non poco) le soluzioni spaziali del Capitale[2], è la dimensione globale delle crisi ambientali a svelare i riposizionamenti, le tensioni e le contraddizioni intrinseche della catena produzione-valore-merce.  Sono approcci piegati ai meccanismi del mercato globale, dove ambiente, sviluppo sostenibile, transizione verde/ecologica non sono più (o ancora) un vincolo per le politiche (Marcuse 1998, EGD 2019), ma costituiscono occasione e pretesto per una rinnovata azione di sustainable capitalism (O’Connor, 2021) in termini di erosione, o di green gentrification in termini di accessibilità.

Forse sostenibilità è in attesa (anche) di transizione, ma di fatto negli ultimi 40 anni le politiche hanno assecondato e rinnovato troppe nominalizzazioni, «troppi incanti rispetto al disincanto che produce» (Attili, 2023 :57) spostando continuamente il focus terminologico senza raggiungere gli obiettivi (ambiziosi) prefissati. Pertanto, se transizione ecologica ha l’ambizione di agevolare azioni di ricucitura e convergenza tra i sistemi territoriali non può manifestare meramente carattere tecnico, performativo o applicativo, ma ambire a istituire processi di territorializzazione (Beccattini 2015), un atto continuo di messa a tema del territorio che favorisca il consolidarsi di una coscienza dei luoghi (ibid). Nei processi di territorializzazione le soluzioni ad alta intensità di conoscenza non sono escluse a prescindere ma s’inquadrano in una piattaforma delle competenze direttamente dipendenti dalle specificità, dalla capacità d’iniziativa e di federazione di attori e risorse e che progressivamente trovano centralità nell’organizzazione dei sistemi sociali. Su queste modalità interpretative il PNRR è carente.

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Bibliografia

Attili, G. (2023) Cosmogonie del possibile, in D’Ammando A., Morawski T., Velotti S. (a cura di) Urban Forms of life. Per una critica delle forme di vita urbane. Quodlibet Studio, Macerata.

Becattini, G. (2015) La coscienza dei luoghi: il territorio come soggetto corale. DonzelliMilano

Donolo, C. (2007) Sostenere lo sviluppo. Ragioni e speranze oltre la crescita. Bruno Mondadori Editore, Milano.

Marcuse, P. (1998) Sustainability is not enough. Environment and Urbanization, Vol. 10, No. 2, October 1998

Orthothes, Nocera Inferiore Sa.

O’Connor, J. (2021) La seconda contraddizione del capitalismo. Introduzione a una teoria e storia dell’ecologia. Ombre corte, Verona.

Schunz S. (2022) The ‘European Green Deal’ – a paradigm shift? Transformations in the European Union’s sustainability meta-discourse, Political Research Exchange, 4:1, DOI: 10.1080/2474736X.2022.2085121

Sini, C. (2000) Da parte a parte. Apologia del relativo. Edizioni ETS, Pisa.


[1]    A esempio, per la gestione dei servizi idrici integrati.

[2]    Quantomeno in termini di rendite marginali, mentre per le rendite differenziali l’altro paradigma della ‘rigenerazione’ non garantisce su tutto il territorio alti rendimenti di mercato.


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Il paesaggio lungo le impronte del Leone Marciano

Il paesaggio lungo le impronte del Leone Marciano di Lucia Ammendolia è il terzo articolo del nuovo Quaderno Q16 “Paesaggi umani, paesaggi urbani” da luglio scaricabile qui

Paesaggio Leone Marciano
Foto cortesia di Philippe Apatie

Avete mai assistito ad un’alba sulle montagne?

È uno spettacolo che nessun altro mezzo creato dall’uomo vi può dare, questo spettacolo della natura.

[…] Ad un certo momento, prima che il sole esca dall’orizzonte, c’è un fremito.

Non è l’aria che si è mossa, è un qualche cosa che fa fremere l’erba, che fa fremere le fronde se ci sono alberi intorno, l’aria stessa, ed è un brivido che percorre anche la tua pelle.

E per conto mio è proprio il brivido della creazione, che il sole ci porta ogni mattina. (Mario Rigoni Stern)

Paesaggio Leone Marciano

La prima reazione che si ha pensando alla parola paesaggio, o panorama che ne è l’estensione amplificata, è che sia qualcosa di esterno a noi, a una visuale da cartolina, qualcosa di astratto, che riusciamo a cogliere soltanto attraverso un unico senso, quello della vista. Invece è qualcosa di molto più complesso, si pensi, per esempio, al “paesaggio sonoro”, dato dall’insieme degli elementi acustici che lo compongono; come il suono delle campane di un vecchio paesino o le cicale in un prato di montagna. Quindi, oltre all’aspetto fisiocratico il luogo esprime anche attraverso i suoni dell’ambiente, la sua identità.

“Il paesaggio era come un verso di poesia che crea sé stesso” (Corrado Alvaro)

Il termine PAESAGGIO deriva da paese, dal latino pagus (= villaggio); da qui l’aggettivo pagensis che significa “lo spazio intorno a un borgo agricolo”.

Questo concetto risalta ancor più nel termine landscape. Secondo uno dei padri della “Convenzione del paesaggio”, il geografo francese Yves Luginbuhl, questo termine è composto da land(terra) e schaft (trasformare, modellare) quindi spazi di territori in continua costruzione e conseguente interazione tra uomo e natura. Tutto questo, mette in luce la naturale correlazione tra il territorio e la parte antropica. All’interno del paesaggio, l’uomo non è un semplice osservatore ma, citando Jacob, è un “soggetto attivo abitante”. Ci sono diverse modalità di rapportarsi al paesaggio, ogni popolo ne definisce e delimita il contesto attraverso le proprie esperienze, vissute in relazione a esso. Questo concetto è sinteticamente espresso in una sola parola che noi usiamo abitualmente: cultura, il cui etimo deriva dal latino “cultura” che significa coltivare, onorare la terra -dalla quale si traggono degli insegnamenti -, prendersene cura. Il paesaggio è un complesso processo culturale.

“I luoghi hanno un’anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana. Un tempo, nell’antichità, le potenze divine apparivano in luoghi specifici: sotto un albero, presso una sorgente, un pozzo, su una montagna, in un pianoro, all’ingresso della tana di un serpente. Gli uomini circondavano il luogo di pietre: per proteggere la sua interiorità. Nascevano i templi; consacrati a queste divinità: gli Àuguri ritualizzando il Genius loci fondavano le città” (James Hillman)

Nelle culture Orientali il paesaggio è espresso con una idea in continuo svolgimento armonico, in cui l’uomo è una parte dell’insieme. Egli, non essendo in contrasto con la natura, non cercando di dominarla, ne ha anche timore. Cerca, invece, di ingraziarsela, curandola, provando in tutti i modi di favorire l’armonia. Infatti, la religione giapponese (lo Shintō) insegna che la natura è spirito. Il termine paesaggio in giapponese è composto da due parole” san sui “che significano “montagna e acqua”. Infatti, molti sono i dipinti raffiguranti le montagne e l’acqua che scorre, proprio per esprimere il legame originario, tra la vita dell’uomo e la natura madre. Inoltre, questo tipo di sensibilità la ritroviamo anche negli Haiku, forma poetica giapponese per eccellenza, legata alla natura e ai cicli stagionali.

Anche nelle culture indigene, come quella degli indiani d’America, la natura ha aspetti simbolici e leggendari, in cui l’uomo vede nella natura forze soprannaturali. Infatti, anche gli alberi erano considerati esseri viventi, con uno spirito proprio, venerati come fonte di saggezza e vita.

Nella cultura occidentale, l’impronta più importante l’abbiamo dalla cultura greca antica, nella quale Zeus, Re e signore del cielo, dominava tutti gli altri dèi, ai quali è legata una narrazione altamente figurativa degli ordini naturali. Nel periodo del Rinascimento, l’occidente riprende con esaltazione il modello greco, la natura viene rivalutata come fonte di vita e armonia. E proprio in quel periodo per la prima volta in Occidente viene rappresentato in maniera concettuale il paesaggio. Chi rappresentò il primo paese su tela fu il Giorgione, di Castelfranco Veneto, dipingendo il famoso quadro “La Tempesta”, attualmente conservato presso le Gallerie dell’Accademia, a Venezia.

“In questo progresso scorsoio / non so se vengo ingoiato / o se ingoio” (Andrea Zanzotto)

“L’anima veneta” è paesaggio, soprattutto negli occhi e nei racconti di chi questa terra l’ha fortemente amata e abitata. Molte sono le testimonianze di questo sentimento, in particolare da chi ne ha vissuto la trasformazione da paesaggio agricolo a industrializzato, cogliendone la bellezza di prima e le contraddizioni del dopo. Come Mario Rigoni Stern, nato ad Asiago, nell’omonimo altopiano. Egli ambienta i suoi romanzi principalmente nelle montagne del Veneto, illustrando con grande cura il territorio e anche il rapporto tra l’uomo e la natura stessa. In alcuni suoi libri utilizza anche una antica lingua: il cimbro, lingua antica dell’altopiano, in via d’estinzione, che lui cercò di valorizzare. Il rispetto per la sua terra era davvero profondo e sentito.

Paesaggio Leone marciano

Così come Andrea Zanzotto, che visse a Pieve di Soligo, tra le colline del prosecco, il quale parla della cementificazione e anche della monocoltura intensiva che porta alla trasformazione del territorio. Quindi, diviene il narratore del lento disfacimento del “suo” paesaggio, che lui aveva visto integro nella sua naturalità. Zanzotto affermava che il legame emotivo, che lega la persona al paesaggio crei l’identità personale. In sintesi, mi verrebbe da dire, che: “siamo quello che vediamo”. Un altro illustre poeta e scrittore, Giovanni Comisso, trevigiano, criticò duramente le ricostruzioni del dopoguerra, e, anche più avanti, l’uso smodato del cemento. Raccontò lo splendore delle ville venete, cercando di promuoverne la loro tutela e valorizzazione. Queste ultime rappresentano in maniera straordinaria il rispetto dell’uomo nei confronti della natura, soprattutto nella grande attenzione in relazione al contesto paesaggistico in cui sono state inserite. Infatti, vennero costruite tenendo conto di tutta una serie di fattori, soprattutto dell’armonia creata tra architettura e paesaggio che diviene, essa stessa, opera d’arte.  

“Io vivo di paesaggi (…) forse la ragione dei miei viaggi per il mondo non è stata altro che una ricerca di paesaggi, i quali funzionavano come potenti richiami” (Giovanni Commisso)

Paesaggio Leone Marciano

Oltre al Giorgione, numerosi sono gli artisti veneti che nella contemplazione della natura ci hanno lasciato opere meravigliose. Molti sono i Pittori che hanno dato lustro all’arte come Tiziano, il Bellini, il Tintoretto, il Veronese, il Tiepolo, il Canaletto, famoso per le sue “vedute” di Venezia. Di quest’ultimo abbiamo recentemente potuto ammirare un quadro, in mondovisione, durante un evento storico: “C’è un pezzo di Venezia durante il passaggio del titolo reale, dalla regina Elisabetta II d’Inghilterra al figlio, re Carlo III. Al St. James Palace di Londra, la frase “God save the King (Dio salvi il re)” che sancisce la salita al trono del re Carlo d’Inghilterra è stata pronunciata davanti alla “Veduta del bacino di San Marco” di Canaletto. Dietro alla persona che recitava la formula storica si poteva vedere il celebre quadro del diciottesimo secolo che, in una delle copie, era giunto anche a Venezia”. (fonte il Gazzettino)

I riferimenti normativi

L’articolo 9 della Costituzione Italiana, avverte che: “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

La tutela del paesaggio, in Italia, è regolata dal decreto legislativo 490/90, rivisitata poi dal d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, conosciuto come Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Esiste anche una legge sul paesaggio urbano, introdotta in Italia nel 2001, dal d. lsg. di cui sopra. Questa legge prevede che i comuni debbano usare un Piano Regolatore Generale (PRG) che delimiti le norme urbanistiche per il territorio comunale. Il PRG deve essere curato in modo da assicurare il rispetto delle norme sulla tutela del paesaggio e dell’ambiente.

Alle varie normative esistenti, inerenti alla tutela paesaggistica, seguono delle deroghe. Alcune di queste sarebbero anche volte al recupero di determinate aree, ma, in generale, potrebbero agevolare interventi di cementificazione, con azioni decisamente sfavorevoli sul paesaggio. Per questo motivo andrebbero, se non limitate, quanto meno esaminate e controllate, in maniera rigorosa, poiché, tramite le stesse, possono essere annullati vincoli paesaggistici, architettonici e/o ambientali.

Servirebbe una più attenta pianificazione urbana, anche dei contesti naturalistici, nei quali troppo spesso non si è tenuto conto dei danni della cementificazione, con relativa scomparsa di aree verdi. Purtroppo, il Veneto risulta essere, in classifica, tra le prime regioni con più alto consumo di suolo in Italia.

Il Veneto è un paese di gente tranquilla e laboriosa, che ama la sua terra e la sua casa, che non si lascia turbare dalle vicende del mondo, che sa godere delle piccole cose della vita. Il Veneto è un paese di paesaggi dolci e variati, di colline verdi e di pianure fertili, di laghi azzurri e di fiumi argentati, di città antiche e di villaggi pittoreschi. Il Veneto è un paese di arte e di cultura, di chiese e di palazzi, di pittori e di poeti, di musicisti e di scrittori. (Giovanni Comisso)

Solo in Veneto ci sono 1068 paesaggi tutelati. Sono paesaggi diversissimi, come il sistema di ville sul Terraglio e sulla Riviera del Brenta; i centri storici di Conegliano o di Noale; alcuni contesti rurali e naturali di particolare pregio come le colline di Asolo o i colli Euganei, Cortina e la valle del Boite.(Fonte Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio) .Ci sono, altresì, 9 siti Unesco paesaggistici, ovvero siti che sono stati identificati come Patrimonio Mondiale dell’Umanità per il loro valore come scenario naturale ma anche culturale. Potremmo citarne qualcuno, come per esempio Venezia e la sua laguna, Le Dolomiti, le ville Palladiane. Nell’elenco, ci sono anche alcuni siti di archeologia industriale, come l’Arsenale di Venezia. Per la cura e valorizzazione del territorio veneto, e per trasmettere quelli che sono stati gli usi e i costumi, la storia e le tradizioni, sarebbe interessante favorire, e attivare, in maniera più decisa investimenti nel comparto dell’archeologia industriale. Sparsi nei territori troviamo fornaci, segherie, miniere, antichi mulini, centrali idroelettriche, filande e tantissimi altri siti di grande interesse, da recuperare in maniera sostenibile.

Sarebbe opportuno prevedere un maggiore interessamento agli ecomusei, di cui la regione Veneto ne individua i requisiti nel disciplinare approvato con DGR n. 1506 del 15.10.2019. “Gli ecomusei sono una forma innovativa di valorizzazione del territorio, che ne identifica e salvaguarda la fisionomia paesaggistica e culturale” (fonte sito Regione Veneto). Gli ecomusei attualmente in Veneto sono tre:Ecomuseo Arcole dalle origini alla battaglia napoleonica – Comune di Arcole (VR), Ecomuseo Valle del Bios – Fondazione Papa Luciani onlus di Canale d’Agordo (BL) e Aquae – Ecomuseo della Venezia Orientale – Comune di San Donà di Piave (VE).  Gli ecomusei sono luoghi di memoria collettiva che viene ritrovata attraverso la ricerca interna ai luoghi. Nell’ecomuseo anche gli alberi, le piante e gli animali vengono salvaguardati e inglobati in un processo di valorizzazione culturale. Pensiamo, per esempio, a una antica filanda e ai filari dei gelsi sparsi lungo le vie, quell’antico paesaggio rurale che meriterebbe di essere riscoperto e garantito, in tutta la sua armonia.

Il Veneto ha un grande territorio da proteggere. Un paesaggio di storie e memorie meravigliose che meriterebbero di essere rivalutate e, ancor più, custodite.

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Il territorio non è una mappa

Il territorio non è una mappa e la mappa non è il territorio di Roberto Ervas è il secondo articolo del nuovo Quaderno Q16 “Paesaggi umani, paesaggi urbani” da luglio scaricabile qui

Il corpo territoriale può essere paragonato al corpo biologico.

Nel corpo territoriale troviamo la compresenza di aree agricole e/o aperte, infrastrutture residenziali e produttive, infrastrutture di servizi energetici, idrici, dati, ecc., infrastrutture viabilistiche e/o trasportistiche, come quelle carraie, ferroviarie, aeree, marittime, ciclabili e pedonali.

Oltre a ciò, esistono e agiscono nel territorio le “reti” cognitive, relazionali, biologiche, sociali, antropologiche, culturali, ecc.

Tutto ciò dimostra che le dinamiche territoriali sono fenomeni pluridimensionali, integrati e complessi.

Semplificando, si può dire che le categorie di ragionamento territoriale sono fondamentalmente cinque e fanno riferimento ai contesti complessi del biospazio, del sociospazio, del tecnospazio, dell’ethospazio -spazio dell’etica e/o del sacro- e del noospazio -lo spazio dell’apprendimento culturale in grado di interpretare i segni territoriali-.

Dalla prima derivano tutte le altre. Si potrebbe dire che il biospazio è lo scenario planetario su cui si sovrappongono tutte le altre “nature” di spazio. Questi spazi non fanno riferimento alla semplice dimensione geometrica. Essi sono fenomeni con dense connotazioni culturali, cognitive, economiche, biodinamiche, autopoietiche, resilienti, antropiche, entropiche e sociali.

Appare in ogni caso evidente che, come il corpo biologico non può essere composto dai soli muscoli e/o dal solo sistema venoso, anche il corpo territoriale non può sostenersi se su di esso prevalgono funzioni e pressioni antropiche a forte discapito del biospazio.

Il territorio non è una mappa

Come nel corpo biologico il prevalere di strutture e/o organi porta alla sua morte e/o disfunzione, così avviene anche per il corpo territoriale, che non può reggersi sulla sola dimensione antropica-entropica.

Esiste ormai una quantità di letteratura e di studi, nonché di modelli urbani, che incontrovertibilmente hanno posto al centro della loro riflessione, per la risoluzione dei problemi, la questione del limite.

Le realtà urbane più vivibili – e guarda caso più ricche – sono quelle che hanno accettato tale sfida e fanno, del “darsi un limite”, l’occasione per il loro rilancio e successo.

Senza addentrarci su questioni fondamentali, che rischiano purtroppo di non interessare, come i concetti di impronta ecologica, di entropia e di bioeconomia, è bene ribadire che, in tutti i sistemi complessi, dove interagiscono diverse azioni e tipologie di flusso non governate da una regia, si innescano fenomeni di inefficienza sistemica e di scompenso. Il mondo degli insetti ci insegna come, nei loro “sistemi organizzativi”, tali fenomeni siano sconosciuti.

Qui si aprirebbe un capitolo molto stimolante, ma per ora, ci accontentiamo di ricordare che, tali sistemi “miniaturizzati” si organizzano ed agiscono comportandosi come una grande intelligenza olistica fortemente integrata al contesto di cui fa parte.

Gli uomini no. Agiamo e ci comportiamo, rispetto alla “modalità” degli insetti, in modo irrazionale e diseconomico. Il mondo degli insetti persegue obiettivi collettivi, noi no. Il mondo degli insetti interagisce velocemente ed efficacemente, noi no. Il mondo degli insetti è fortemente interconnesso e funzionalista, mentre il nostro è disarticolato, conflittuale e irrazionale.

Il territorio non è una mappa

Viabilità carraia

Un esempio eclatante di tale irrazionalità è la viabilità carraia urbana in contesti densi e plurifunzionali, la quale presenta sistematici punti di conflitto, rallentamento, densificazione, inefficienza, ecc.

Tralasciando le condizioni a noi lontane dei contesti territoriali estesi, come le aree metropolitane americane e asiatiche e focalizzando l’attenzione sulle realtà urbane più felici di matrice nord europea , si scopre che le città che hanno risolto meglio il problema del traffico privato sono quelle che hanno smesso di “assecondarlo”, promuovendo il trasporto pubblico e la viabilità ciclopedonale e supportando quello commerciale attraverso specifici percorsi, tecnologie dedicate e organizzazioni logistiche innovative.

Molti di questi contesti vengono chiamati “aree metropolitane” ma, a ben guardare, essi si presentano ancora con un buon tasso di biodiversità, ampie aree verdi, percorsi protetti e dedicati per la viabilità dolce, eccellente trasposto pubblico, organizzazione urbanistica e territoriale di primordine, ottima agricoltura di prossimità, forestazione urbana e un capitale sociale di elevata consapevolezza e cultura. La qualità della vita in tali contesti è la migliore del mondo (*) –fonti ONU-OCSE-.

Riducendo il traffico viario pesante e attivando politiche rigenerative biosociali questi contesti socio territoriali hanno ottenuto:

1- Riduzione significative delle morti dirette e indirette -si rammenta che in Italia sono circa 70 mila l’anno e circa 500 mila in Europa-, per il solo inquinamento dell’aria-;

2- Miglioramento dell’attività cardiocircolatoria e delle difese immunitarie grazie soprattutto alle piste ciclabili dedicate -riduzione della spesa sanitaria annua calcolabile tra il 20% e 25 %!

3- Riduzione dei tempi di spostamento tenuto conto che un’automobile in zona congestionata percorre circa 8-10 km ogni ora;

4- Aumento della resa lavorativa grazie alla maggiore attività fisica e al tempo che si libera durante il trasposto pubblico -connessioni wireless, accessi facilitati, possibilità di concentrarsi, ecc.-;

5- Miglioramento della salute psicologica e riduzione dello stress;

6- Riduzione dei morti per incidenti;

7- Risparmio economico grazie all’utilizzo dei mezzi pubblici rispetto al trasporto privato carraio -è sempre considerevole la percentuale di persone che scelgono il primo quando l’offerta è di qualità-;

8- Riduzione degli aborti spontanei e dei feti deformi;

9- Aumento delle attività economiche legate al turismo e alle attività ricreative;

10- Innovazione nel campo della domotica, telerilevamento, mobilità elettrica, software, ecc.;

11- Riduzione del teppismo e/o microdelinquenza;

12- Aumento e/o massimizzazione dei valori immobiliari;

13- Aumento delle aree dedicate a parco, alle infrastrutture vegetazionali e all’agricoltura di prossimità;

14- Possibilità di pianificare, riconvertire e gestire le trasformazioni future grazie al minor tasso di infrastrutturazione carraia, ovvero maggiore resilienza. Possibilità di sviluppo plurifunzionale;

15- Maggiore autonomia energetica grazie al teleriscaldamento da biomassa ricavabile da ambiti di agricoltura e/o forestazione di prossimità;

16- Significativo aumento della vita media;

17- Maggiore biodiversità, riduzione dei contaminanti sui terreni agricoli, maggiore protezione delle falde acquifere e dei corsi d’acqua nonché migliore qualità dell’aria;  

18 -Riduzione dei costi di manutenzione delle reti infrastrutturali;

Il territorio non è una mappa

I contesti che invece hanno perseguito la politica dell’aumento delle infrastrutture viarie pesanti per sorreggere simultaneamente il trasporto commerciale, personale e pubblico -ovvero l’infrastruttura plurifunzionale carraia- hanno ottenuto:

1- Nessuna gerarchizzazione funzionale e nessuna distinzione tra strade di percorrenza e strade di destinazione. Rafforzamento dell’inefficienza sistemica e della disorganizzazione. Incremento del disordine urbano;

2- Peggioramento del capitale sociale e delle “competenze profonde”;

3- Impossibilità a future riconversioni socioeconomiche e agroalimentari, compromissione dei processi di resilienza. Rafforzamento della territorialità monodimensionale;

4- Riduzione degli investimenti nel campo dell’innovazione tecnologica come la domotica, il trasporto elettrico, le reti integrate, il telerilevamento, i software gestionali, il teleriscaldamento, ecc.;

5- Nessun miglioramento nei livelli di congestione del traffico;

6- Peggioramento dei tempi di percorrenza e aumento della conflittualità viaria

7- Aumento delle morti e delle patologie da inquinamento da traffico;

8- Aumento degli incidenti violenti;

9- Incremento dei contaminanti su suolo, acqua e aria;

10- Aumento della spesa sanitaria e riduzione della vita media;

11- Aumento delle “isole di calore” e della temperatura media estiva;

12- Aumento della microdelinquenza;

13- Aumento degli aborti spontanei, delle malformazioni fetali e del ritardo mentale nei bambini;

14- Maggiore rischio idrogeologico;

15- Compromissione dei valori immobiliari;

16- Minore attrattività turistico-ricreativa;

17- Maggiore difficoltà nell’approvvigionamento agroalimentare. Riduzione dell’agricoltura di prossimità e della bioagricoltura;

18- Aumento dei costi di gestione e/o manutenzione delle reti infrastrutturali.

Un principio su cui è bene sempre riflettere, quando si tratta di valutare i “costi/benefici” delle infrastrutture pesanti, è il principio di non reversibilità. Ovvero che tali interventi permangono nel tempo e compromettono definitivamente il territorio.

Diversamente, le modalità innovative nel campo della riorganizzazione tecnica e funzionale dei flussi, l’ottimizzazione delle reti e la loro integrazione, l’adozione di modelli trasportistici innovativi – tipici del nord Europa -, l’implementazione della viabilità dolce e l’accrescimento della maturità sociale e delle consapevolezze sui temi dell’innovazione urbana e della tutela ambientale, sono decisamente molto più sostenibili ecologicamente, economicamente e socialmente.

Intervenire pertanto sulla territorialità con questo approccio vuol dire accettare la sfida del miglioramento socioeconomico ed ecologico della propria comunità.

Per le nostre comunità questa è una sfida difficile, perché prevede di attivare competenze e predisposizioni non comuni, le uniche in grado di aiutarci ad abbandonare il nostro immaginario monodimensionale, ormai definitivamente colonizzato, dalla primitiva cultura “dell’urbanistica del retino”.

Le conoscenze e gli strumenti che abbiamo messo in atto sino a ora sono stati totalmente inadeguati per rispondere alle sfide che la società ci richiede. Stiamo già pagando, in modo salato, l’assenza di innovazione nel campo della pianificazione e gestione territoriale degli ultimi 60 anni.

E’ evidente che, non essendoci stata un’adeguata programmazione nel lungo periodo, una sufficiente preveggenza biosociale e socioeconomica, nonché un’appropriata sensibilità ambientale, l’attuale condizione di buona parte del territorio nazionale non può che dirsi drammatica.

In particolar modo, le nostre realtà territoriali venete, che ereditano una condizione profondamente compromessa, dovranno attivare politiche di lungo respiro, almeno ventennale, come insegnano le felici programmazioni delle città nord europee, per poter definire al meglio una strategia coerente e un’idea di territorio e di comunità all’altezza delle sfide che le attendono.

I modelli non mancano, le competenze e le visioni culturali innovative nemmeno. Serve in primis un atto di volontà e un “obiettivo di senso”. Abbiamo bisogno di significati e non di tecnicismo spiccio. Vanno attuati modelli e processi organizzativi e progettuali totalmente diversi dai tradizionali approcci cartografico-ingegneristici. Tale sfida non può che prescindere da un coinvolgimento attivo della collettività e dei suoi “soggetti intermedi”.

Si dovranno ridefinire i ruoli all’interno delle amministrazioni comunali, creando processi e piani di lavoro ampi e inclusivi, dove le cosiddette “competenze informali” possano esprimere tutta la loro creatività. Si dovranno coinvolgere professionisti in grado di strutturare approcci multidisciplinari, in grado di superare la logica pianificatoria dell’urbanistica del retino per poter attivare processi biosociali in grado di riprogettare socialmente lo spazio, secondo paradigmi di ben-essere e ben-stare.

Concludendo, auspico che i soggetti pubblici prepostisi possano mettere finalmente in campo piani di lavoro dove, oltre alle “competenze classiche” vengano coinvolti esperti nel campo della bioeconomia, della mobiletica, dell’ecologia umana, della psicologia sociale, dell’urbanistica partecipativa e della gestione integrata dei biotopi, al fine di predisporre uno scenario di azione tecnico operativo di lungo respiro, che dovrà essere perseguito con determinazione e passione.

La sfida è esaltante e il suo fallimento sta solamente nell’arretratezza cognitiva e nel modesto capitale sociale che abita molti dei nostri contesti territoriali. Le territorialità migliori appartengono sempre alle comunità più evolute dal punto di vista etico e culturale.

Le nostre comunità devono accettare “la sfida di Amburgo e/o di Curitiba” per potersi proiettare con coraggio verso i migliori modelli di efficientamento, sostenibilità e promozione socio-territoriale. Il traguardo non potrà che essere quello di una territorialità del ben-essere e del ben-stare, sostenibile ecologicamente, socialmente ed economicamente, proiettata verso economie durevoli in grado di sostenersi nei moltissimi anni a venire.

Questo articolo, ora rivisitato, è stato e reso pubblico dall’autore per la prima volta nel 2015, in occasione di eventi culturali atti a sensibilizzare la comunità trevigiana sulle problematiche pianificatorie del comune di Treviso.

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Sisma, paesaggio umano e urbano

Sisma, paesaggio umano e urbano è il primo articolo del nuovo Quaderno Q16 “Paesaggi umani, paesaggi urbani” da luglio scaricabile qui

Il 30 ottobre 2016 alle ore 7:40 una scossa di terremoto di magnitudo 6.5 colpì Norcia e le aree limitrofe. Una scossa ben più forte di quella che solo pochi giorni prima (il 24 agosto) aveva colpito lo stesso territorio distruggendo Amatrice. Il Centro Italia nelle ore del 24 agosto vide rase al suolo intere aree abitate e subì notevoli perdite sia in termini di vite umane che di palazzi e luoghi pregni d’arte.

I soccorsi sono partiti subito come anche le promesse di ricostruzione e riorganizzazione del territorio. A oggi, interi paesi presentano ancora i danni del sisma e non vedono concluse le opere di ricostruzione.

Il terremoto del 2016: i danni

Il paese di Norcia ha subito gravi danni al patrimonio artistico e culturale, tra questi l’emblema è la Basilica di San Benedetto. Alcune frazioni come San Pellegrino, Campi di Norcia e Castelluccio di Norcia sono state quasi completamente distrutte.

sisma paesaggio
sisma paesaggio

La lenta ricostruzione

La macchina degli aiuti si mise in moto sin dalle prime ore, grande il dispiego di mezzi della protezione civile e militare intervenuti per portare aiuti e porre in sicurezza le aree devastate dalle scosse principali e dai successivi sciami sismici.

sisma paesaggio

Rispetto alle precedenti gestioni, si ricordi il terremoto de L’Aquila, il Governo decise di decentrare le opere di ricostruzione attuando una politica di maggiore autonomia per i comuni colpiti. Una scelta che implicava passaggi procedurali e approvazioni successive. Pochi mesi dopo i sindaci dichiararono i procedimenti eccessivamente lenti e burocratici.

A oggi sono numerose le opere rimaste incompiute, i ritardi si ripercuotono anche sull’economia del territorio causando perdita di posti di lavoro e contrazione del comparto turistico.

La popolazione ha dovuto affrontare in un primo momento il trauma dell’evento improvviso e devastante, seguito dalla delusione dinanzi ai ritardi nella realizzazione delle opere e della normale ripresa delle attività economiche e produttive.

Solo nel 2019 la Basilica di San Benedetto è stata indicata come luogo di culto “simbolo” e per questo oggetto di uno stanziamento speciale per la ristrutturazione. Nel 2021 sono stati approvati definitivamente i piani d’intervento e le opere di ristrutturazione. Nel 2024 si dovrebbero terminare i lavori per la ricostruzione (così come era) dello strutturale della stessa Basilica, lasciando in sospeso i vani attigui come il cenobio. Il Commissario alla ricostruzione Giovanni Legnini, nel 2021, ha presentato un progetto pilota che vedrà coinvolto Castelluccio di Norcia. Un progetto innovativo, replicabile in altre aree, che prevede la ricostruzione degli edifici su delle lastre che isoleranno sismicamente le nuove opere. Un progetto che punta a preservare il territorio salvaguardando le opere in esso comprese.

Come è cambiato il territorio

Gli eventi sismici del 2016 hanno prodotto numerose variazioni alla morfologia del territorio. Il terremoto ha prodotto una variazione del suolo che interessa un’area di oltre mille chilometri quadrati [1], l’area di Norcia ha subìto uno spostamento verso ovest con delle faglie di superficie che arrivano fino a 180 centimetri. Aree in cui il livello collinare o montuoso si è ridotto e in cui i corsi d’acqua hanno subìto variazioni. L’apertura e la chiusura di sorgenti naturali ha provocato un mutamento anche delle economie che ruotano attorno a queste fonti idriche.

A questi danni si somma un cambio del territorio dovuto agli effetti della ricostruzione, la superficie occupata da abitazioni è notevolmente aumentata fino a raddoppiare in diverse aree. Questo a scapito delle aree verdi che erano prima orgoglio della zona e che circondavano l’area cittadina di Norcia. Un danno ambientale che ha ripercussioni sugli ecosistemi oltre che sul clima. Si pensi a come sono cambiate le sorgenti e l’utilizzo del verde. O a come sono aumentati gli spostamenti, quando prima del sisma ci si muoveva di più a piedi perché era tutto più vicino. E’ aumentato l’uso di condizionatori d’estate e del riscaldamento d’inverno, e abbiamo avuto la rappresentazione concreta di come è cambiato il clima dell’area: per un anno non c’è stato un filo di nebbia.

Quali azioni a tutela del territorio

L’Italia si estende su un’area ad alto rischio sismico, i terremoti non possono essere previsti ma potremmo fare molto per ridurre gli eventuali danni.

L’utilizzo delle moderne tecnologie consente non solo la progettazione di edifici più sicuri ma anche l’utilizzo di materiali più adeguati, in grado di resistere e assorbire l’onda d’urto senza arrivare alla distruzione.

Ciò non è del tutto sufficiente poiché il territorio deve essere anche tutelato attraverso opere di ordinaria manutenzione, come a esempio la pulizia dei letti di fiumi e torrenti al fine di ridurre il rischio di inondazioni. La mancanza del letto del torrente Torbidone, a Norcia, ha dato luogo, dopo il sisma, a un laghetto che poi è stato bonificato con l’intervento del genio militare.

Il rispetto dell’importanza delle aree verdi è essenziale: non sono solo un polmone, ma grazie alle radici, le piante e gli alberi possono ridurre il rischio di frane e smottamenti delle pareti stradali. Le aree verdi, con la ricostruzione, vengono spesso abbattute per far spazio a nuovi edifici. Ciò accade sia in ambienti rurali, sia in ambiti più urbani.

Il rispetto del nostro territorio è sempre più posto alla ribalta delle cronache a causa di eventi improvvisi che trovano le loro cause nell’assenza di cura e rispetto dell’ambiente.

Mantenere le aree verdi è un ausilio importante per la tutela del clima. L’incremento di fenomeni atmosferici incontrollati che causano notevoli danni sta diventando una delle principali emergenze che ci troviamo ad affrontare.

In questo senso, speriamo vivamente, che le prossime amministrazioni porranno delle attenzioni maggiori rispetto a quanto avvenuto finora. Occorrerà valutare la piantumazione di un maggior quantitativo di alberi per rendere le nostre città sia SMART, come promuovono i bandi attuali, sia SOSTENIBILI e ADATTE alla vita quotidiana, aspetto che dovrebbe rappresentare l’obiettivo di ogni buon “padre di famiglia”. Nel rispetto dell’ambiente e del territorio, nella riduzione del rischio di eventi imprevisti e per la salvaguardia della salute.

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[1] Si veda https://www.agi.it/cronaca/terremoto_suolo_deformato_per_oltre_1_000_km_quadrati-1213251/news/2016-11-02/

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