Poco prima di Natale, in un paese piccino piccino, in alto in alto in montagna dove c’era un vento fortissimo, si trovava un aiutante di Babbo Natale che continuava a pensare come poteva fare a rallegrare il paese piccino piccino.
Questo paese piccino, piccino si chiama Bolognola, ultimamente è stato un po’ scosso ma ora sta benino!
Pensa oggi e pensa domani, l’ aiutante decise di chiamare Babbo Natale , in un paese un po’ più grandino che si trovava in pianura. Lì non c’era vento ma qualche nebbia sì.
A volte nevica e in pianura 10 centimetri di neve sono tantissimi! L’anno scorso aveva nevicato proprio prima di Natale. Figurati, gli abitanti sono un po’ imbranati e per spostarsi con un po’ di neve hanno bisogno di una slitta 4X4
L’aiutante e Babbo Natale si scrissero via chat (e sì, anche Babbo Natale è diventato tecnologico) e decisero che l’ aiutante sarebbe sceso a trovare Babbo Natale e avrebbe portato con sé tante cose buone del paese piccino e avrebbe fatto conoscere i fiori, i monti, le vallate, da dove nascevano quelle cose buone.
Babbo Natale disse: “ Ehi, ti aspetto il 15 e 16 dicembre a Zero Branco, è vicino a Treviso, sai. E’ proprio un posto carino. Tutti mi chiedono sempre: ma che nome strano, cosa significa? Io che sono tecnologico (e tanto, ma proprio tanto pigro) però ti copio un link sulla sua storia così vai a cercare ”
Il Sile è un fiume particolare, è un fiume di risorgiva che “spunta” dal profondo del terreno con polle di acqua limpida e vitale chiamate “Fontanassi”.
Si può conoscere il Sile in due modi: dentro l’acqua, in canoa o piccole imbarcazioni, oppure a piedi o in bicicletta. Da parte nostra abbiamo iniziato a mappare due sentieri (in fondo alla pagina i due virtual tour) accessibili per la maggior parte dei tratti anche a disabili, e a esplorare, di conseguenza, la natura che ci circonda. Il primo sentiero, da dove nasce, anzi “spunta” il Sile, è La Porta dell’Acqua situata nelle vicinanze del Gran Bosco dei Fontanassi. E’ un sentiero meno frequentato rispetto al secondo “Il Cimitero dei Burci” ma, proprio perché meno frequentato, molto più rilassante.
Indubbiamente i Burci sono affascinanti, le carcasse che affiorano a pelo d’acqua, testimonianze di un’epoca “lenta” che non c’è più, l’accessibilità del percorso, richiamano molte persone, però con la bella stagione ce ne sono fin troppe. Sfortunatamente (o fortunatamente, dipende dai punti di vista) la domenica e nel periodo estivo sembra di essere in centro città. Ci sono volute ore per mappare il sentiero. Meglio l’inverno.
L’umidità
Nel periodo estivo la natura è lussureggiante, c’è molto verde e una gran varietà di fiori. Ci ho riflettuto un attimo e ho cercato di rispondere alla domanda “perché venire qui e non altrove?” cosa posso trovare di particolare da raccontare? La risposta mi è arrivata dall’umidità. Ebbene sì, proprio l’umidità della Pianura Padana che tante volte fa deprimere con questi suoi cieli mai, o raramente, del tutto azzurri.
E’ stato surreale scoprire che nell’ultimo periodo, in cui ho frequentato altri luoghi, mi è mancata l’umidità (normalmente detestata) che ti fa provare la sensazione fisica di “attraversare” un luogo come se si nuotasse metaforicamente attraverso un’acqua impalpabile, che però si fa sentire e rende un po’ affannoso il respiro. In estate il verde che ti circonda è molto carico ma secondo me si può capire completamente questo ambiente di terra e acqua soprattutto in autunno e inverno. Con la nebbia…
La nebbia
Provate a immaginare le nebbie autunnali, i contorni dei luoghi che si sfumano, i suoni non sono nitidi ma ovattati. L’umidità la fa da padrona, di nuovo e più prepotentemente la sensazione di nuotare nel e attraverso il luogo. Il tempo resta sospeso, non si riesce ad avere la sensazione dell’orario perché il cielo non si vede. Eppure il rumore di sottofondo dell’acqua, di qualche nutria che si tuffa, il battito delle ali dei cigni definiscono i contorni del luogo.
Spesso con le attività di mappatura ci accusano di digitalizzare tutto e di far “impigrire” le persone che si farebbero il loro giretto virtuale senza spostarsi dal divano. Niente di più falso. Puoi vedere il luogo su uno schermo, puoi percorrere un sentiero, ma non puoi sentirlo. Riesci forse a “nuotare” nell’umidità? La sola immagine di un luogo non ne definisce la realtà complessa e mutevole. Sperimentare di persona è la parola d’ordine.
Panta rei, tutto scorre… la realtà è un continuo divenire
Durante i miei soggiorni nelle Marche e Umbria ho sentito ripetere molte volte la parola magia , magia intesa come caratteristica peculiare, una unicità del territorio dei Sibillini. Questa peculiarità è emersa anche durante le interviste di Concita De Gregorio alle “Donne dei Sibillini”. La maggior parte delle risposte su “casa” e “futuro”, a cui si chiedeva di dare un significato dopo il sisma, erano legate in modo imprescindibile al territorio di appartenenza. Io, come “personaggio” esterno e non coinvolta nel luogo specifico, ho iniziato a farmi delle domande e a chiedermi “ma se dovessi dire a un turista di venire qui, cosa gli direi?”
Ci ho pensato a lungo ma, da persona che tende a fondare i propri giudizi su parametri il più possibile oggettivi, il vocabolo magia ha cominciato a starmi stretto, per essere più precisa non ritengo che solo “magia” possa definire un luogo. Definire un luogo come magico è un criterio emozionale e soggettivo, ciò che è magico per me può non esserlo per altri. Ho iniziato pertanto a cercare il significato di “magico”:
“In generale, pratica e forma di sapere esoterico e iniziatico che si presenta come capace di controllare le forze della natura; è stata oggetto, in varie culture e nei diversi periodi storici, di valutazioni opposte, ora considerata forma di conoscenza superiore, ora rifiutata come impostura e condannata dalle autorità civili e religiose.
“Capace di controllare le forze della natura…” no, non ci siamo proprio, in quel territorio ancora ferito dal sisma, direi proprio di no, non è magia. Allora cos’è? Ho provato con sublime “un sublime «dinamico», che riguarda invece la natura, laddove questa sia percepita come una potenza terrificante che sovrasta l’uomo”. Ci avviciniamo però nemmeno quello fa al caso mio.
La relazione tra Natura e Uomo
In entrambi i casi appare evidente che non si parla solo di Natura e di Uomo (essere umano) ma ci si concentra sulla relazione tra Uomo e Natura. Da una parte l’Uomo aspira al controllo della Natura con le arti magiche, dall’altra ne è turbato/affascinato e sovrastato.
Forse abbiamo fatto un passo avanti, anzi un passo indietro e mi chiedo (e vi chiedo) “perché, i Sibillini e non le Dolomiti?” Con quali criteri scelgo un monte oppure un altro? Io che non faccio scalate. Sto tornando alla soggettività ma raziocinante e poco emozionale. La differenza pertanto la fa l’essere umano e la sua relazione con la natura. Proviamo a fare una valutazione nuda e cruda: entrambe le catene montuose hanno paesaggi spettacolari. I Sibillini più dolci e arrotondati, le Dolomiti più imponenti, ciò che le differenzia, per me (soggettivo), sono i colori.
Colori molto accessi (i rossi dei papaveri sembrano più rossi) e tendenti all’ocra nei Sibillini su finire dell’estate (un’amica statunitense vedendo una foto ha detto “The Golden State”!), per le Dolomiti, oltre alla roccia, tante sfumature di verde.
Armonia
Oltre ai paesaggi mi aspetto però dell’altro e qui entriamo nell’ambito di quanto può essere offerto con una interazione ottimale tra Uomo e Natura. In altre parole, quali altri servizi, per me “turista per caso” ci sono a disposizione? Per favore, saltiamo la cucina eccellente. In Italia per mangiare male bisogna metterci un certo impegno… Quanto guardo io (soggettività, di nuovo…) è l’armonia che c’è tra tessuto urbano e ambiente. In due foto, due esempi di ciò che mi piace: la versione di “una fiaba” dell’intervento dell’essere umano sul paesaggio oppure l’ arte che si fonde con la natura come in Arte Sella
Alla fine la differenza tra scegliere una o l’altra montagna (o non scegliere, come faccio io d’altro canto che zompetto allegramente da una parte all’altra) la fa l’essere umano che abita quei luoghi e ciò che ha saputo costruire nella relazione con altri esseri umani di quei luoghi (chiamiamoli i suoi vicini di casa) e con la Natura. E soprattutto il racconto, il vissuto, le storie, di quel tessuto urbano e naturale. Vi ho descritto le montagne. Io abito in pianura ma anche qui, terra di acqua e nebbie, la relazione tra uomo e natura ha una sua storia da raccontare. Quale è la vostra? E non parlatemi solo di magia!
Come abbiamo fatto ad arrivare dal Veneto ai Sibillini? Per poi tornarci? Ci sono aspetti comuni che legano i territori? Di certo ci sono le storie di persone e territori.
Visivamente non c’è proprio nulla che accomuna le due regioni, (per l’esattezza sono tre: Veneto, Marche e Umbria) basta guardare queste foto. Le Dolomiti stesse, seppur montagne, non somigliano di certo ai Sibillini, più antichi e levigati. La nostra laguna, i nostri fiumi sono proprio tutta un’altra cosa. Eppure, ci sono cose che sono comuni. Sono le Storie, storie legate al territorio e legate alle persone.
La prima volta che arrivammo nel cratere del sisma eravamo a Norcia, 10 dicembre 2016, lo ricordo bene perché da quella data si sono intersecate le storie di Progetto Re-Cycle e quelle delle Local Guides, i volontari che aggiornano le mappe di Google Maps. Le LG sono persone in carne e ossa, non esseri smaterializzati o avatar, che utilizzano il “virtuale” per dare un’altra lettura del reale. Non tutti sono così “filosofici” nel dare questa lettura, ma io lo sono.
Dall’incontro con le LG si è sviluppato Re-building (anzi è il contrario. Lo avevamo già in testa ma ci mancava il come farlo), la “costruzione” di una cassaforte della memoria virtuale con immagini geolocalizzate su una mappa condivisa, delle zone colpite dal sisma. La mappa è in lavorazione continua, il bello di questo tipo di tecnologia è che puoi continuare a sviluppare e a migliorare. Da quel momento è risultato naturale confluire nella rilettura dei territori (non solo quelli colpiti dal sisma ma anche altri in Veneto) perciò abbiamo iniziato a parlarne nell’accezione che si trova nel Manifesto stesso di Progetto Re-Cycle “ripartire da ciò che già esiste per avviare nuovi cicli di vita”.
Siamo tornati di recente, a fine aprile 2018, in Umbria e nelle Marche in particolare a Norcia e a Bolognola (MC). La ricostruzione, o un quantomeno simil ritorno alla normalità, procede a macchia di leopardo. Sono state fatte alcune cose, altre restano da fare. Il senso di “Donne dei Sibillini, bellezza e dignità del territorio” (il 10 giugno a Pintura di Bolognola – Macerata https://www.facebook.com/events/1729682707099136/ ) è ripartire valorizzando persone, in particolare donne, e territorio che rappresentano il grande tesoro dell’area.
Dal mio punto di vista, anche un po’ aziendale se volete (tutta colpa del mio lavoro), solo attraverso una modalità di fruizione del territorio che intersechi aspetti “reali” con aspetti “virtuali”, potremo iniziare a parlare di rilettura vera, con un forte substrato culturale, dei territori e delle persone (e aziende) che lo abitano. Qui sto iniziando a sconfinare in “cultura d’impresa”…
Re-thinking Humans: si può arrivare al paradosso di ri-pensare, ri-progettare l’essere umano? La spinta continua verso l’innovazione tecnologica deve comunque poggiare su basi umanistiche? Oppure l’essere umano si sta “evolvendo” e si sta trasformando in “corpi da progetto”, dei cyborg? Sono ovviamente delle provocazioni per sollecitare delle domande.
Il Quaderno 7 – Re-thinking humans. Il design nella progettazione del post-umano – è un quaderno quasi “fantascientifico”, troverete infatti alcuni esempi tratti da due note serie televisive: Black Mirror e Altered Carbon che offriranno uno spunto “narrativo” per osservare “ l’ evoluzione della progettazione, in particolare delle tecnologie applicate al corpo umano e agli spazi antropocentrici, e di come i canali di intrattenimento popolare contribuiscono a trasmettere e formare un immaginario tecnologico attraverso la divulgazione di narrazioni distopiche”.
In un momento storico nel quale le tecnologie si sviluppano in tempi sempre più ridotti, impattando fortemente sulla nostra quotidianità, ci siamo fermati a riflettere sulle implicazioni che l’adozione delle tecnologie stesse comportano in termini sociali, biologici ed etici? In tutto questo, quale è il ruolo del designer e della progettazione? Vi è una relazione tra immaginario e design? Certamente sì, dato che ciò che è stato semplicemente immaginato in un’epoca è diventato reale in un periodo successivo
L’intento di questo Quaderno e della sua autrice Francesca Toso è di provocare un pensiero critico sulla relazione tra prodotto/oggetto, essere umano, spazio/ambiente e tempo riprendendo in alcuni punti il Manifesto di Progetto Re-Cycle in relazione all’ ottimizzazione dei cicli di vita, all’ innovazione tecnologica come ri-lettura del passato e alla storia delle innovazioni per ri-pensare il futuro.
Riciclo
come opportunità per avviare nuovi cicli di vita partendo da ciò che già esiste
come strategia per ottimizzare giacimenti di risorse materiali e immateriali
come strumento per valorizzare repertori di saperi e competenze
come canale per aggregare professionisti, aziende e istituzioni
come approccio a nuovi modelli di produzione e consumo
Progetto Re-Building, l’attività di mapping per la creazione di una mappa condivisa di foto geolocalizzate delle aree colpite dal sisma, prosegue e si arricchisce di nuove foto della zona di Arquata del Tronto. Re-Building assume sempre più l’aspetto di “cassaforte della memoria”. Per molti luoghi l’unica cosa che potrà rimanere sarà la memoria: non è possibile ricostruire
La ricostruzione non è però solo una scelta architettonica ma riguarda anche l’identità di un luogo.
Spiegare qualcosa di immateriale è sempre molto difficile, solo andando nei posti, solo vedendo il rischio concreto di desertificazione umana si può comprendere cosa significhi il senso di appartenenza a un luogo e l’identificarsi con esso.Per chiarire ecco alcuni passaggi del Q6
[… ] Nella fase iniziale Re-Building era partito con l’obiettivo di contribuire alla ricostruzione anche in termini materiali/strutturali oltre che sviluppare una “cassaforte della memoria” virtuale e condivisa. Con il passare dei mesi e con la conoscenza sempre più approfondita dei territori colpiti dal sisma, la valenza che ha iniziato ad essere preponderante è stata quella della ricostruzione dell’identità dei luoghi, identità espressa in termini di valori condivisi siano essi storici, economici, naturali o culturali […]
[….] I punti di riferimento e di aggregazione sono venuti a mancare, le popolazioni sono in parte rimaste, in parte sono delocalizzate in altre aree. Se si fa un rapido giro nei Social ci si renderà conto che il poco di unione che ancora rimane è data proprio dalle immagini pre-sisma che sono condivise e commentate con i ricordi della popolazione. Il rischio di desertificazione umana, in particolare per i borghi più piccoli, è dietro l’angolo, vuoi per impossibilità di ricostruire (molti edifici si trovavano proprio sulla faglia ed è impensabile ricostruire) vuoi per le condizioni di disagio e isolamento di alcuni siti […]
Re-Building e l’attività di mapping non si fermeranno a queste aree, vi sono altre aree nel mondo che hanno bisogno di rimanere vive almeno nella memoria.
Chiudiamo con Ungaretti che ci traghetterà da questa memoria di luoghi ad altre memorie su cui stiamo lavorando. Al prossimo post…
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
We were taking a short walk and taking pictures for the first phase of our project: mapping paths accessible for everyone. All of a sudden it was there or, better still, a shape that reminded me of him: Moby Dick, the white whale.
It was indeed a bit amazing to see such a shape along a path for pedestrians and it was amazing to find out a boat along a lonely track. Actually it shouldn’t be so strange, we were walking along a path close to Sile river, but it was unexpected.
By mapping our world we have found so many unexpected things in the past months, unexpected relationships between Nature and human beings. What can you see in this picture? Look at it carefully, we have been told that most people see “ivy”
What is it? Plastic trying to destroy natural environment or Nature claiming for its place back? For us the second one. What is our relationship with Nature, is it a Mother or a Stepmother? Honestly we do not have any answer, it is a contrasting and contrasted relationship and as long as we proceed with our activities we have more questions than answers
In the areas of earthquake (Central Italy) where we have seen the effects of destruction it could be easy to say “Nature as stepmother” but it is not so obvious, Nature in that area is so beautiful and imposing that the only possible way for reconstruction is a new environment friendly pact between humans and Mother Nature.
We have been successful so far in our attempt of integrating culture and environmental education, culture and technology for mapping our world, driving, walking for finding out the “unexpected”, but the most successful aspect is our changing perspective in the way we see the world. We keep on mapping and telling stories, stay tuned.