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Il territorio non è una mappa

Il territorio non è una mappa e la mappa non è il territorio di Roberto Ervas è il secondo articolo del nuovo Quaderno Q16 “Paesaggi umani, paesaggi urbani” da luglio scaricabile qui

Il corpo territoriale può essere paragonato al corpo biologico.

Nel corpo territoriale troviamo la compresenza di aree agricole e/o aperte, infrastrutture residenziali e produttive, infrastrutture di servizi energetici, idrici, dati, ecc., infrastrutture viabilistiche e/o trasportistiche, come quelle carraie, ferroviarie, aeree, marittime, ciclabili e pedonali.

Oltre a ciò, esistono e agiscono nel territorio le “reti” cognitive, relazionali, biologiche, sociali, antropologiche, culturali, ecc.

Tutto ciò dimostra che le dinamiche territoriali sono fenomeni pluridimensionali, integrati e complessi.

Semplificando, si può dire che le categorie di ragionamento territoriale sono fondamentalmente cinque e fanno riferimento ai contesti complessi del biospazio, del sociospazio, del tecnospazio, dell’ethospazio -spazio dell’etica e/o del sacro- e del noospazio -lo spazio dell’apprendimento culturale in grado di interpretare i segni territoriali-.

Dalla prima derivano tutte le altre. Si potrebbe dire che il biospazio è lo scenario planetario su cui si sovrappongono tutte le altre “nature” di spazio. Questi spazi non fanno riferimento alla semplice dimensione geometrica. Essi sono fenomeni con dense connotazioni culturali, cognitive, economiche, biodinamiche, autopoietiche, resilienti, antropiche, entropiche e sociali.

Appare in ogni caso evidente che, come il corpo biologico non può essere composto dai soli muscoli e/o dal solo sistema venoso, anche il corpo territoriale non può sostenersi se su di esso prevalgono funzioni e pressioni antropiche a forte discapito del biospazio.

Il territorio non è una mappa

Come nel corpo biologico il prevalere di strutture e/o organi porta alla sua morte e/o disfunzione, così avviene anche per il corpo territoriale, che non può reggersi sulla sola dimensione antropica-entropica.

Esiste ormai una quantità di letteratura e di studi, nonché di modelli urbani, che incontrovertibilmente hanno posto al centro della loro riflessione, per la risoluzione dei problemi, la questione del limite.

Le realtà urbane più vivibili – e guarda caso più ricche – sono quelle che hanno accettato tale sfida e fanno, del “darsi un limite”, l’occasione per il loro rilancio e successo.

Senza addentrarci su questioni fondamentali, che rischiano purtroppo di non interessare, come i concetti di impronta ecologica, di entropia e di bioeconomia, è bene ribadire che, in tutti i sistemi complessi, dove interagiscono diverse azioni e tipologie di flusso non governate da una regia, si innescano fenomeni di inefficienza sistemica e di scompenso. Il mondo degli insetti ci insegna come, nei loro “sistemi organizzativi”, tali fenomeni siano sconosciuti.

Qui si aprirebbe un capitolo molto stimolante, ma per ora, ci accontentiamo di ricordare che, tali sistemi “miniaturizzati” si organizzano ed agiscono comportandosi come una grande intelligenza olistica fortemente integrata al contesto di cui fa parte.

Gli uomini no. Agiamo e ci comportiamo, rispetto alla “modalità” degli insetti, in modo irrazionale e diseconomico. Il mondo degli insetti persegue obiettivi collettivi, noi no. Il mondo degli insetti interagisce velocemente ed efficacemente, noi no. Il mondo degli insetti è fortemente interconnesso e funzionalista, mentre il nostro è disarticolato, conflittuale e irrazionale.

Il territorio non è una mappa

Viabilità carraia

Un esempio eclatante di tale irrazionalità è la viabilità carraia urbana in contesti densi e plurifunzionali, la quale presenta sistematici punti di conflitto, rallentamento, densificazione, inefficienza, ecc.

Tralasciando le condizioni a noi lontane dei contesti territoriali estesi, come le aree metropolitane americane e asiatiche e focalizzando l’attenzione sulle realtà urbane più felici di matrice nord europea , si scopre che le città che hanno risolto meglio il problema del traffico privato sono quelle che hanno smesso di “assecondarlo”, promuovendo il trasporto pubblico e la viabilità ciclopedonale e supportando quello commerciale attraverso specifici percorsi, tecnologie dedicate e organizzazioni logistiche innovative.

Molti di questi contesti vengono chiamati “aree metropolitane” ma, a ben guardare, essi si presentano ancora con un buon tasso di biodiversità, ampie aree verdi, percorsi protetti e dedicati per la viabilità dolce, eccellente trasposto pubblico, organizzazione urbanistica e territoriale di primordine, ottima agricoltura di prossimità, forestazione urbana e un capitale sociale di elevata consapevolezza e cultura. La qualità della vita in tali contesti è la migliore del mondo (*) –fonti ONU-OCSE-.

Riducendo il traffico viario pesante e attivando politiche rigenerative biosociali questi contesti socio territoriali hanno ottenuto:

1- Riduzione significative delle morti dirette e indirette -si rammenta che in Italia sono circa 70 mila l’anno e circa 500 mila in Europa-, per il solo inquinamento dell’aria-;

2- Miglioramento dell’attività cardiocircolatoria e delle difese immunitarie grazie soprattutto alle piste ciclabili dedicate -riduzione della spesa sanitaria annua calcolabile tra il 20% e 25 %!

3- Riduzione dei tempi di spostamento tenuto conto che un’automobile in zona congestionata percorre circa 8-10 km ogni ora;

4- Aumento della resa lavorativa grazie alla maggiore attività fisica e al tempo che si libera durante il trasposto pubblico -connessioni wireless, accessi facilitati, possibilità di concentrarsi, ecc.-;

5- Miglioramento della salute psicologica e riduzione dello stress;

6- Riduzione dei morti per incidenti;

7- Risparmio economico grazie all’utilizzo dei mezzi pubblici rispetto al trasporto privato carraio -è sempre considerevole la percentuale di persone che scelgono il primo quando l’offerta è di qualità-;

8- Riduzione degli aborti spontanei e dei feti deformi;

9- Aumento delle attività economiche legate al turismo e alle attività ricreative;

10- Innovazione nel campo della domotica, telerilevamento, mobilità elettrica, software, ecc.;

11- Riduzione del teppismo e/o microdelinquenza;

12- Aumento e/o massimizzazione dei valori immobiliari;

13- Aumento delle aree dedicate a parco, alle infrastrutture vegetazionali e all’agricoltura di prossimità;

14- Possibilità di pianificare, riconvertire e gestire le trasformazioni future grazie al minor tasso di infrastrutturazione carraia, ovvero maggiore resilienza. Possibilità di sviluppo plurifunzionale;

15- Maggiore autonomia energetica grazie al teleriscaldamento da biomassa ricavabile da ambiti di agricoltura e/o forestazione di prossimità;

16- Significativo aumento della vita media;

17- Maggiore biodiversità, riduzione dei contaminanti sui terreni agricoli, maggiore protezione delle falde acquifere e dei corsi d’acqua nonché migliore qualità dell’aria;  

18 -Riduzione dei costi di manutenzione delle reti infrastrutturali;

Il territorio non è una mappa

I contesti che invece hanno perseguito la politica dell’aumento delle infrastrutture viarie pesanti per sorreggere simultaneamente il trasporto commerciale, personale e pubblico -ovvero l’infrastruttura plurifunzionale carraia- hanno ottenuto:

1- Nessuna gerarchizzazione funzionale e nessuna distinzione tra strade di percorrenza e strade di destinazione. Rafforzamento dell’inefficienza sistemica e della disorganizzazione. Incremento del disordine urbano;

2- Peggioramento del capitale sociale e delle “competenze profonde”;

3- Impossibilità a future riconversioni socioeconomiche e agroalimentari, compromissione dei processi di resilienza. Rafforzamento della territorialità monodimensionale;

4- Riduzione degli investimenti nel campo dell’innovazione tecnologica come la domotica, il trasporto elettrico, le reti integrate, il telerilevamento, i software gestionali, il teleriscaldamento, ecc.;

5- Nessun miglioramento nei livelli di congestione del traffico;

6- Peggioramento dei tempi di percorrenza e aumento della conflittualità viaria

7- Aumento delle morti e delle patologie da inquinamento da traffico;

8- Aumento degli incidenti violenti;

9- Incremento dei contaminanti su suolo, acqua e aria;

10- Aumento della spesa sanitaria e riduzione della vita media;

11- Aumento delle “isole di calore” e della temperatura media estiva;

12- Aumento della microdelinquenza;

13- Aumento degli aborti spontanei, delle malformazioni fetali e del ritardo mentale nei bambini;

14- Maggiore rischio idrogeologico;

15- Compromissione dei valori immobiliari;

16- Minore attrattività turistico-ricreativa;

17- Maggiore difficoltà nell’approvvigionamento agroalimentare. Riduzione dell’agricoltura di prossimità e della bioagricoltura;

18- Aumento dei costi di gestione e/o manutenzione delle reti infrastrutturali.

Un principio su cui è bene sempre riflettere, quando si tratta di valutare i “costi/benefici” delle infrastrutture pesanti, è il principio di non reversibilità. Ovvero che tali interventi permangono nel tempo e compromettono definitivamente il territorio.

Diversamente, le modalità innovative nel campo della riorganizzazione tecnica e funzionale dei flussi, l’ottimizzazione delle reti e la loro integrazione, l’adozione di modelli trasportistici innovativi – tipici del nord Europa -, l’implementazione della viabilità dolce e l’accrescimento della maturità sociale e delle consapevolezze sui temi dell’innovazione urbana e della tutela ambientale, sono decisamente molto più sostenibili ecologicamente, economicamente e socialmente.

Intervenire pertanto sulla territorialità con questo approccio vuol dire accettare la sfida del miglioramento socioeconomico ed ecologico della propria comunità.

Per le nostre comunità questa è una sfida difficile, perché prevede di attivare competenze e predisposizioni non comuni, le uniche in grado di aiutarci ad abbandonare il nostro immaginario monodimensionale, ormai definitivamente colonizzato, dalla primitiva cultura “dell’urbanistica del retino”.

Le conoscenze e gli strumenti che abbiamo messo in atto sino a ora sono stati totalmente inadeguati per rispondere alle sfide che la società ci richiede. Stiamo già pagando, in modo salato, l’assenza di innovazione nel campo della pianificazione e gestione territoriale degli ultimi 60 anni.

E’ evidente che, non essendoci stata un’adeguata programmazione nel lungo periodo, una sufficiente preveggenza biosociale e socioeconomica, nonché un’appropriata sensibilità ambientale, l’attuale condizione di buona parte del territorio nazionale non può che dirsi drammatica.

In particolar modo, le nostre realtà territoriali venete, che ereditano una condizione profondamente compromessa, dovranno attivare politiche di lungo respiro, almeno ventennale, come insegnano le felici programmazioni delle città nord europee, per poter definire al meglio una strategia coerente e un’idea di territorio e di comunità all’altezza delle sfide che le attendono.

I modelli non mancano, le competenze e le visioni culturali innovative nemmeno. Serve in primis un atto di volontà e un “obiettivo di senso”. Abbiamo bisogno di significati e non di tecnicismo spiccio. Vanno attuati modelli e processi organizzativi e progettuali totalmente diversi dai tradizionali approcci cartografico-ingegneristici. Tale sfida non può che prescindere da un coinvolgimento attivo della collettività e dei suoi “soggetti intermedi”.

Si dovranno ridefinire i ruoli all’interno delle amministrazioni comunali, creando processi e piani di lavoro ampi e inclusivi, dove le cosiddette “competenze informali” possano esprimere tutta la loro creatività. Si dovranno coinvolgere professionisti in grado di strutturare approcci multidisciplinari, in grado di superare la logica pianificatoria dell’urbanistica del retino per poter attivare processi biosociali in grado di riprogettare socialmente lo spazio, secondo paradigmi di ben-essere e ben-stare.

Concludendo, auspico che i soggetti pubblici prepostisi possano mettere finalmente in campo piani di lavoro dove, oltre alle “competenze classiche” vengano coinvolti esperti nel campo della bioeconomia, della mobiletica, dell’ecologia umana, della psicologia sociale, dell’urbanistica partecipativa e della gestione integrata dei biotopi, al fine di predisporre uno scenario di azione tecnico operativo di lungo respiro, che dovrà essere perseguito con determinazione e passione.

La sfida è esaltante e il suo fallimento sta solamente nell’arretratezza cognitiva e nel modesto capitale sociale che abita molti dei nostri contesti territoriali. Le territorialità migliori appartengono sempre alle comunità più evolute dal punto di vista etico e culturale.

Le nostre comunità devono accettare “la sfida di Amburgo e/o di Curitiba” per potersi proiettare con coraggio verso i migliori modelli di efficientamento, sostenibilità e promozione socio-territoriale. Il traguardo non potrà che essere quello di una territorialità del ben-essere e del ben-stare, sostenibile ecologicamente, socialmente ed economicamente, proiettata verso economie durevoli in grado di sostenersi nei moltissimi anni a venire.

Questo articolo, ora rivisitato, è stato e reso pubblico dall’autore per la prima volta nel 2015, in occasione di eventi culturali atti a sensibilizzare la comunità trevigiana sulle problematiche pianificatorie del comune di Treviso.

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Revenge Tourism o…forget tourism ?

Revenge tourism o… forget tourism? La ripartenza del settore nel dopo Pandemia

Revenge tourism

Revenge Tourism o…forget tourism ? La ripartenza del settore nel dopo Pandemia di Fabio Casilli è il secondo articolo del Quaderno 15 “Turismo tra rivincita e rigenerazione” in uscita a maggio e che potrete trovare qui

Lo scenario

Il settore del turismo negli ultimi anni, ossia da fine 2019 a oggi, ha subito un vero e proprio tsunami che ha modificato in maniera profonda il modo di “fare” turismo, sia da parte di chi ne usufruisce in quanto turista/viaggiatore, le cui esigenze sono radicalmente cambiate, che da parte di chi ne ha fatto il suo mestiere.

In effetti, la sicurezza sanitaria “prima” non appariva nemmeno tra i primi venti criteri di scelta.

Al di là degli effetti devastanti della pandemia, della gravità del Covid come malattia, al suo propagarsi nel mondo a una velocità e con una facilità inimmaginabili fino ad allora, importanti e non meno gravi sono stati gli effetti terribili da un punto di vista psicologico.

Dopo mesi, anni in cui siamo stati privati di ogni minima libertà personale, dove nell’interesse del gruppo, ogni singola persona era controllata inquadrata e limitata in ogni sua minima attività, un senso di oppressione, di insofferenza ai luoghi chiusi, soprattutto se affollati, si è sviluppata e generalizzata un po’ dovunque.
Anche il perimetro delle nostre – rarissime – uscite era limitato, e una sensazione di disagio, di paura e di sospetto erano molto diffuse.

In questo contesto talmente catastrofico, come nemmeno nei nostri peggiori incubi avremmo mai potuto immaginare, il turismo è stato totalmente annientato, bloccato.
È stato stimato che il 90% degli aerei nel mondo fosse rimasto a terra. Migliaia di alberghi e strutture ricettive chiuse, agenzie di viaggi, tour operator e operatori turistici di ogni tipo ridotti a una inattività totale e sull’orlo del fallimento.

Nessuno svago, solo oppressioni e paure, fobie.

Sono stati due anni in cui anche nei mesi immediatamente successivi alla fine delle restrizioni, la paura dominava le decisioni di ogni tipo, anche, e soprattutto per quanto riguardava i viaggi.

La ripartenza

Il turismo è ripartito molto lentamente, ma inesorabilmente.
La gente dopo tanto tempo rinchiusa e repressa, aveva sviluppato una volontà di muoversi, spostarsi, viaggiare, come mai prima.

Il bisogno di ritrovare una vita “normale” ha spinto all’eccesso la volontà di uscire.
A questo fenomeno di volontà quasi spasmodica di viaggiare è stato dato un nome che spiega molto bene lo stato d’animo che abbiamo avuto tutti quando abbiamo potuto riprendere a farlo: revenge tourism, turismo di “rivincita”.

Revenge tourism

Rivincita sul fatto di poter di nuovo partire liberamente, anche se non tutti i paesi hanno riaperto le frontiere subito. Rivincita in un certo senso sulla vita che riprendeva i suoi diritti dopo essere stata per troppo tempo depressa.

In teoria stiamo quindi parlando di un qualcosa che dovrebbe essere considerato come positivo per tutto il settore.

In realtà, come in tutte le cose, l’eccesso non è mai positivo.


Se quindi da un lato l’assenza totale di attività è stata terrificante e distruttrice di un’economia che in maniera generale è spesso fragilizzata da tanti fattori esterni – pandemia, ma anche attentati, catastrofi naturali, situazioni politiche delicate… – anche la ripresa non è (stata?) esente da problemi.

L’assenza di attività ha fatto sì che moltissime aziende del settore che sono riuscite a non chiudere – impresa non semplice, soprattutto in paesi in cui il turismo non è stato sostenuto, come in Italia e in Francia a esempio, da consistenti aiuti da parte dello stato – abbiano dovuto ridurre in maniera importante la loro forza lavoro.
Parte di queste persone che si sono trovate senza più avere una fonte di reddito, hanno deciso di cambiare settore.

Nel momento in cui l’attività è ripresa quindi, la rapida ripartenza dei volumi di richieste di prenotazione, ha messo in luce un altro problema di non poco conto.

Competenze ed equilibrio vita/lavoro

Molti di quelli che avevano lasciato il turismo, infatti, hanno trovato un nuovo equilibrio e una nuova sicurezza economica in altri lavori e non se la sono sentita di lasciare le nuove certezze per tornare in un settore che per molti di loro era stato il lavoro di una vita e una vera e propria passione.

Tutto ciò ha creato un vuoto di competenze. Le persone che avevano lasciato non sono tornate, chi usciva dalle scuole ha trovato lavoro ma non aveva le capacità e l’esperienza dei loro predecessori. La fragilità mostrata ancora una volta da un mondo troppo spesso indebolito e messo in difficoltà da fattori esterni non prevedibili, ha fatto sì che si creasse un disamore anche da parte dei giovani per un universo che in precedenza ne aveva fatto sognare molti.

Oltre a tutto ciò, il lungo periodo di inattività forzata, ha modificato in maniera profonda l’approccio della gente al mondo del lavoro in generale e nel turismo in particolare, dove spesso gli operatori del settore non conoscono orari e hanno giornate lavorative molto lunghe.

Oramai la precedenza è data alla qualità della vita e non al lavoro a ogni costo. I ristoranti hanno avuto e hanno ancora difficoltà a trovare personale disposto a lavorare fino a tarda sera o durante il fine settimana per stipendi considerati come inadeguati rispetto alle rinunce che impongono

Alcune strutture, alberghi, ristoranti, esercizi turistici di vario tipo, sono arrivati addirittura a dover scegliere di non riaprire per mancanza di personale.

La situazione si è poi piano, piano normalizzata, creando anche una dinamica in certi casi virtuosa. Le aziende si sono dovute riorganizzare e modernizzare per poter fare lo stesso lavoro con meno personale e molte di loro sono state piacevolmente sorprese di vedere che sono tornate ai fatturati pre-pandemia, se non in certi casi anche superiori, con meno personale.

Possiamo quindi dire che il revenge tourism è in ogni caso un successo sul medio-lungo termine.
Ha obbligato i professionisti a tenere conto dei paradigmi precedentemente troppo spesso trascurati come l’equilibrio vita/lavoro e, su impulso della clientela, anche della sostenibilità, l’impatto sull’ambiente e sulle popolazioni locali, per rispondere alle nuove esigenze e richieste da parte dei clienti che, in seguito alla pandemia, sono stati molto più sensibilizzati a queste problematiche.

Ha imposto alla gente di riflettere in maniera diversa sul modo di viaggiare e di consumare, in un primo tempo probabilmente più per paura, in seguito per una vera presa di coscienza per un numero sempre maggiore di persone.
Ecologia, rispetto, sostenibilità sono oggi parole sulla bocca di tutti.

Come sempre, la paura ha obbligato e accelerato la presa di coscienza su problemi per troppo tempo ignorati o sottovalutati.

In un certo senso, il revenge tourism è forse il turismo del nostro pianeta che ha preso la sua “rivincita” sugli innumerevoli scempi commessi dall’uomo da troppo tempo.

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Rigenerazione urbana, socialità e turismo

Rigenerazione urbana, socialità e turismo di Fabrizia Greta Silvestri è il primo articolo del Quaderno 15 “Turismo tra rivincita e rigenerazione” in uscita a maggio e che potrete trovare qui

Durante la mia visita a Parigi lo scorso dicembre in occasione della COP21, volevo assolutamente visitare la Recyclerie prima di andare a Bourget. Il loro approccio è interamente ecologico e dimostra che economia e ambiente possono camminare insieme”. (DEBORA O.RAPHAEL, Directrice Environnement della città di San Francisco)

Rigenerazione urbana

Ho sempre creduto nel riciclo come opportunità per non inquinare il nostro pianeta ma anche per dare nuova vita a qualcosa che non veniva più utilizzato. Forse perché essendo cresciuta con una nonna sarta in casa, fin da piccola ho avuto l’abitudine di indossare abiti creati da “vecchi” vestiti di clienti. Questo mi rendeva orgogliosa perché nessuno aveva abiti come i miei!

Nel 2021, durante il mio primo viaggio a Parigi post Pandemia, un amico mi ha fatto conoscere un luogo che è diventato il mio rifugio ogni volta che ci torno. La Recyclerie: non poteva avere nome più adatto al periodo post COVID che stavamo attraversando.

Azienda agricola e rigenerazione urbana

La Recyclerie è una piccola azienda agricola impiantata lungo la vecchia cinta ferroviaria di Parigi nel 18° Arrondissement. Nasce con lo scopo di sensibilizzare ai valori eco-responsabili in maniera costruttiva e ludica.

Rigenerazione urbana

La Recyclerie è innanzitutto un luogo di incontro, dove si mangia, si studia, si lavora in modo responsabile. I suoi valori sono racchiusi nelle tre ERRE : REduire (Ridurre) REutiliser (riutilizzare) REcycler (Riciclare).

Mi ha talmente affascinato quello che accade all’interno di questa piccola azienda agricola urbana che ho chiesto di poter parlare con un loro responsabile per farmi raccontare da vicino la loro realtà.

Dal punto di vista agro-alimentare la Recyclerie si compone di diversi spazi complementari e interdipendenti: 3 casette per uccelli (è membro della Lega di protezione degli uccelli da agosto 2016) – 1 casa per insetti e aracnidi per facilitare la loro sopravvivenza invernale – 2 anatre corridori indiani che mangiano le lumache dell’orto – 2 porcellini d’India che fanno fuggire i parassiti – 1 tetto verde con 4 alveari per contrastare il declino delle api – 1 pollaio con 17 galline di 6 razze diverse che mangiano avanzi del loro ristorante – 1 lombricompostiera , di cui  vi racconterò poco più avanti.

È proprio grazie all’utilizzo degli scarti alimentari della loro cucina come concime per nutrire i loro terreni, che riescono ad avere raccolti sempre più produttivi ed ecologici, poiché tutto nasce, si esaurisce e si rigenera dalla terra.

Coinvolgimento dei clienti    

I “clienti” in prima linea vengono coinvolti in questo sistema di riciclo: al momento di alzarsi da tavola, dovranno separare gli scarti alimentari in un contenitore apposito che sarà utilizzato il giorno dopo per alimentare le galline.

La loro filosofia attira persone che sono alla ricerca di un sistema di vita più consapevole e sostenibile: chi è interessato viene munito di un apposito contenitore dove raccogliere i propri rifiuti che potrà riportare una volta riempito per poter essere utilizzato nella fertilizzazione dei terreni della Recyclerie, la lombricompostiera di cui vi accennavo poc’anzi. E in più è un’occasione per gustare l’ottimo caffè che viene offerto.

Nel 2016 si è costituita l’associazione “gli amici Riciclatori” di cui fanno parte gli abitanti del quartiere di Clignancourt, che partecipano attivamente agli atelier didattici messi in piedi dalla Recyclerie. Essa ha anche un risvolto sociale organizzando percorsi immersi nella natura per bambini autistici

La Recyclerie non si esaurisce nel campo agro-alimentare ma si espande nel riuso di oggetti e nella vita sociale.

Così “l’Atelier di René” offre la possibilità di far riparare oggetti, piuttosto che riacquistarli. O di crearne dei nuovi da materiali ormai inutilizzabili. E lo si può fare facendosi aiutare dal personale dell’atelier o da soli utilizzando gli utensili messi a disposizione.

Rigenerazione urbana

Parigini e turisti

Il Cinema all’aperto, che organizzano ogni estate, non è frequentato solo dai parigini, ma da qualunque turista che voglia vivere profondamente la città, che non voglia essere esclusivamente colui che visita la Tour Eiffel o il Louvre, scattandosi dei selfie, ma colui che vuole vivere esperienze locali. In questo modo sdraiati su delle sdraio da mare, conversando con il vicino che non si conosce, ma con il quale si fa subito amicizia, nella frescura parigina, ci si rilassa davanti ad un grande classico internazionale, rigorosamente in lingua francese!

Per certo il turismo per la Recyclerie rappresenta solo una nicchia piccolissima delle proprie attività. Se però contestualizziamo questa attività con il turismo esperienziale e con un turista più esigente (in termini soprattutto culturali) possiamo notare come questa nicchia sia in crescita. Dai dati più recenti (fonte Experience Revolution di Arival) il turismo esperienziale si sta rivelando un’occasione anche per gli operatori più piccoli.  

Questi operatori possono essere raggruppati in tre macro aree: tour (svolti da tour operator, guide o host locali) attività a destinazione (con offerta di attività culturali, culinarie, all’aperto) e attrazioni, che possono andare  dai Musei agli osservatori astronomici, non c’è che l’imbarazzo della scelta.

In tale ottica le esperienze sostenibili della Recyclerie entrano a far parte del turismo esperienziale e, credetemi, tutti gli italiani che hanno conosciuto questa realtà durante il loro viaggio a Parigi portano a casa una esperienza di viaggio e della città “vera”che ricordano con piacere e che fanno conoscere ad altri.

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L’IMPATTO DI MUSICA E CULTURA SUL TURISMO

L’impatto di Musica e Cultura sul turismo di Chiara Pegge

“Prima dello sviluppo del turismo, il viaggio era concepito come studio

e i suoi frutti erano considerati l’ornamento della mente e la formazione del giudizio.”

Paul Fussel

Il turismo come fenomeno e lo stesso termine derivano probabilmente dal lungo viaggio intrapreso a partire dal XVIII secolo dai giovani dell’aristocrazia europea, il cosiddetto “Grand Tour”. Goethe, Stendhal, Burney sono alcuni dei nomi più famosi che lasciarono rilevanti testimonianze sul Bel Paese.

Il Grand Tour era un viaggio culturale durante il quale venivano approfondite le conoscenze di chi lo effettuava. I libri stampati successivamente si trasformavano quindi in una sorta di guide turistiche ancora attuali. Oggi, soprattutto negli ultimi tre anni, le modalità di fruizione di molte manifestazioni sono notevolmente cambiate con l’avvento della tecnologia . Ma l’esperienza diretta non può in nessun modo sostituirsi a quella di uno schermo. La cultura in generale e in particolare il turismo musicale generano impatti positivi sui territori che ospitano questo tipo di eventi. Un esempio significativo sono i Festival musicali: uno dei più conosciuti è quello di Salisburgo; il land austriaco genera quasi l’8% del valore aggiunto totale austriaco. A Bayreuth in Germania il Festival dedicato a Wagner, a cavallo di luglio e agosto, mette a disposizione sessantamila posti che vengono prenotati fino a sette anni prima. Il fenomeno del turismo legato alla musica e alla cultura, quindi, non è una novità e negli ultimi dieci anni sono stati scritti libri, tesi di laurea, atti di convegni in quantità industriale.

Musica cultura turismo

Eppure, l’argomento è ancora attuale e le prospettive di sviluppo di questo genere di turismo esperienziale sono notevoli. In tempi in cui si parla quotidianamente di sostenibilità e protezione dell’ambiente la domanda che dovremmo porci è quanto conta il valore dell’offerta rispetto al volume del turismo. In genere il turista culturale e soprattutto musicale ha un approccio del viaggio sicuramente più sostenibile. Il turista culturale pernotta almeno una notte e si dedica alla scoperta del territorio, apprezzando il paesaggio che lo circonda, visitando musei e monumenti nei dintorni. L’Italia è un concentrato di bellezza e i cosiddetti borghi minori possono puntare allo sviluppo del turismo sostenibile attraverso i prodotti culturali sviluppando politiche di audience development. Come vi chiederete, visto i costi da sostenere?

Musica cultura turismo

I piccoli comuni non hanno budget che possano permettere investimenti culturali. La precedenza viene giustamente data al settore sociale e, in questi ultimi tempi, a far quadrare i bilanci. Ecco allora l’importanza di fare rete, di lavorare in sinergia: istituzioni e associazioni per poter accedere a fondi europei; questi ultimi spesso spaventano per la difficoltà di gestire la rendicontazione finale scarseggiando il personale; si può osservare peraltro che ultimamente la commissione europea ha iniziato a semplificare alcune procedure e a implementare l’assistenza alla presentazione dei progetti attraverso i segretariati congiunti. Un altro tema da non sottovalutare e la qualità dell’offerta, soprattutto in campo musicale. Prima sono stati citati come esempio alcuni festival che si svolgono in ambito europeo. È chiaro che per motivi di budget un piccolo comune non può affrontare una tale organizzazione, sarebbe impensabile, ma si può offrire qualità senza impegnare capitali. Dare spazio ai giovani talenti, quelli veri, sarebbe già un passo in avanti. In Italia, se escludiamo manifestazioni super collaudate come i Festival dedicati a Rossini, Puccini, il Ravenna Festival del maestro Muti, il Festival dello Sferisterio di Macerata, Umbria Jazz, si tengono spesso rassegne musicali che non sono all’altezza dell’offerta musicale delle nazioni contermini. Il turista musicale che trova un’offerta di qualità va a Salisburgo ma potenzialmente potrebbe scegliere anche una manifestazione minore se l’offerta è di alta qualità e in un contesto architettonico e paesaggistico di valore che in Italia è praticamente ovunque.

Lo sviluppo del pubblico è un processo strategico, dinamico e interattivo per rendere le arti ampiamente accessibili. Ha l’obiettivo di coinvolgere individui e comunità nell’esperienza, nella fruizione, nella partecipazione e nella valorizzazione delle arti attraverso vari mezzi oggi disponibili per gli operatori culturali, dagli strumenti digitali al volontariato, dalla co-creazione alle partnership. Lo sviluppo del pubblico può essere inteso in vari modi, a seconda dei suoi obiettivi e gruppi target: aumentare il pubblico, attrarre un pubblico con lo stesso profilo sociodemografico del pubblico attuale; approfondire la relazione con il pubblico , migliorare l’esperienza del pubblico attuale; diversificare il pubblico, attrarre persone con un profilo sociodemografico diverso, comprese le persone senza precedenti contatti con le arti.” Guido Lucarno – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

L’impatto di musica e cultura sul turismo è il terzo articolo del Quaderno 14 Dal turismo di massa al turista consapevole che sarà presto scaricabile completo. Per scaricare i Quaderni editi da il prato cliccare qui

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Il cittadino temporaneo e l’accoglienza. Partendo da Sud

Il cittadino temporaneo e l’accoglienza. Partendo da Sud di Lucia Ammendolia

Secondo le ultime tendenze turistiche internazionali, il settore più in auge, in questo momento, è quello delle attività extra ricettive: B&B, case e appartamenti vacanza.

Già nel 2018, secondo un sondaggio ISTAT, gli alloggi privati sono stati i più ricercati con il 61% sul totale dei pernottamenti nazionali (fonte Datatur Federalberghi 2019). In particolare, al sud, dove la preferenza per strutture extra-ricettive e private hanno toccato punte del 67.4% contro il 48% del centro e del Nord.

In questi ultimi anni, a livello internazionale, c’è stato un forte sviluppo di società di affitti turistici che ha già conquistato il mercato, avvalendosi di nuove piattaforme in cui si possono trovare diversi tipi di alloggi: dalla casa vintage a quella con vista su panorami mozzafiato, alla casa in campagna e altre tipologie. Uno dei fattori che incide sulla domanda è che ci si inizia a spostare per periodi più prolungati nel tempo, anche per lavoro grazie allo smart working.

Il contesto, in cui questa evoluzione socioculturale si sviluppa, è quello in cui sta prendendo forma anche una nuova concezione di fruizione turistica con atteggiamenti diametralmente opposti da quelli che fino ad ora hanno significato il turismo mordi e fuggi.

La richiesta che arriva è quella di una esperienza a tutto tondo, in cui il viaggiatore inizia a scoprire i luoghi, ad osservare con calma ciò che gli sta intorno. Un vero percorso di viaggiatore attivo, propositivo, che si interroga su quello che ascolta, che assaggia, su cosa lo emoziona.

Un’esperienza che non è prevista nei viaggi organizzati, con itinerari scadenzati e scavezzacollo, in cui le visite sono delle corse per poter vedere la maggior parte delle cose nel più breve tempo possibile, senza nessuna interazione con “il locale”.

Il cittadino temporaneo e l'accoglienza
Casetta tipica di Condojanni- Foto di Lucia Ammendolia

Abitare i luoghi

Il viaggiatore vuole “abitare” i luoghi. Incomincia, così, a predisporsi a una originaria frontiera del viaggio: il divenire cittadino temporaneo.

Elemento per diventare cittadini temporanei è però soprattutto la volontà dei cittadini locali di accogliere il forestiero e farlo sentire a casa, accompagnandolo alla scoperta di quelle che sono anche le narrazioni del territorio, che non partono da un concetto tecnico ma squisitamente emozionale. Ad ogni azione corrisponde una reazione, quindi è il luogo stesso, con i suoi abitanti, che crea questo tipo di turismo. Non c’è odore di preconfezionato, si condividono con le persone: costumi, elementi naturali, spazi ed esperienze.

C’è un senso simbolico dell’abitare una casa. Farlo equivale ad inserirsi nel luogo in cui la casa è posta, all’interno di una situazione sociale, e ambientale, che sulla persona attiva una sensazione di familiarità e quindi immedesimazione nella realtà circostante.


Ogni casa narra di chi l’ha abitata e vissuta, ne racconta il tempo e le usanze. Vive, insieme alle altre case vicine, alle persone e al paese, aprendosi su una piazza dove ancora esistono gli odori, i sapori e le consistenze di un tempo andato, vissuto e che continua e rivive attraverso la memoria della gente.

Il cittadino temporaneo e l'accoglienza
Foto  gentile concessione di Caulonia Paese Alberga – Sala colazione, nella casa madre del paese alberga –

Partendo da un presupposto culturale legato alla Magna Grecia, nella quale il viaggiatore era sacro, al Sud è una costumanza ancora in uso quella di accogliere con calore il forestiero e cercare di farlo sentire a casa. A Matera, in occasione della sua candidatura a capitale europea della cultura, si evolve questo concetto e si amplia. Si arriva a una idea di tipo progettuale, nell’ambito turistico, che intende valorizzare le filiere locali e offrire, in particolare, quello che generalmente in Italia si riesce a fare meglio: l’accoglienza.

L’accoglienza nei paesi

La particolarità sta nel fatto che al Sud nascono su questa dinamica diversi progetti, ma anche evoluzioni spontanee di cittadini che cercano di rendere più accogliente il loro paese, ricevendo con entusiasmo e coinvolgimento il viaggiatore. Come il caso di Borgo Croce un piccolissimo borgo dell’entroterra calabrese, in provincia di Reggio Calabria, dove tutti i cittadini e le cittadine hanno iniziato una piccola rivoluzione attivandosi nell’abbellirlo e nel renderlo più ospitale. Ricreando, inoltre, alcune tipologie di esperienze come quella del turismo olfattivo, adesso molto di moda in diversi musei del mondo, dove le essenze nell’aere, profuse da piante e fiori in un ambiente semplice immerso in un contesto incontaminato, è un invito alla contemplazione della natura circostante

Il cittadino temporaneo e l'accoglienza
Foto su cortesia di Borgo Croce – vie di Borgo Croce ( RC)

Gli odori, che si respirano in quei tipici paesini del Sud, sono anche quelli dei cibi che vengono preparati in maniera semplice e lenta, come si faceva un tempo, e dove non mancheranno le signore, del posto, che escono fuori dalla porta di casa per offrire delle” bisciole” (polpette di verdura, o di carne, fritte) appena fatte ai turisti.

Via alle idee di Francesco, Pasquale, Valeria, Patrizia, Laura, Daniela, Teo, Luana, Manuela, Enzo, Rocco, Vanessa, Daniele, Tiziana , Riccardo, Giusy – dice Maria Grazia – insomma tutti a dare idee e consigli su cosa fare, sicuramente dimentico qualcuno, ma poco importa , Croce siamo noi, una famiglia allargata, una comunità dove tutto diventa casa, dove il tempo si e fermato agli anni ‘80, dove mangi in compagnia, dove non conosci la solitudine, dove ancora puoi lasciare le chiavi attaccate alla porta di casa, dove se passa uno “straniero” qualcuno gli offrirà da bere…” Tratta da post Fb di Borgo Croce

Poi c’è il paese di Caulonia, che attraverso un progetto di ristrutturazione di antiche case, che non vogliono essere solo spazio ma luogo che si espande, si organizza come Paese Alberga, dove oltre ad albergare, i viaggiatori, possono vivere, insieme alle persone del posto esperienze che vanno dalla raccolta delle olive a quella delle arance, alla rievocazione di antiche tradizioni.

Così come a Camini, dove oltre all’accoglienza turistica vengono accolti e inseriti nel paese anche cittadini extracomunitari, che attraverso progetti specifici riescono ad avere casa e lavoro, in una sintonia di reciprocità con gli abitanti del posto. Vengono così recuperati terreni agricoli e ripresi lavori tradizionali seppur rivisitati in chiave moderna. Ci sono botteghe dove poter imparare l’arte dei liutai, la lavorazione dell’argilla, o di altri mestieri tradizionali, che sono aperti sia ai viaggiatori che alle persone del posto, in particolare ai giovani e giovanissimi. Utilizzabili, quindi, anche come laboratori creativi.

Laboratorio di ceramica, Camini (RC) – Foto di Lucia Ammendolia

Il cittadino temporaneo è quindi un semplice viaggiatore che accolto in maniera familiare riuscirà in poco tempo ad avere contatti con la popolazione locale e a integrarsi nel tessuto sociale del paese. Si immergerà all’interno di un luogo che vuole sentire anche suo e lo rispetterà in maniera naturale. Questa è l’essenza vera del viaggio, come incontro tra culture ed arricchimento reciproco.

Il cittadino temporaneo e l’accoglienza. Partendo da Sud è il primo articolo del Quaderno 14 Dal turismo di massa al turista consapevole che sarà presto scaricabile completo. Per scaricare i Quaderni editi da il prato cliccare qui

Il cittadino temporaneo

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