Revenge tourism o… forget tourism? La ripartenza del settore nel dopo Pandemia
Revenge Tourism o…forget tourism ? La ripartenza del settore nel dopo Pandemia di Fabio Casilli è il secondo articolo del Quaderno 15 “Turismo tra rivincita e rigenerazione” in uscita a maggio e che potrete trovare qui
Lo scenario
Il settore del turismo negli ultimi anni, ossia da fine 2019 a oggi, ha subito un vero e proprio tsunami che ha modificato in maniera profonda il modo di “fare” turismo, sia da parte di chi ne usufruisce in quanto turista/viaggiatore, le cui esigenze sono radicalmente cambiate, che da parte di chi ne ha fatto il suo mestiere.
In effetti, la sicurezza sanitaria “prima” non appariva nemmeno tra i primi venti criteri di scelta.
Al di là degli effetti devastanti della pandemia, della gravità del Covid come malattia, al suo propagarsi nel mondo a una velocità e con una facilità inimmaginabili fino ad allora, importanti e non meno gravi sono stati gli effetti terribili da un punto di vista psicologico.
Dopo mesi, anni in cui siamo stati privati di ogni minima libertà personale, dove nell’interesse del gruppo, ogni singola persona era controllata inquadrata e limitata in ogni sua minima attività, un senso di oppressione, di insofferenza ai luoghi chiusi, soprattutto se affollati, si è sviluppata e generalizzata un po’ dovunque.
Anche il perimetro delle nostre – rarissime – uscite era limitato, e una sensazione di disagio, di paura e di sospetto erano molto diffuse.
In questo contesto talmente catastrofico, come nemmeno nei nostri peggiori incubi avremmo mai potuto immaginare, il turismo è stato totalmente annientato, bloccato.
È stato stimato che il 90% degli aerei nel mondo fosse rimasto a terra. Migliaia di alberghi e strutture ricettive chiuse, agenzie di viaggi, tour operator e operatori turistici di ogni tipo ridotti a una inattività totale e sull’orlo del fallimento.
Nessuno svago, solo oppressioni e paure, fobie.
Sono stati due anni in cui anche nei mesi immediatamente successivi alla fine delle restrizioni, la paura dominava le decisioni di ogni tipo, anche, e soprattutto per quanto riguardava i viaggi.
La ripartenza
Il turismo è ripartito molto lentamente, ma inesorabilmente.
La gente dopo tanto tempo rinchiusa e repressa, aveva sviluppato una volontà di muoversi, spostarsi, viaggiare, come mai prima.
Il bisogno di ritrovare una vita “normale” ha spinto all’eccesso la volontà di uscire.
A questo fenomeno di volontà quasi spasmodica di viaggiare è stato dato un nome che spiega molto bene lo stato d’animo che abbiamo avuto tutti quando abbiamo potuto riprendere a farlo: revenge tourism, turismo di “rivincita”.
Rivincita sul fatto di poter di nuovo partire liberamente, anche se non tutti i paesi hanno riaperto le frontiere subito. Rivincita in un certo senso sulla vita che riprendeva i suoi diritti dopo essere stata per troppo tempo depressa.
In teoria stiamo quindi parlando di un qualcosa che dovrebbe essere considerato come positivo per tutto il settore.
In realtà, come in tutte le cose, l’eccesso non è mai positivo.
Se quindi da un lato l’assenza totale di attività è stata terrificante e distruttrice di un’economia che in maniera generale è spesso fragilizzata da tanti fattori esterni – pandemia, ma anche attentati, catastrofi naturali, situazioni politiche delicate… – anche la ripresa non è (stata?) esente da problemi.
L’assenza di attività ha fatto sì che moltissime aziende del settore che sono riuscite a non chiudere – impresa non semplice, soprattutto in paesi in cui il turismo non è stato sostenuto, come in Italia e in Francia a esempio, da consistenti aiuti da parte dello stato – abbiano dovuto ridurre in maniera importante la loro forza lavoro.
Parte di queste persone che si sono trovate senza più avere una fonte di reddito, hanno deciso di cambiare settore.
Nel momento in cui l’attività è ripresa quindi, la rapida ripartenza dei volumi di richieste di prenotazione, ha messo in luce un altro problema di non poco conto.
Competenze ed equilibrio vita/lavoro
Molti di quelli che avevano lasciato il turismo, infatti, hanno trovato un nuovo equilibrio e una nuova sicurezza economica in altri lavori e non se la sono sentita di lasciare le nuove certezze per tornare in un settore che per molti di loro era stato il lavoro di una vita e una vera e propria passione.
Tutto ciò ha creato un vuoto di competenze. Le persone che avevano lasciato non sono tornate, chi usciva dalle scuole ha trovato lavoro ma non aveva le capacità e l’esperienza dei loro predecessori. La fragilità mostrata ancora una volta da un mondo troppo spesso indebolito e messo in difficoltà da fattori esterni non prevedibili, ha fatto sì che si creasse un disamore anche da parte dei giovani per un universo che in precedenza ne aveva fatto sognare molti.
Oltre a tutto ciò, il lungo periodo di inattività forzata, ha modificato in maniera profonda l’approccio della gente al mondo del lavoro in generale e nel turismo in particolare, dove spesso gli operatori del settore non conoscono orari e hanno giornate lavorative molto lunghe.
Oramai la precedenza è data alla qualità della vita e non al lavoro a ogni costo. I ristoranti hanno avuto e hanno ancora difficoltà a trovare personale disposto a lavorare fino a tarda sera o durante il fine settimana per stipendi considerati come inadeguati rispetto alle rinunce che impongono
Alcune strutture, alberghi, ristoranti, esercizi turistici di vario tipo, sono arrivati addirittura a dover scegliere di non riaprire per mancanza di personale.
La situazione si è poi piano, piano normalizzata, creando anche una dinamica in certi casi virtuosa. Le aziende si sono dovute riorganizzare e modernizzare per poter fare lo stesso lavoro con meno personale e molte di loro sono state piacevolmente sorprese di vedere che sono tornate ai fatturati pre-pandemia, se non in certi casi anche superiori, con meno personale.
Possiamo quindi dire che il revenge tourism è in ogni caso un successo sul medio-lungo termine.
Ha obbligato i professionisti a tenere conto dei paradigmi precedentemente troppo spesso trascurati come l’equilibrio vita/lavoro e, su impulso della clientela, anche della sostenibilità, l’impatto sull’ambiente e sulle popolazioni locali, per rispondere alle nuove esigenze e richieste da parte dei clienti che, in seguito alla pandemia, sono stati molto più sensibilizzati a queste problematiche.
Ha imposto alla gente di riflettere in maniera diversa sul modo di viaggiare e di consumare, in un primo tempo probabilmente più per paura, in seguito per una vera presa di coscienza per un numero sempre maggiore di persone.
Ecologia, rispetto, sostenibilità sono oggi parole sulla bocca di tutti.
Come sempre, la paura ha obbligato e accelerato la presa di coscienza su problemi per troppo tempo ignorati o sottovalutati.
In un certo senso, il revenge tourism è forse il turismo del nostro pianeta che ha preso la sua “rivincita” sugli innumerevoli scempi commessi dall’uomo da troppo tempo.