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Paesaggio umano usato/partecipato

Paesaggio umano usato/partecipato di Antonella Grana è il quinto articolo del nuovo Quaderno Q16 “Paesaggi umani, paesaggi urbani” da luglio scaricabile qui

Questo Quaderno inizia per me con un tuffo nel recente passato, un passato che chiamerei pre-Covid da una parte e post-sisma dall’altra. Dieci dicembre 2016, furgone carico di tutto quanto siamo riusciti a raccogliere con le donazioni, ore 5 del mattino, direzione Norcia. C’è un gran bel ghiaccio a quell’ora del mattino (notte?).  La strada è lunga e con deviazioni perché il sisma che ha colpito il centro Italia, ad agosto prima e a ottobre poi, non ha risparmiato la viabilità. Ad attenderci ci sarà Emanuele Persiani, l’autore del primo pezzo di questo Quaderno.

Il terremoto ha cambiato per sempre il paesaggio dell’area, ce lo spiega bene Emanuele nel suo articolo. Corsi d’acqua, come il Torbidone, che hanno fatto nascere una sorta di laghetto, gli insediamenti umani che si sono allargati creando dei dormitori dove sono state costruite le SAE – Soluzioni Abitative di Emergenza.

Paesaggio umano usato/partecipato

Sono stata a Norcia e nei paesi limitrofi umbri e marchigiani, l’ultima volta nell’estate del 2019. Poi, da febbraio 2020 la pandemia e non ci sono più tornata. Mi riprometto di farlo presto. Quando ho letto il testo di Emanuele ho subito (ri)visto la situazione che si stava già palesando: confusione nella ricostruzione – ma questo ci può anche un po’ stare, l’area è immensa- ma soprattutto decisioni non condivise con la popolazione.

Ho ancora negli occhi il centro commerciale costruito per le attività che avevano necessità di delocalizzare, l’ho visto sempre desolatamente vuoto. Si è voluto importare un modello che non è nelle corde della zona. Per me che abito in Veneto, una struttura di quel tipo era una situazione ovvia. Esco di casa e ho 4 o 5 centri commerciali nel raggio di 5 chilometri. Non è la stessa cosa per chi abita a Norcia e che è abituato al negozietto di prossimità.

Emanuele nel suo racconto condensa questi anni, tutt’altro che semplici, del post sisma.

Paesaggio umano usato/partecipato

C’è un limite allo sfruttamento del territorio? E se il corpo territoriale fosse paragonato a un corpo biologico?

“Esiste ormai una quantità di letteratura e di studi, nonché di modelli urbani, che incontrovertibilmente hanno posto al centro della loro riflessione, per la risoluzione dei problemi, la questione del limite.

Le realtà urbane più vivibili – e guarda caso più ricche – sono quelle che hanno accettato tale sfida e fanno, del “darsi un limite”, l’occasione per il loro rilancio e successo” ci dice Roberto Ervas nel suo articolo. E aggiunge “…si scopre che le città che hanno risolto meglio il problema del traffico privato sono quelle che hanno smesso di “assecondarlo”, promuovendo il trasporto pubblico e la viabilità ciclopedonale e supportando quello commerciale attraverso specifici percorsi, tecnologie dedicate e organizzazioni logistiche innovative.”

Nel suo pezzo Emanuele Persiani ci dice “…sono aumentati gli spostamenti, quando prima del sisma ci si muoveva di più a piedi perché era tutto più vicino.” Stiamo forse ricostruendo ma nel modo sbagliato? Sembrerebbe di sì… Forse mancano i fondi, ma… fermi tutti! Ecco a noi il PNRR che tutto risolve, ce ne parla in un altro articolo Alessandro Boldo. Quale è l’importanza del territorio/ambiente nella strategia di sviluppo del PNRR? Come termine risuona molte volte, nella pratica il riscontro è proprio basso: territorio e ambiente sono sudditi dell’economia.

A prescindere dalle argomentazioni e dalle coalizioni discorsive sovraordinate, la transizione del PNRR è una transizione de-territorializzata. Il territorio è di fatto la verifica delle premesse discorsive dell’EGD e degli obiettivi di transizione del PNRR, ma la spazialità e le specificità territoriali del programma paiono assorbite dagli stimoli del mercato, da opere o acquisizioni di procedure legate a processi di innovazione tecnologica, energetica, digitalizzazione e deroga normativa, frettolosamente qualificative come semplificazione burocratica e riforme di governance”

Una transizione de-territorializzata. Se pensiamo alla ricostruzione, di nuovo, non ci siamo. Dove sono finiti territorio e persone?

Di paesaggio e persone ce ne parla Lucia Ammendolia nel suo pezzo dedicato interamente al Veneto “sulle orme del Leone Marciano”. Lucia ci accompagna lungo i paesaggi veneti, bellissimi ma a volte contraddittori, dove una forte cementificazione fa da contrasto a luoghi naturali che sono stati – e sono – fonte di ispirazione per poeti, pittori e scrittori.  Ma cos’è il paesaggio? Una delle definizioni dice: “…quindi spazi di territori in continua costruzione e conseguente interazione tra uomo e natura. Tutto questo, mette in luce la naturale correlazione tra il territorio e la parte antropica. All’interno del paesaggio, l’uomo non è un semplice osservatore ma, citando Jacob, è un “soggetto attivo abitante

L’essere umano è un “soggetto attivo abitante”, le politiche territoriali sembra che se ne dimentichino spesso. Il Veneto è una delle aree a più alta cementificazione, dove anche l’agricoltura con le monocolture intensive sta contribuendo a cambiare il paesaggio.

Paesaggio umano usato/partecipato

“L’anima veneta” è paesaggio, soprattutto negli occhi e nei racconti di chi questa terra l’ha fortemente amata e abitata. Molte sono le testimonianze di questo sentimento, in particolare da chi ne ha vissuto la trasformazione da paesaggio agricolo a industrializzato, cogliendone la bellezza di prima e le contraddizioni del dopo. Come Mario Rigoni Stern, nato ad Asiago, nell’omonimo altopiano. Egli ambienta i suoi romanzi principalmente nelle montagne del Veneto, illustrando con grande cura il territorio e anche il rapporto tra l’uomo e la natura stessa. In alcuni suoi libri utilizza anche una antica lingua: il cimbro, lingua antica dell’altopiano, in via d’estinzione, che lui cercò di valorizzare. Il rispetto per la sua terra era davvero profondo e sentito.

Credo sia ormai chiaro il perché del titolo della mia introduzione “Paesaggio umano usato/partecipato”

Ho utilizzato svariate volte l’esempio delle zone del sisma. Io avevo sempre visto la ricostruzione come un grande laboratorio condiviso, dove con una buona pianificazione si poteva rendere il paesaggio – ferito- anche più bello di prima. Nella disgrazia c’era – spero ci sia ancora – la possibilità di ripartire da zero e di ripartire nel modo giusto. È più semplice quando tutto deve esser ricostruito lavorare su una progettualità nuova, molto più semplice rispetto a interventi su aree già popolate e sfruttate. In questo momento purtroppo anche in quelle aree/laboratorio c’è solo un paesaggio umano usato, molto verosimilmente per logiche di mercato.

Il paesaggio umano partecipato è quello che manca. Un paesaggio umano partecipato è una comunità attiva e vivace che fa proposte anche quando non le si chiede nulla. Ecco, questo è quello che spero, per Norcia e non solo, anche per tutti noi: un paesaggio umano partecipato. Sta anche a noi fare una mossa.

Buona lettura. E… proponete il vostro paesaggio

Per scaricare ” Paesaggio umano usato/partecipato” e i Quaderni editi da il prato cliccare qui

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