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Territorio da abitare

Territorio da abitare

Il 19 maggio 2025 ho avuto l’opportunità di moderare, nell’ambito del Festival Dello Sviluppo Sostenibile 2025 promosso da ASviS, l’incontro Sostenibilità e Territori: un futuro da abitare, con uno sguardo particolare ai territori montani. Quelle “terre alte” divise tra overtourism e spopolamento, due fenomeni apparentemente in contrasto tra di loro che ci raccontano come l’approccio a un territorio estremamente complesso e fragile debba tenere conto di numerosi aspetti, tutti interconnessi tra di loro.

Da quella giornata è scaturita la volontà di dare un seguito a quel confronto attraverso un Quaderno.

Non solo per parlare di “terre alte”, ma anche per collegare la tematica ad aspetti più ampi. “Venezia è bellissima ma non ci vivrei”, o i turisti che si lamentano che “in questo luogo ci sono troppi turisti”, dimenticandosi del fatto che alcuni di quei turisti sono proprio loro, sono solo alcuni dei messaggi emblematici e contraddittori da cui partire. Senza dimenticarsi che, in quei luoghi, c’è anche qualcuno che ci vive, e che forse dovrebbe avere anche il diritto di esprimersi.

Ma anche qua le opinioni sono spesso divergenti. C’è chi vede il turismo come una risorsa, chi come una mucca da mungere, chi come una opportunità, chi come un fastidio. Per altri il turismo è visto come la causa principale dei disagi e dei prezzi alle stelle per gli alloggi, una situazione che costringe chi è nato in quei territori e vorrebbe viverci a trasferirsi altrove. Perciò non solo “attrazione turistica”, ma anche e soprattutto “vita”, “lavoro”, “cibo”, “cultura locale”, quelle piccole cose che di quel territorio costituiscono l’anima, quelle piccole cose senza le quali quel territorio semplicemente non esisterebbe come tale.

Dall’altro lato abbiamo luoghi che si spopolano, non perché non siano belli, ma perché non offrono prospettive a chi ci vive.

Tante tematiche, che devono necessariamente essere prese in considerazione assieme, perché affrontarne solo una parte porta spesso a causare uno squilibrio, peggiorando in realtà la situazione generale di quel territorio.

In tutto questo non dobbiamo dimenticare che i territori stessi non sono elementi statici. Gli interventi dell’uomo, quelli diretti e quelli indiretti, influenzano pesantemente la situazione di criticità delle aree più fragili. Basta pensare alla Tempesta Vaia, della quale nelle aree Alpine del Nordest si pagano ancora le conseguenze, o delle sempre più forti alluvioni in Emilia-Romagna.

È vero che non tutte le catastrofi possono essere attribuite al cambiamento climatico globale. Tuttavia, è verificabile che alcuni cambiamenti climatici indotti dall’uomo aumentano significativamente la probabilità di eventi estremi più frequenti e più intensi.” A dirlo non sono io. Le parole sono di Papa Francesco, e fanno parte della Esortazione Apostolica Laudate Deum, del 4 ottobre 2023.

Territorio da abitare. Questo potrebbe essere il filo che collega i vari interventi di questo quaderno. Senza dimenticare che il turismo è un elemento chiave in molti di queste aree, dove gli alloggi turistici influenzano in modo significativo la situazione abitativa generale.

Abitare il turismo o essere abitati dal turismo?

È questa la domanda da cui parte Antonella Grana[1] per analizzare, partendo dall’esperienza di Barcellona, la dicotomia tra le città in cui non c’è più spazio per i residenti e i territori, soprattutto montani, in cui lo spopolamento avviene per mancanza di prospettive. Quali scelte hanno fatto le varie capitali turistiche Europee, e qual è l’insegnamento che ne possiamo trarre? Antonella si sposta poi nelle aree montane, dove “Se da una parte vediamo un grande affollamento turistico, dall’altra vi sono luoghi in cui il turismo scarseggia,

Negli anni, come Progetto Re-Cycle, abbiamo parlato del turista come “cittadino temporaneo”, ma anche di come le località turistiche debbano pensare a forme diverse di accoglienza, per arrivare a un turismo che dobbiamo incominciare a immaginare “sostenibile”. In questa ottica si pone anche il nostro progetto Turistico 20.0 – il turismo dalle scuole al territorio. “Il progetto si concentra sul turismo sostenibile, ha l’obiettivo di valorizzare il territorio e di mettere in relazione il Nord e il Sud del Paese, coinvolgendo anche i futuri operatori turistici: studenti e studentesse di scuole turistiche.

Modificare il rapporto, o meglio “creare un rapporto” effettivo tra comunità locali, strutture ricettive e turisti potrebbe essere un primo passo per cambiare le attuali dinamiche, e creare una forma di turismo più consapevole e meno conflittuale.

La carta di budoia

La Carta di Budoia è l’iniziativa che ci viene raccontata da Alessandro Pellegrini[1]. Si tratta di un documento di impegno volontario sottoscritto da numerosi comuni alpini, italiani e non solo, con l’obiettivo di affrontare in modo concreto i cambiamenti climatici a livello locale.

Territorio da abitare

La Carta di Budoia non è solo una dichiarazione di intenti, ma uno strumento pratico che riconosce il ruolo fondamentale delle amministrazioni locali nel creare resilienza e affrontare le sfide poste dal clima, in particolare in un ambiente fragile come quello montano.

I comuni che aderiscono alla Carta si impegnano a:

  • Attuare misure di adattamento ai cambiamenti climatici nelle proprie attività di pianificazione territoriale.
  • Valutare i rischi e le opportunità legati al clima per il proprio territorio.
  • Promuovere il dibattito pubblico e aumentare la consapevolezza di cittadini e visitatori sui rischi e le opportunità connesse ai cambiamenti climatici.

Un territorio più sicuro e sostenibile diventa di conseguenza un luogo più attraente per viverci. La prevenzione dei rischi e il miglioramento della qualità della vita sono fattori fondamentali per contrastare lo spopolamento e incentivare le persone, in particolare i giovani, a rimanere o a tornare in montagna.

il futuro del mercato immobiliare: verso un abitare consapevole e sostenibile.

I luoghi dove abitare sono quelli di cui ci parla Chiara Pegge[1], nel raccontarci il futuro del mercato immobiliare: verso un abitare consapevole e sostenibile.

Abitazioni dove la sostenibilità e il risparmio energetico sono elementi ormai imprescindibili, e dove il concetto di casa Smart sta sempre più prendendo piede nel mercato. Sostenibilità che significa anche ridurre, e possibilmente evitare il consumo di suolo, preferendo la riqualificazione (retrofit) delle abitazioni esistenti alla costruzione di abitazioni nuove. Il patrimonio Immobiliare Italiano è infatti obsoleto e circa 1/3 delle abitazioni non sono occupate[2].

Territorio da abitare

ENEA ci dice che [1]oltre il 60% di tale parco edilizio ha più di 45 anni, ovvero è precedente alla Legge 373/1976, prima legge sul risparmio energetico

Se mettiamo assieme le due informazioni capiamo bene che la sfida per il futuro del mercato immobiliare di cui ci parla nel dettaglio Chiara è proprio quella di recupero dell’enorme patrimonio esistente, rendendolo efficiente e sostenibile.

Una visione del futuro che arriva direttamente dall’Unione Europea, con la direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia. “Un’ondata di ristrutturazioni per l’Europa: inverdire gli edifici, creare posti di lavoro e migliorare la vita

Oltre al valore strettamente economico, Chiara ci parla anche del valore Storico del patrimonio Immobiliare, e di come questo debba essere considerato non un handicap ma una opportunità.

Chiudo questa introduzione con una nota personale: ho di recente acquistato, e riqualificato, un immobile degli anni ’70 in un’area montana con bassissima densità di popolazione, con un turismo diviso tra i giornalieri che vogliono passare una giornata in montagna per passeggiate e (perché no?) per qualche esperienza culinaria, e quelli che hanno acquistato una casa per passare più tempo possibile nel territorio. Per cui mi sento molto vicino a questi tre interventi, ed ho accettato con piacere l’invito a scrivere questa breve intervento.

Territorio da abitare

Buona lettura

Territorio da abitare è inserito nel Q19 Sostenibilità e Territori: un futuro da abitare che sarà pubblicato a breve. Per leggere tutti i Quaderni cliccare QUI


[1] Rapporto ENEA Luglio 2024: La consistenza del parco immobiliare nazionale


[1] Chiara Pegge – Titolare CP Real Estate

[2] Rapporto Istat 1° agosto 2024: “Quasi un’abitazione su tre non è occupata. Più della metà costruita nella seconda metà dello scorso secolo”


[1] Alessandro Pellegrini, sindaco del comune di Capizzone dal 2014 al 2024


[1] Antonella Grana, Fondatrice e Presidente di Progetto Re-Cycle

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IL FUTURO DEL MERCATO IMMOBILIARE

VERSO UN ABITARE CONSAPEVOLE E SOSTENIBILE

Il futuro del mercato immobiliare: verso un abitare consapevole e sostenibile, di Chiara Pegge CP Real Estate

Il mercato immobiliare sta vivendo una trasformazione epocale, guidata da un principio fondamentale: la sostenibilità. Non si tratta più di una tendenza passeggera o di un’opzione di nicchia, ma di un’evoluzione strutturale che risponde a una crescente consapevolezza ambientale e sociale.

Oggi, l’abitare sostenibile è sinonimo di una scelta consapevole, che abbraccia non solo l’efficienza energetica e l’impiego di materiali ecocompatibili, ma anche un profondo rispetto per il territorio circostante. Il pubblico, sempre più informato, cerca dimore che siano in armonia con l’ambiente, con un impatto minimo sull’ecosistema e un massimo di benefici per il benessere degli abitanti. Questo nuovo approccio si manifesta nella ricerca di abitazioni che utilizzano fonti rinnovabili, ottimizzano le risorse idriche e si integrano perfettamente nel paesaggio, che sia naturale o urbano.

Se è vero che le nuove costruzioni offrono soluzioni all’avanguardia, non possiamo ignorare il vastissimo patrimonio edilizio italiano che comprende non solo i gloriosi edifici storici, ma anche le migliaia di costruzioni risalenti agli anni ’60, ’70 e ’80.

Acquistare una di queste proprietà non significa solo fare un investimento, ma abbracciare un patrimonio di fascino ed emozioni, trasformando un pezzo di storia in un luogo intimo e personale.

La casa non è un semplice spazio da abitare. È il nostro porto sicuro, il rifugio che ci accoglie quando il mondo fuori si fa rumoroso e frenetico. È il luogo dove i muri proteggono non solo dalle intemperie, ma anche dalle ansie quotidiane, offrendo la quiete e il calore di un abbraccio. In questo senso, la ricerca di un’abitazione si trasforma in un viaggio verso la scoperta di un luogo che rispecchi i nostri valori più profondi e che ci permetta di vivere in armonia. In questo scenario, l’approccio alla sostenibilità immobiliare non è più solo una scelta tecnica, ma un percorso emozionale che ci porta a riconnetterci con la natura e con noi stessi.

Abitare in modo consapevole significa scegliere una casa che rispetti il pianeta, ma che nutra anche la nostra anima. Significa poter contare su un rifugio che offre sicurezza, benessere e bellezza, un luogo dove ogni dettaglio è pensato per il nostro comfort e per la nostra serenità.

Molti di noi sognano una casa che abbia un’anima, che racconti una storia attraverso le sue pietre e i suoi colori.

Restaurare una vecchia dimora è un atto d’amore e rispetto, sia per l’edificio che per il territorio. Significa donare una nuova vita a un immobile senza consumare nuovo suolo, riducendo l’impatto ambientale della costruzione. È la magia di vedere una villa storica o un affascinante casale rinascere con nuove tecnologie, diventando più efficiente e confortevole, senza perdere quel tocco di eleganza che solo il tempo sa dare.

Ogni rifugio che si rispetti ha un’apertura verso l’esterno, un respiro di luce e di natura. Per questo, un giardino curato o un terrazzo accogliente diventano un elemento essenziale del nostro benessere. Sono gli spazi dove possiamo staccare la spina, leggere un libro, ascoltare il suono della pioggia o semplicemente ammirare la bellezza di una pianta che cresce.

Un giardino non è solo un appezzamento di terra, ma un’oasi personale dove la biodiversità può fiorire. Allo stesso modo, un terrazzo è un’estensione della nostra casa, un ponte tra l’interno e l’esterno, dove la tecnologia sostenibile si fonde con il piacere di vivere.

Il cuore di un immobile rigenerato batte grazie a tecnologie che lo rendono un nido caldo e protetto. Impianti di riscaldamento efficienti, pompe di calore silenziose e pannelli solari invisibili si integrano nella struttura senza comprometterne l’identità. L’isolamento termico rende la casa un luogo dove la temperatura è sempre perfetta, indipendentemente dal clima esterno, e dove il silenzio protegge il nostro riposo. Ogni intervento, dalla sostituzione degli infissi alla coibentazione del tetto, non è solo una scelta tecnica, ma un investimento nella nostra pace e serenità.

Il futuro del mercato immobiliare

L’Italia, con il suo inestimabile patrimonio edilizio, è il luogo ideale per questo tipo di “ricucitura” tra passato e futuro. È qui che gli antichi muri possono abbracciare le moderne tecnologie, creando dimore che uniscono il comfort del nuovo con il fascino dell’antico. Il mercato immobiliare sostenibile è in crescita e si basa sulla convinzione che il lusso vero non sia solo una questione di prezzo, ma di emozioni, di storia e di profondo rispetto per noi stessi e per il mondo che ci circonda.

Una scelta di cuore e di futuro, oltre la speculazione. Il dibattito non riguarda solo le normative, ma tocca l’anima stessa dell’edilizia. Per troppo tempo il mercato è stato dominato da pratiche speculative che hanno visto nel “nuovo” l’unica via per il profitto, ignorando il valore inestimabile del patrimonio esistente. Eppure, a livello europeo, cresce il coro di architetti, urbanisti e accademici che sostiene con forza la necessità di un cambio di rotta.

I loro studi dimostrano che il retrofit e la rigenerazione urbana non sono solo un’opzione, ma la più grande risorsa in termini di risparmio energetico e riduzione delle emissioni. Sottolineano che il recupero dell’esistente non è un lusso, ma una necessità per la sostenibilità del nostro continente.

La Carta Europea del Patrimonio Architettonico definisce chiaramente l’uso di questo patrimonio come una risorsa economica, sottolineando che la sua conservazione non è un costo, ma un investimento che genera valore, creando un ambiente più vivibile e una maggiore sicurezza urbana.

Questa visione va oltre il profitto immediato e ci invita a guardare al futuro con responsabilità. L’Italia, con la sua storia millenaria e la sua ricchezza architettonica, è il luogo ideale per guidare questa rivoluzione. Il restauro e la riqualificazione non sono solo un modo per rispettare gli standard europei, ma per onorare il nostro passato e costruire un futuro che sia davvero a misura d’uomo e in armonia con l’ambiente.

Che cos’è il Retrofit? Il termine retrofit può sembrare tecnico, ma il suo significato è semplice e affascinante: si tratta di un “abito su misura” per le vecchie case. Immagina di prendere un’abitazione costruita decenni fa e di aggiornarla con le migliori tecnologie di oggi. Non è solo una semplice ristrutturazione, ma una profonda riqualificazione che la rende più efficiente e confortevole. Il retrofit, infatti, non si limita a un ritocco estetico, ma agisce in profondità: migliora l’isolamento delle pareti e del tetto, installa sistemi di riscaldamento all’avanguardia (come le pompe di calore) e integra fonti di energia rinnovabile. Il risultato è una casa che non spreca energia, che offre il massimo comfort e che rispetta l’ambiente, senza perdere il suo fascino storico.

Se il retrofit è lo strumento tecnico, la Carta Europea del Patrimonio Architettonico è la filosofia che lo guida. Firmata a Amsterdam nel 1975, questa carta non è solo un documento burocratico, ma una dichiarazione d’amore per la storia e la cultura del nostro continente. Il suo principio fondamentale è che il patrimonio architettonico non è un peso da conservare, ma una risorsa vitale che appartiene a tutti. La carta sottolinea che il recupero e la manutenzione di questi edifici non sono un costo, ma un investimento intelligente che genera valore economico, sociale e culturale. In sostanza, invita i Paesi europei a vedere nei loro vecchi edifici non dei ruderi, ma delle opportunità per un futuro sostenibile, che ricuce il passato con il presente e diminuisce il consumo di suolo.

Il futuro immobiliare non è un’onda che investe solo il nostro paese, ma una marea che sta sollevando l’intera Europa. È una consapevolezza crescente, un coro di voci che chiede case più sane, più sostenibili, più in armonia con il pianeta. I dati recenti mostrano una ripresa in atto: dopo un periodo di incertezza, il fatturato immobiliare medio europeo è in crescita, e l’Italia si distingue con previsioni particolarmente ottimistiche, superando persino Paesi come Francia e Germania in termini di aspettative di crescita.

Questo risveglio è guidato da una domanda crescente di abitazioni in linea con la nuova visione energetica europea, un percorso che spinge a superare l’inefficienza per abbracciare il comfort e il rispetto per l’ambiente. L’obiettivo è chiaro: rendere il patrimonio edilizio più efficiente, con scadenze precise per ridurre i consumi. Se da un lato ciò impone una sfida, in particolare per i Paesi con un patrimonio immobiliare più datato come il nostro, dall’altro crea un’enorme opportunità.

L’Italia: cuore storico, visione futura. A differenza di molti paesi europei, dove i prezzi delle case sono cresciuti vertiginosamente nell’ultimo decennio, l’Italia ha visto una crescita più contenuta. Questo, che a prima vista potrebbe sembrare uno svantaggio, si rivela in realtà un’opportunità unica. Significa che il nostro mercato ha ancora ampi margini di rivalutazione, specialmente per gli immobili che subiscono una riqualificazione energetica.

Il futuro del mercato immobiliare

La nuova visione energetica europea crea una polarizzazione nel mercato: gli immobili più vecchi, non efficienti, rischiano una svalutazione, mentre quelli riqualificati o di nuova costruzione vedranno il loro valore aumentare. Questo spinge i proprietari e gli investitori a guardare al restauro non più come a una spesa, ma come a un investimento intelligente che garantisce una rivalutazione futura e un risparmio energetico immediato.

In questo scenario, l’Italia si posiziona come protagonista. Mentre le grandi capitali europee si focalizzano su nuove costruzioni futuristiche, il nostro paese può guidare la rivoluzione del restauro. La bellezza dei nostri borghi, la storia delle nostre città, possono abbracciare le moderne tecnologie, creando dimore che uniscono il comfort del nuovo con il fascino dell’antico. È questa “ricucitura” tra passato e futuro che rende il nostro mercato unico e affascinante agli occhi del mondo intero, è un filo che attraversa ogni generazione, pur con sfumature diverse.

Per i Boomer, la casa è un sogno di vita, spesso una dimora che porta con sé un passato glorioso. Vedono il restauro di un’abitazione non solo come un investimento, ma come un atto d’amore che unisce la storia dell’edificio con il comfort delle tecnologie moderne, senza consumare nuovo suolo. Per loro, il lusso non è una questione di prezzo, ma di emozioni e di profondo rispetto per sé stessi e per il mondo circostante.

La Generazione X, ponte tra tradizione e innovazione, cerca un rifugio che offra sicurezza, benessere e bellezza. Sono particolarmente attenti alla riqualificazione di immobili degli anni ’60-’80, che considerano un patrimonio di fascino ed emozioni da trasformare in un luogo personale e intimo. Apprezzano la fusione tra antico e nuovo, in cui le moderne tecnologie come l’isolamento termico e i pannelli solari invisibili si integrano nella struttura senza comprometterne l’identità.

E poi c’è la Generazione Z, il cuore pulsante di questa trasformazione. Cresciuti con una profonda consapevolezza ambientale, cercano un’abitazione che sia in armonia con l’ambiente e abbia un impatto minimo sull’ecosistema. Per loro, l’abitare consapevole è un percorso emozionale per riconnettersi con la natura e con sé stessi, in cui la casa deve rispettare il pianeta e nutrire anche l’anima. Non è una moda, ma una scelta che si riflette nella ricerca di dimore che utilizzano fonti rinnovabili e ottimizzano le risorse idriche.

Ma cosa succederà con la Generazione Alpha? I futuri acquirenti nasceranno e cresceranno in un mondo in cui la sostenibilità non sarà più un’opzione, ma un requisito fondamentale. Si aspetteranno immobili che siano non solo “green” ma anche smart, in cui la tecnologia si fonde con l’efficienza energetica e il comfort olistico. La ricerca di una casa non sarà solo per un tetto sopra la testa, ma un viaggio per trovare un luogo che rifletta i loro valori più profondi, dove ogni dettaglio è pensato per la loro serenità.

Le tre tendenze guida del mercato

  • Diversi report e articoli di settore (come quelli di Infobuild e Deloitte) confermano che la sostenibilità, l’efficienza energetica e i criteri ESG (Environmental, Social, Governance) sono al centro delle nuove dinamiche del mercato immobiliare. Un’ampia porzione del patrimonio edilizio italiano si trova in classi energetiche basse (F e G) e necessita di riqualificazione per aumentare il proprio valore e rispettare le nuove normative europee, come la Direttiva “Case Green”.
  • Restauro sostenibile: La riqualificazione degli immobili esistenti è considerata una strategia fondamentale per la sostenibilità. Esistono metodi e soluzioni specifiche per migliorare l’efficienza energetica sia degli edifici storici che delle costruzioni più recenti (anni ’60-’80), senza comprometterne l’integrità strutturale e architettonica.
  • Abitare consapevole: Il concetto di “abitare consapevole” è ampiamente dibattuto e collegato a temi come la riduzione dei rifiuti, l’uso di materiali naturali, la gestione intelligente dell’energia e la ricerca di un benessere olistico legato all’ambiente domestico.

Il futuro del mercato immobiliare: verso un abitare consapevole e sostenibile, è inserito nel Q19 Sostenibilità e Territori: un futuro da abitare che sarà pubblicato a breve. Per leggere tutti i Quaderni cliccare QUI

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La Carta di Budoia

La Carta di Budoia di Alessandro Pellegrini già Sindaco Comune di Capizzone (BG)

La Carta di Budoia è un documento volontario sottoscritto da Comuni e reti di Comuni alpini, firmata il 24 giugno 2017 a Budoia (Friuli ‑ Venezia Giulia) durante la conferenza Internazionale dell’associazione Alleanza nelle Alpi in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e il Segretariato della Convenzione delle Alpi.

La Carta di Budoia - foto delle Alpi viste dall'aereo

Si pone come obiettivo quello di fare delle Alpi un territorio esemplare in materia di adattamento e prevenzione dei cambiamenti climatici. La Carta si ispira a strategie e accordi di multilivello, provenienti dalla governance globale (COP21 e COP22), europea (Strategia UE di adattamento, Comunicazione COM 2013/216), nazionale (Strategia Nazionale di Adattamento, PNACC Italia) e alpina (dichiarazioni e linee guida della Convenzione delle Alpi)

I firmatari della Carta quali Comuni alpini e relative associazioni si impegnano a:

  • Valutare rischi e opportunità climatiche sul proprio territorio comunale, accrescendo la comprensione dei possibili impatti locali.
  • Analizzare e interpretare politiche e misure amministrative per valutarne l’efficacia nella gestione attuale e futura degli impatti del cambiamento climatico, al fine di sviluppare una “strategia locale di adattamento” coerente con piani regionali, nazionali ed europei.
  • Integrare misure di adattamento nelle attività di pianificazione comunale (urbanistica, gestione del territorio, ecc.).
  • Intensificare la cooperazione istituzionale, dialogando e collaborando con altri Comuni, enti regionali, nazionali, europei e internazionali allo scopo di condividere conoscenze, strumenti e buone pratiche.
  • Promuovere la consapevolezza pubblica, stimolando il dibattito tra cittadini, residenti e visitatori sui rischi e le opportunità legate ai cambiamenti climatici a livello locale.
  • Cercare risorse finanziarie, attraverso progetti e finanziamenti a vari livelli, per sostenere le attività di adattamento climatico.
  • Sperimentare azioni-pilota e misure di resilienza insieme ad altri livelli di governo territoriale, in modo da rendere l’adattamento concreto e replicabile in contesti simili.

In generale, perseguire l’obiettivo di rendere le Alpi un modello virtuoso di prevenzione e adattamento ai cambiamenti climatici.

Come si è sviluppata la Carta di Budoia

La Carta di Budoia - il manuale

È stato lanciato un progetto specifico per applicare la Carta di Budoia in alcune aree-pilota: Morbegno (Bassa Valtellina), Capizzone (Valle Imagna), Alte Valli Chisone e Susa, Monte Bianco, e Alto Livenza.

L’obiettivo era valutare la coerenza tra strumenti locali, regionali e nazionali e suggerire misure pratiche da adottare nei diversi contesti alpini.

Sono stati organizzati eventi istituzionali a livello locale per condividere i risultati e stimolare l’adesione di altri Comuni. Con i dati raccolti e le idee sviluppate è stata pubblicata una guida: il “Manuale di Budoia”.

Nel 2025, la Fondazione Lombardia per l’Ambiente ha pubblicato un Manuale di attuazione della Carta, pensato per supportare tecnici e uffici comunali nel tracciare i profili di rischio, valutare la validità degli strumenti di pianificazione e definire modalità operative per l’adattamento locale.

Il Manuale rende lo spirito della Carta di Budoia operativo, coerente con il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e le linee guida alpine.

Per il biennio 2025‑2026, con l’Italia alla Presidenza della Convenzione delle Alpi, Carta e Manuale di Budoia saranno punti di riferimento per temi chiave come biodiversità, ghiacciai/permafrost, qualità della vita in montagna, e cooperazione trans montana.

Alcuni Comuni (anche in Valle d’Aosta, come Courmayeur nel 2019 con ben 19 Comuni valdostani firmatari) hanno aderito formalmente alla Carta, spesso tramite delibere amministrative e con dialogo istituzionale

Il Comune di Capizzone (BG) è uno dei primi firmatari italiani, insieme a Budoia, Ostana e Usseaux.

Capizzone – Comune pilota nella Carta di Budoia

Area pilota per l’adattamento climatico

Capizzone è stato individuato come area pilota per lo sviluppo di una metodologia che consente ai Comuni alpini italiani di selezionare e adattare misure di resilienza climatica coerenti con il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e con le linee guida alpine.

Grazie alla sua partecipazione è stata condotta un’analisi critica della coerenza tra gli strumenti normativi/regionali e gli strumenti di pianificazione locali.

È stata fornita all’Amministrazione comunale una guida operativa per individuare e implementare azioni efficaci di adattamento. Sono stati promossi eventi istituzionali per restituire i risultati ottenuti e favorire l’adesione di altri Comuni.

Nel 2017, Capizzone ha sottoscritto formalmente la Carta, impegnandosi a: valutare rischi e opportunità climatiche per il territorio comunale; integrare misure di adattamento nei processi di pianificazione; promuovere consapevolezza pubblica e dialogo istituzionale.

A seguito del processo di adesione alla Carta di Budoia è stato finanziato dal Ministero dell’Ambiente una nuova ricerca volta allo sviluppo economico locale chiamato “Compass” confrontandosi con una analoga esperienza sviluppa nella “Biosfera del Vorarlberg” in Austria.

Per garantire uno sviluppo che sia coerente nel tempo e fondato su basi solide, è importante che il Comune individui una vocazione che sia chiara e coerente con il proprio territorio. Una volta definita la vocazione deve stabilire delle linee di azione che riguardino i diversi ambiti che vanno a toccare tutti i servizi che il Comune deve fornire ai vari stakeholder (residenti, turisti, operatori economici dei vari settori, etc.).

Quindi, se la vocazione di Capizzone vuole essere una vocazione legata alla sostenibilità, è importante che prenda come riferimento l’AGENDA 2030 dell’ONU, che esplica chiaramente come il concetto di sostenibilità non sia soltanto legato all’ambiente, ma coinvolga tutti i settori. L’Agenda è costituita da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – inquadrati all’interno di un programma d’azione più vasto costituito da 169 target o traguardi, ad essi associati, da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030.

Almeno alcuni di essi dovrebbero essere presi come riferimento primario ed essere posti come obiettivo imprescindibile da raggiungere entro il 2030, in modo tale che il Comune di Capizzone realizzi un percorso coerente verso la sua vocazione di sostenibilità.

Standard di servizi

Ovviamente il Comune non ha competenza diretta su tutti gli ambiti che permettono di offrire servizi alla comunità, come per esempio l’accesso ai vari comuni vallari, la cui strada primaria è sotto il controllo della Provincia di Bergamo, o il servizio pubblico anch’esso non svolto direttamente dal Comune, o le reti idriche, fognaria ed elettrica, tutte infrastrutture su cui il Comune non ha un controllo diretto. Nonostante ciò, è comunque importante che l’Amministrazione valuti quali sono gli standard minimi da garantire e monitori se vengono rispettati. In caso gli standard non vengano garantiti gli amministratori devono fare pressione, aprire tavoli di confronto, magari anche in rete con gli altri Comuni dell’area vallare, per riuscire a ottenere un incremento degli standard offerti sul territorio in modo tale che si possa riuscire ad incrementare l’attrattività dell’area.

Proprio per questo è importante che l’Amministrazione, dopo aver individuato la vocazione di Capizzone, individui tutti i soggetti che possono essere sulla stessa linea e che condividono le stesse priorità, in modo totale o parziale, così da poter costruire delle reti che possano incrementare le risorse a disposizione, sia a livello di persone sia a livello di risorse economiche e, quindi, permettano una più facile attuazione di quello che è il percorso da seguire.

La partecipazione a bandi

Molto spesso i Comuni, soprattutto quelli più piccoli che hanno risorse minori, colgono occasioni e quindi realizzano progetti, in occasione di bandi. Dal punto di vista pratico ciò significa che i progetti, e le eventuali reti ad essi connessi, vengono creati sotto la spinta della partecipazione al bando, con tempi ridotti, che non permettono di strutturare appieno la progettualità e di cogliere al meglio le potenzialità che potrebbe esprimere. Proprio per questo è importante riuscire ad invertire l’ottica, ovvero tracciare un percorso di sviluppo e intessere già delle reti solide, in modo tale che i progetti e le reti siano chiari e sviluppati appieno. Fatto ciò, si andranno a cercare i fondi specifici, nonché a stimolare i soggetti che possono erogare dei fondi, come possono essere per esempio Regione, Comunità Montana, o le fondazioni, senza dimenticare i fondi dell’UE.

In questo senso bisogna invertire l’ottica, ovvero non realizzare ciò che ci permettono i bandi, ma sfruttare i bandi per ciò che vogliamo realizzare. In questo modo si eviterà anche di portare sotto stress le risorse, che sono spesso limitate, perché si possono sovrapporre tempistiche di bandi diversi a cui si vuole partecipare, rendendo quindi di difficile attuazione per gli uffici tutto ciò che si vorrebbe fare, arrivando ad essere costretti a rinunciare all’opportunità di partecipare ad alcuni bandi, anche se si ritengono primari rispetto alla propria programmazione, così come a volte si perdono i contributi perché l’attuazione viene svolta in modo non corretto, oppure si effettua una rendicontazione non in linea con le richieste del bando.

Il Local Development Compass

Il Local Development Compass (La bussola per lo sviluppo locale avviata dalla passata Amministrazione) è uno strumento finalizzato alla creazione di un piano di sviluppo sostenibile a livello comunale. Quasi tutte le aree di azione dei Comuni sono interessate da rapidi sviluppi e complesse interazioni. La protezione del clima e l’adattamento ai cambiamenti climatici rappresentano oggigiorno sfide aggiuntive, e ciò richiede una rete di dipartimenti più forte. Allo stesso tempo, tali sfide aprono nuove strade per contribuire attivamente al miglioramento della qualità della vita e del livello di sostenibilità.

Il Local Development Compass offre un’analisi strutturata che riunisce tutti i campi di azione di un Comune e li considera congiuntamente.

Sulla base della situazione attuale, le misure interdipartimentali vengono sviluppate e ordinate per priorità.

Valutazioni periodiche consentono di verificare l’avanzamento e adattare la pianificazione alle esigenze locali.

Processi ben definiti consentono di sviluppare una pianificazione flessibile e reattiva all’evolversi delle priorità. Ciò promuove una pianificazione lungimirante e sostenibile su orizzonti temporali più lunghi.

Nella bussola per lo sviluppo locale sono stati definiti in totale otto campi d’azione per la valutazione e la pianificazione generale e interdipartimentale.

Informazioni, cifre chiave ed esempi di buone pratiche per i singoli campi di azione, sono disponibili sul sito del progetto: https://ld-compass.org/

Lo scopo è quello di fornire spunti e suggerimenti per l’implementazione pratica e facilitare lo scambio di esperienze con altre comunità.

Il Local Development Compass è uno strumento sviluppato appositamente per i territori alpini e montani, per questo si può definire ideale per supportare la strategia di sviluppo di un comune montano come Capizzone.

Gli elementi e gli obbiettivi essenziali per lo sviluppo locale che sono stati analizzati si possono così sintetizzare:

PROTEGGERE E SVILUPPARE LA NATURA, L’AMBIENTE E IL PAESAGGIO

Il paesaggio naturale e culturale delle zone montuose, come Alpi e Prealpi, è la base della vita e dell’economia di chi ci abita, preservarlo e svilupparlo in modo sostenibile è un compito centrale per le istituzioni che le rappresentano. La creazione di aree protette, l’implementazione di azioni mirate a mitigare le conseguenze del cambiamento climatico in modo rispettoso dell’ambiente, la promozione della mobilità sostenibile per ridurre il traffico motorizzato individuale, rappresentano la base per uno sviluppo sostenibile e duraturo.

RENDERE LE COMUNITÀ ATTRAENTI COME AREE ECONOMICHE

Attraverso uno sviluppo economico sostenibile, le comunità montane possono creare le basi per adattarsi meglio alle sfide future. Il rafforzamento e lo sviluppo di una gamma di servizi sulla base di un’offerta commerciale a kmØ permettono di creare nuovi posti di lavoro e mantenere quelli esistenti. Allo stesso tempo, bisogna sensibilizzare e motivare la popolazione locale a dare un contributo alla creazione del valore locale per ottenere una crescita organica della domanda interna.

MIGLIORARE LA QUALITÀ DELLA VITA DELLE PERSONE NELLE ALPI

Un’interazione sociale equa, basata sulle pari opportunità, rafforza la coesione in una comunità: riuscire ad incoraggiare i cittadini a partecipare alla vita sociale rappresenta un obiettivo ulteriore per l’attuazione di strategie innovative e progetti pilota soprattutto per i servizi di interesse pubblico come la mobilità, l’istruzione e la salute.

La Carta di Budoia - Alessandro Pellegrini - Alleanza nelle Alpi
CONTRIBUIRE ALL’ATTUAZIONE DEI PRINCIPI CHE STANNO ALLA BASE DI “ALLEANZA NELLE ALPI”

Il lavoro della rete comunitaria si basa sui principi dell’Alleanza nelle Alpi, un accordo internazionale tra i paesi alpini e l’UE per lo sviluppo sostenibile della regione alpina. La loro attuazione dovrebbe essere piena di vita: tutti possono contribuire a plasmarla – nella comunità. Alleanza nelle Alpi è una delle 16 organizzazioni di osservatori ufficiali. La rete di comunità è attivamente coinvolta negli organi della Convenzione delle Alpi, partecipa allo scambio tra gli Stati alpini e fa rete con le altre organizzazioni di osservatori.

A seguito di una dettagliata analisi dei dati raccolti ed il confronto con le realtà locali ha portato le seguenti conclusioni.

Per realizzare una programmazione di medio e lungo periodo sarebbe importante realizzare un piano marketing che vada ad analizzare più nel profondo il contesto non solo specifico del comune, ma anche quello ampio in cui va a inserirsi, le caratteristiche su cui si può fondare lo sviluppo e, quindi, sia i punti di forza che di debolezza, così come le opportunità le minacce, per chiarire quali sono tutte le attività da svolgere in modo più puntuale.

Sarebbe interessante che il piano marketing fosse realizzato con i Comuni che saranno individuati come soggetti che condividono le stesse priorità e che hanno la stessa volontà di sviluppo, in modo tale che venga preso in considerazione un’area più ampia rispetto al singolo comune di Capizzone e possa perciò risultare più attrattiva e abbia più capacità di azione sia dal punto di vista di risorse economiche, che delle risorse umane disponibili, oltre che con un’offerta più ampia (commerciale, turistica, naturalistica, i servizi, etc.).

È importante sottolineare che il piano marketing permette di indagare anche il punto di vista di tutti gli stakeholder del territorio tramite interviste dirette o indagini campionarie. Si riesce in questo modo ad avere un punto di vista che non è esclusivamente autoreferenziale, come quello che presenta questa metodologia di screening, perché avere anche il punto di vista degli altri soggetti che operano sul territorio e che vivono il territorio è fondamentale per raccogliere spunti interessanti che possono allargare la visione per uno sviluppo che vada a soddisfare tutti coloro che vivono e investono nell’area.

A questa iniziativa di base si sommano poi quelle negli ambiti specifici, come ad esempio un migliore monitoraggio delle abitazioni e delle famiglie (anche mediante una differente strutturazione delle tasse locali) e una maggiore adozione di processi e strumenti digitali di gestione delle informazioni.

La Carta di Budoia è inserita nel Q19 Sostenibilità e Territori: un futuro da abitare che sarà pubblicato a breve. Per leggere tutti i Quaderni cliccare QUI

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Abitare il turismo

Abitare il turismo o essere abitati dal turismo?

In questo articolo espanderò i concetti legati all’overtourism, già enunciati durante il Festival ASviS 2025, concentrandomi su due aspetti principali:

  • La mancanza di abitazioni per i residenti a causa della proliferazione di B&B e strutture di locazione turistica.
  • La montagna, con luoghi che rischiano l’abbandono in contrapposizione alla narrazione turistica legata a una dimensione favolistica.
Abitare il turismo - vista di Tambre in Alpago

Ormai è sotto gli occhi di tutti, ed è diventato un argomento di forte risonanza, il contrasto tra comunità locali e turisti, perciò, tra chi abita e chi occupa per brevi periodi lo spazio abitativo. Si tratta di esigenze completamente diverse che devono imparare a coesistere: il turismo è una risorsa economica fondamentale, ma un eccesso di turismo impedisce persino ai visitatori di godere appieno dei luoghi che scelgono di esplorare. Questo aspetto dei turisti stessi che criticano il troppo turismo mi ha colpita molto e l’ho sentito per la prima volta in un’intervista a Ada Colau, ex sindaca di Barcellona, che ha iniziato a gestire la situazione urbana/turistica della città nel 2015. L’approccio iniziale è consistito in  un questionario/ sondaggio sottoposto ai turisti stessi. Cosa è emerso? Apprezzamenti per la città perché bella ma… troppo turismo. Sentire dire dagli stessi turisti che c’è troppo turismo, inquieta un po’. [1]

Il caso Barcellona

A Barcellona la tensione dei cittadini verso i turisti è palpabile, visto che hanno “sparato” ai malcapitati visitatori con le pistole ad acqua. Una tensione simile inizia a essere percepita anche a Venezia, dove comunque, ed è un parere personale, l’amministrazione pubblica continua solo a “ciacoare” (chiacchierare) e il biglietto d’ingresso è diventato un ulteriore balzello che mi fa venire in mente “Non ci resta che piangere” con la gag “Quanti siete, che volete? Un fiorino”.

Sarebbe forse il caso di iniziare ad ascoltare le parti coinvolte, sia residenti che turisti? Perché non usufruire di esperienze già fatte in altre città?  Con Venezia mi fermo qui, e torno al caso Barcellona che utilizzerò come esempio da tenere in considerazione.

A Barcellona è stato scelto di cambiare modello turistico, sulla scorta anche dei dati del sondaggio citato all’inizio, e di attuare un forte intervento pubblico per non lasciare il settore in mano solo all’industria privata, perché sì, il turismo è un’industria gestita soprattutto da grossi gruppi privati.

Il concetto portato avanti dall’amministrazione è semplice: gli appartamenti servono anche per viverci, non solo per i turisti. Se spariscono i residenti, spariscono anche i panifici, i negozietti: in breve, sparisce quella che è l’anima della città. E su questo concetto di anima, concetto inclusivo – contrapposto a identità, concetto divisivo – dei luoghi, ho scritto io stessa più volte.[2] Una città priva di anima diventa semplicemente un marchio e scompare.

L’amministrazione ha pertanto iniziato a stringere sugli affitti brevi e a sviluppare un piano urbanistico anche per l’accoglienza. La città deve essere di tutti, è un bene comune e non può essere depredata. Si sono perciò sviluppate delle regole specifiche che anche il nuovo sindaco, Jaume Collboni, sta portando avanti. Non si possono affittare appartamenti turistici in edifici abitati anche da altri condomini, e non sono consentite locazioni turistiche nelle zone centrali. Le licenze attive scadranno a novembre 2028 e non verranno rinnovate. Gli affitti turistici su Airbnb sono consentiti solo con una licenza turistica (HUT), obbligatoria da esporre negli annunci, pena multe fino a 60.000 €. Nuove licenze potrebbero essere concesse solo in aree periferiche meno turistiche. Dal 2029 ci si attende di poter reinserire circa 10.000 alloggi nel mercato residenziale.

Nei proprietari di immobili scatta la domanda: “Ma allora come, tu Comune mi dici cosa devo fare della mia proprietà?” Sì, perché, come si diceva, la città è un Bene Comune. D’altro canto, però, “proprietario, non ti lascio solo”. Ada Colau, durante la sua amministrazione, ha stabilito regole specifiche per chi affitta a canone concordato e, a supporto dei proprietari, il Comune ha istituito anche una garanzia per morosità o per mancanza di affittuari.

Il resto d’Europa

Come si stanno muovendo altre città europee? Molte metropoli stanno introducendo normative più stringenti per contrastare l’overtourism e la carenza di alloggi. Non per questo non si riconosce che gli affitti brevi siano una risorsa economica. Ma, come sempre, le risorse vanno gestite.

A Madrid, il “Piano Reside” del 2024 vieta nuove licenze per alloggi turistici in edifici residenziali del centro storico, consentendole altrove solo in edifici con accesso indipendente. È obbligatoria la registrazione nel Registro de Empresas Turísticas, con esposizione del numero di registrazione, pena sanzioni fino a 50.000 €.

Ad Amsterdam, dal 2025 è possibile affittare la propria residenza principale per un massimo di 30 notti all’anno (che diventeranno 15 nei quartieri centrali dal 2026). È necessario un permesso per affitti superiori, con un limite di quattro ospiti e notifica obbligatoria al Comune per ogni soggiorno.

Berlino ha regolamenti severi: dal 2018, è consentito affittare la propria residenza principale per brevi periodi, ma con limiti per le seconde case e l’obbligo di un numero di registrazione. Per affittare un intero appartamento è richiesto un permesso ZAS dal municipio, con sanzioni fino a 100.000 € per uso non autorizzato. L’affitto di una stanza nella propria abitazione principale (meno del 50% della superficie) non richiede il permesso ZAS, ma necessita comunque di notifica al comune e numero di registrazione.

A Parigi, il limite per l’affitto della residenza principale è di 120 giorni all’anno, con l’obbligo di registrazione municipale e l’ottenimento di un numero di registrazione da esporre negli annunci. Le sanzioni per la violazione delle regole sono severe, con multe fino a 20.000 € per la falsificazione dei dati.

Abitare il turismo - vista della Senna e della Tour Eiffel

A Bruxelles, il Comune sta valutando atti amministrativi per limitare l’uso turistico degli immobili nel centro storico. È obbligatorio dichiarare l’attività e ottenere un numero di registrazione regionale, oltre a rispettare standard di sicurezza e igiene. [3]

In Italia per gli affitti turistici brevi è obbligatorio ottenere il CIN – Codice Identificativo Nazionale, che si richiede tramite la Banca Dati Nazionale delle Strutture Ricettive e degli Immobili in Locazione Breve (BDSR).  Per garantire la sicurezza degli ospiti, è necessario che l’immobile sia dotato di dispositivi anti-monossido ed estintori. Le presenze vanno comunicate alla Questura tramite il portale Alloggiati Web entro 24 ore dall’arrivo. È fondamentale verificare le eventuali ulteriori restrizioni locali imposte dai Comuni e la presentazione della SCIA se l’attività è svolta in forma imprenditoriale.  I contratti di locazione turistica di durata inferiore a 30 giorni non vanno registrati. Al contrario, quelli di durata superiore ai 30 giorni, o contratti multipli che complessivamente superano i 30 giorni nello stesso anno, richiedono la registrazione all’Agenzia delle Entrate.

A inizio anno la tendenza degli affitti brevi ha subito una frenata soprattutto nelle grandi città. Le ragioni sono molteplici, tra cui le nuove regole introdotte dal Ministero del Turismo (la più importante è il CIN, diventato obbligatorio e operativo dal 1 gennaio 2025) e l’incertezza economica. I turisti sembra preferiscano prenotare a ridosso della partenza per trovare prezzi più competitivi. Per riuscire a capire la tendenza turistica del 2025 è comunque necessario attendere i dati consolidati dopo la fine dell’anno.

Dal troppo turismo all’abbandono dei luoghi

Se da una parte vediamo un grande affollamento turistico, dall’altra vi sono luoghi in cui il turismo scarseggia, come scarseggiano anche le case per i residenti. Mi riferisco in particolare ai luoghi di montagna. Code per andare a Cortina o alle Tre Cime di Lavaredo, mentre vi sono luoghi come l’Alpago, molto belli ma lontani dai grandi flussi turistici. Per fortuna, mi viene da dire…  

Abitare il turismo - vista di Santa Croce  al Lago

La montagna è un mondo a sé. Dopo il Covid e con Instagram e affini si è assistito all’assalto di orde in ciabatte – che poi cadono lungo i sentieri e chiamano gli elicotteri del soccorso – che vogliono andare in un luogo per scattarsi la foto e postarla. Potrebbero essere ovunque, l’importante è la foto. In questi contesti è entrata purtroppo la dinamica della narrazione, o se preferite lo storytelling. Prendo da un mio articolo precedente:

Il modo in cui la montagna viene raccontata ha un impatto significativo sulla percezione che ne hanno le persone e sul tipo di turismo che attrae.

“Attenti al lupo”: una narrazione, legata a paure ancestrali e a una visione della montagna come luogo selvaggio e pericoloso, può allontanare un certo tipo di turismo e non valorizza la ricchezza della fauna e il ruolo ecologico del lupo. Aggiungo, anzi, che mette in pericolo il povero lupo.

“Paese delle fate”: una narrazione idilliaca e stereotipata che non coglie la complessità e le sfide reali della vita in montagna, oltre a poter generare aspettative irrealistiche nei turisti.

In montagna gli “attori” legati al turismo sono almeno tre:

  • Comunità locali ospitanti.
  • Seconde case, dove abbiamo persone “quasi locali” perché vi trascorrono lunghi periodi, oppure case vuote e molto spesso abbandonate.
  • Turisti stagionali o giornalieri.

Mettere d’accordo queste identità così diverse non è una cosa semplice. Il mio parere è piuttosto elementare: perché non iniziare a proporre dei questionari mirati? Partire da dati certi può essere un buon inizio per creare un’offerta che sviluppi i territori senza esporli al rischio dell’overtourism e per consentire alle comunità ospitanti di vivere il loro territorio. Per una attività di questo tipo devono necessariamente entrare in gioco le amministrazioni locali.

Cambiare la narrazione

Quale tipo di turismo vogliamo? Se da un lato si rischia il “modello Venezia” anche sulle vette, dall’altro si rischia anche lo spopolamento delle località meno note. Si può arrivare a un equilibrio e, se si può, cosa serve?

Tanto per cominciare, una pianificazione con un marketing territoriale fatto bene. E fate attenzione: ho detto marketing e non comunicazione. Un piano di marketing che tenga conto anche dell’impatto ambientale e degli stakeholder, della stagionalità. Solo dopo aver pianificato si può procedere a una comunicazione mirata e, se le linee strategiche sviluppate a monte sono chiare, anche la comunicazione avrà un impatto positivo sia sul target individuato che sul territorio.

Degli ottimi esempi che ho conosciuto direttamente sono i campionati di sci d’erba[4] che si svolgono a Tambre d’Alpago, che puntano a destagionalizzare l’offerta e ad attrarre il turismo sportivo. Altri esempi, particolari e non trascurabili, sono i set cinematografici realizzati in zone poco frequentate o conosciute in modo minore. Di recente Ridley Scott era in Cansiglio per il suo nuovo film. Da questo punto di vista temo un po’ l’effetto Instagram, ma la sensazione generale è che le amministrazioni locali siano piuttosto presenti e che gestiscano, o che almeno ci provino, a portare avanti una visione di Bene Comune e a evitare l’effetto Instagram.

Abitare il turismo - Sci d'erba

In questa visione di Bene Comune si inserisce anche il progetto Primavera Casa[5].

Il progetto Primavera Casa mira a ripopolare la Valbelluna – con attività di raccolta dati e consulenza rivolte a proprietari, aziende e comunità locali – affrontando il problema delle numerose case sfitte nella regione. Con una casa su tre non occupata, l’obiettivo è trasformare i paesi in luoghi vivaci e accoglienti, contrastando lo spopolamento e la difficoltà per molte persone a trovare alloggio. L’iniziativa intende riaprire queste abitazioni vuote, creando un futuro più ricco per la comunità e riconoscendo i costi, sia materiali che immateriali, delle case non occupate per proprietari e comunità.

E il turista che ruolo ha in questa storia? Un concetto interessante da cui partire è quello del cittadino temporaneo:

  1. Mi impegno a essere un cittadino temporaneo responsabile.
  2. Ho cura dei luoghi abitati dalla natura e dall’uomo.
  3. Leggo le storie e le memorie attraverso gli occhi di chi le ha vissute.
  4. Ascolto il suono di quello che vedo, le parole di chi vi abita.
  5. Guardo e cerco l’anima di questo luogo, la sua comunità.
  6. Mi nutro dei dialoghi che insieme generiamo.
  7. Condivido il sapere che questa terra mi insegna.
  8. Partecipo al suo futuro, consapevole del passato.
  9. Affido a questo luogo la ricchezza che sono.
  10. Porto con me il cittadino che sono diventato.[6]

Il concetto è bello, ma la sua attuazione non è semplice. Sono almeno tre anni che spingo su questo. In città come Venezia non credo sia attuabile, però si può partire da questo concetto per elaborare – da parte, ancora una volta, dell’amministrazione pubblica – un minimo sindacale di “Manifesto del Turista Rispettoso“, con alcuni punti in comune per tutte le zone turistiche e altri più specifici per le singole aree. Un banale elenco di “DO’s and Don’ts” per rendere la cosa internazionale potrebbe essere un primo passo. Un secondo passo potrebbe essere il coinvolgimento delle strutture ricettive che a loro volta coinvolgono i propri ospiti con questionari brevi e mirati. Inoltre, se partiamo dal fatto che nelle zone meno frequentate gran parte delle strutture ricettive sono a conduzione familiare si potrebbe anche avere un ottimo spaccato della comunità locale.

Questo no, non è difficile da fare, basta volerlo.

Abitare il turismo è inserito nel Q19 Sostenibilità e Territori: un futuro da abitare che sarà pubblicato a breve. Per leggere tutti i Quaderni cliccare QUI


[6] (Decalogo del cittadino temporaneo, Matera 2019)


[5] https://primaveracasa.eu/


[4] Campionati Italiani Assoluti di SuperG e le Finali della Coppa del Mondo FIS di sci d’erba dal 5 al 7 settembre 2025


[3] Lodgify (2025) – Regolamenti affitti brevi – https://www.lodgify.com/blog/it/regolamenti-affitti-brevi-mondo/


[2] “… il concetto di anima che vedo come concetto inclusivo, che accoglie chi arriva ma che abbraccia anche chi abita quei luoghi. Per dirla in altre parole potremmo definirla il Genius Loci, lo spiritello che abita i luoghi.” Grana, A. (2024) – Ma i luoghi hanno un’anima? –  Q18 il prato edizioni

“Parlare di identità può creare divisione- pensate a nazioni, regioni, città diverse ognuna con una propria identità/storie, un senso di appartenenza più al luogo che ai valori che esso rappresenta- l’anima no, è un livello più intimo ed emozionale, valoriale, non può far dividere le persone ma solo unirle.”  Grana, A. (2023) _ Turista o viaggatore? Identità o anima? – Q14 il prato edizioni


[1] Piazza Pulita (2025) La7 https://www.la7.it/100minuti/video/ada-colau-se-non-ci-sono-i-cittadini-non-esiste-la-citta-26-05-2025-597951

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Carbon footprint e carbon neutrality aziendale

Carbon footprint e carbon neutrality aziendale: nuove pratiche di governance delle imprese che scelgono azioni permanenti a favore del clima – articolo di Elisa Gagliardi e Gaia Gentilucci di Uomo e Ambiente progresso sostenibile. L’articolo fa parte del Q13 Art-ica Arte e aziende per il clima del Settembre 2022 a cura di Antonella Grana

Carbon footprint e carbon neutrality aziendale

Le crisi climatiche in corso hanno reso ormai chiara la necessità urgente di un cambiamento della società umana per limitare il riscaldamento globale.

Per realizzare la transizione verso modelli di produzione e consumo a zero emissioni, l’Unione Europea, attraverso l’European Green Deal e l’European Climate Law, ha introdotto a livello comunitario gli obiettivi legalmente vincolanti della neutralità climatica entro il 2050 e della riduzione del 55% delle emissioni nette al 2030 rispetto al 1990. 

Il nuovo Regolamento, oltre a istituire un organismo indipendente abilitato a monitorare i progressi e valutare un carbon budget dell’UE da oggi al 2050, obbliga gli Stati membri a rivedere i propri Piani nazionali per l’energia e il clima, in modo da allinearli con il nuovo target europeo complessivo del 55%. L’Italia, pur non avendo una specifica Legge sul Clima, ha scelto di integrare la tutela dell’ambiente in Costituzione (cfr. Art.9 e 41), formalizzando il suo impegno a contribuire a questo obiettivo vitale.

Per raggiungere questi sfidanti obiettivi il mondo del business deve giocare la sua parte e l’impegno verso la neutralità climatica deve diventare una finalità delle imprese, al pari della generazione profitto.

Le imprese dovranno adottare soluzioni innovative in chiave rigenerativa a lungo termine e in tutte le forme di espressione, dalla governance ai modelli operativi e di business. Lo scenario di business attuale potrebbe costituire una fortissima ondata di trasformazione per le imprese, che devono essere pronte ad agire e competere, stabilendo una direzione chiara e inequivocabile per contribuire a preservare gli equilibri climatici, assumendo un nuovo e innovativo mandato per il futuro.

Come i gas serra influiscono sul cambiamento climatico

I gas ad effetto serra intrappolano il calore emesso dal sole e dalla superficie terrestre e lo rilasciano in atmosfera. A causa delle attività antropiche, le concentrazioni di gas ad effetto serra (specialmente la CO2) sono aumentate, causando un innalzamento della temperatura media del pianeta.  L’allarme per i crescenti livelli di CO2 nell’atmosfera è alto: la concentrazione di anidride carbonica nell’aria nel maggio 2022 ha raggiunto le 421 parti per milione (ppm), cioè il 50% in più rispetto all’epoca pre-industriale ed è caratterizzata da un ritmo di crescita (in aumento) di 2,5 ppm annue. I dati sulla concentrazione di CO2 danno un’idea chiara di quanto sia concreto il rischio di raggiungere il punto di non ritorno nel sistema climatico, per questo motivo è importante intervenire immediatamente e in maniera consistente

Carbon footprint e carbon neutrality aziendale

Carbon Footprint: cos’è

La Carbon Footprint (CF), conosciuta come impronta di carbonio o impronta climatica, è un indicatore che misura la quantità di emissioni di gas ad effetto serra, associate direttamente o indirettamente a un prodotto, un servizio o un’organizzazione ed è espressa in CO2 equivalente.

I gas a effetto serra che vengono considerati, in accordo con il Protocollo di Kyoto, sono:

  • Anidride carbonica (CO2)
  • Metano (CH4)
  • Protossido di azoto (N2O)
  • Idrofluorocarburi (HFCs)
  • Esafluoruro di zolfo (SF6)
  • Perfluorocarburi (PFCs).

Le tonnellate di CO2 equivalente (tCO2e) consentono di valutare l’effetto serra complessivo prodotto da tutti i gas prendendo come riferimento l’effetto serra prodotto dalla CO2, considerato pari a 1.

La Carbon Footprint rappresenta una quantificazione oggettiva delle emissioni, fondamentale per tutte le attività antropiche dato che, come noto, ciò che non si può misurare non si può migliorare.

Come si calcola la Carbon Footprint

Le norme ISO relative ai GHG (Greenhouse Gases) e utilizzate per il calcolo della cosiddetta Carbon Footprint si basano sulla quantificazione, il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni e/o rimozioni di gas GHG e possono essere applicate alle organizzazioni, a processi e prodotti.

Tali norme di riferimento sono costituite principalmente dalle seguenti tre:

  • la norma ISO 14064-1, che descrive i principi e i requisiti per la progettazione, lo sviluppo, la gestione e la rendicontazione degli inventari GHG di un’organizzazione;
  • la norma ISO 14064-2, che specifica i principi e i requisiti per determinare le linee di riferimento necessarie per il monitoraggio, la quantificazione e la rendicontazione delle emissioni di un progetto ed é focalizzata sui progetti che hanno come obiettivo di ridurre le emissioni di GHG (es. efficientamento energetico) o di aumentare la rimozione (es. riforestazione);
  • la norma ISO 14067, che definisce i principi, i requisiti e le linee guida per la quantificazione dell’impronta di carbonio dei prodotti e il cui scopo è di regolamentare la quantificazione delle emissioni di gas a effetto serra associate all’intero ciclo di vita di un prodotto, a partire dall’estrazione delle risorse comprendendo l’approvvigionamento delle materie prime, le fasi di produzione, utilizzo e fine vita.

La Carbon Neutrality

Dopo aver calcolato l’impronta di carbonio, la Carbon Neutrality è uno degli obiettivi più ambiziosi che un’azienda possa intraprendere lungo un percorso di sostenibilità, come impegno concreto a favore del clima.

L’iter da seguire consiste in un percorso in tre step:

  1. quantificazione delle emissioni connesse ad un prodotto, ad un servizio o all’intera organizzazione (Carbon Footprint);
  2. definizione di un progetto di riduzione delle emissioni quantificate;
  3. attuazione del progetto di Carbon Neutrality attraverso l’avvio di azioni di compensazione (es. riforestazione) e/o l’acquisto di crediti di emissione.

Il percorso verso la Carbon Neutrality è un cammino virtuoso attraverso cui l’impresa si impegna ad attuare un’evoluzione progressiva del proprio modello operativo verso un’economia a zero emissioni di gas climalteranti, in linea con gli obiettivi europei di neutralità climatica e quelli nazionali di transizione ecologica. Dopo aver misurato in modo oggettivo e standardizzato l’impatto delle proprie attività, le aziende possono intraprendere una combinazionedi azioni per ridurre le proprie emissioni e di investimenti in progetti di riduzioni delle emissioni realizzati da altri.

Vantaggi per le organizzazioni

Oggi, per organizzazioni di qualsiasi tipologia e dimensione, conoscere e ridurre l’impronta di carbonio è cruciale per perseguire strategie veramente sostenibili: in un contesto economico e sociale che vede premiati fornitori e servizi a basse emissioni, la Carbon Footprint e i percorsi verso la neutralità climatica sono strumenti che valorizzano in termini competitivi le organizzazioni e le loro politiche di responsabilità sociale e ambientale.

Questi percorsi virtuosi hanno enormi potenzialità, che aziende ed organizzazioni di qualsiasi dimensione e settore devono ancora esplorare a fondo.

Le organizzazioni, infatti, promuovendo il proprio impegno ambientale a favore del clima, possono raggiungere significativi vantaggi in termini di:

  • miglioramento delle prestazioni economiche, attraverso azioni di riduzione dei consumi e degli sprechi, ossia in termini generali di efficientamento nell’uso delle risorse e in particolare di quelle energetiche (il cui beneficio risultante nella riduzione dei costi risulta nello scenario attuale un elemento vitale di sostenibilità);
  • miglioramento della brand reputation e rafforzamento distintivo rispetto alla concorrenza, con incremento dell’interesse e della fiducia da parte degli stakeholder di riferimento, sia interni che esterni;
  • miglioramento del posizionamento in termini di rating ESG, che favorisce l’incremento del valore aziendale nel medio-lungo termine.

In cammino verso Carbon Footprint e Carbon Neutrality

Intraprendere un cammino verso la carbon neutrality può richiedere competenze specialistiche che non tutte le organizzazioni hanno a disposizione al proprio interno e che possono quindi ricercare attraverso partner qualificati.

UOMOeAMBIENTE ha deciso di dimostrare il proprio impegno concreto impegnandosi in prima persona per la lotta al cambiamento climatico, prima di diventare promotore dello stesso servizio.

L’azienda ha calcolato le emissioni di gas ad effetto serra emesse nello svolgimento della propria attività di consulenza e ha sottoposto a certificazione da parte di Organismo accreditato l’inventario delle emissioni di GHG ai sensi della ISO 14064:1. Successivamente ha sviluppato un piano di riduzione e compensazione, adottando soluzioni edilizie ed energetiche efficienti per la propria sede e acquistando crediti generati da progetti di produzione di energia rinnovabile, per raggiungere la Carbon Neutrality.  Il progetto di neutralità climatica è stato sottoposto a certificazione ai sensi della norma PAS 2060.

UOMOeAMBIENTE si propone quindi sul mercato come un partner affidabile e qualificato per accompagnare le organizzazioni in percorsi virtuosi, con cui misurare oggettivamente il proprio impatto climatico per intraprendere azioni di miglioramento con cui ridurre i propri consumi (obiettivo ad oggi di importanza vitale per la sostenibilità ambientale ed economica) e con cui costruire processi personalizzati di compensazione, sostenendo ad esempio progetti di produzione di energia rinnovabile o di piantumazione anche su scala locale.

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Sostenibilità e Territori: un futuro da abitare

Sostenibilità e Territori: un futuro da abitare

L’incontro online del 19 maggio 2025 Sostenibilità e Territori: un futuro da abitare si pone al centro di una riflessione sempre più urgente: come conciliare lo sviluppo con la tutela dei nostri territori, in un’ottica di piena sostenibilità. Il futuro che desideriamo abitare passa inevitabilmente per un ripensamento del nostro rapporto con l’ambiente, con le comunità locali e con le risorse che ci circondano.

Sostenibilità e Territori: un futuro da abitare

Programma

Con la moderazione di Ermes Tuon di Progetto Re-Cycle, esploreremo diverse prospettive con il contributo di:

  • Antonella Grana di Aida Marketing&Formazione ci condurrà in una riflessione sul futuro del Turismo e Territorio nelle località montane. Analizzeremo le sfide e le opportunità per un turismo che sappia valorizzare senza snaturare, cercando un equilibrio tra la vivacità dello sviluppo e la qualità della vita delle comunità locali. Possiamo evitare un “modello Venezia” in montagna e contrastare lo spopolamento? La risposta potrebbe risiedere in una pianificazione oculata e partecipativa.
  • Chiara Pegge di CP Real Estate ci introdurrà al Mercato Immobiliare Sostenibile, illustrando i nuovi approcci per un abitare consapevole e rispettoso del territorio. Vedremo come la crescente attenzione all’efficienza energetica, ai materiali sostenibili e all’armonia con il paesaggio stia ridefinendo gli standard del settore immobiliare.
  • Alessandro Pellegrini, Vicepresidente di Alleanza nelle Alpi, ci parlerà dell’importanza di Tutelare e Valorizzare il Patrimonio Locale attraverso la salvaguardia dell’identità territoriale. L’esperienza della Carta di Budoia ci mostrerà come la collaborazione tra comuni alpini possa essere un modello per affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e promuovere la prevenzione e l’adattamento.
  • Infine, Roberto Ervas, architetto ed ecologo umano dello Studio Associato Ecinque, ci offrirà una visione che va Oltre la Mappa, considerando il territorio come un’entità viva e complessa, spesso sofferente a causa degli squilibri antropici. Ci inviterà ad abbracciare modelli ecoumani e biosociali, focalizzandosi su un approccio multisistemico e integrato.

Sostenibilità e Territori: un futuro da abitare è inserito nel contesto del Festival ASviS dello Sviluppo Sostenibile

Questo evento è un invito a confrontarci su come costruire un futuro in cui la prosperità vada di pari passo con la salute del pianeta e il benessere delle sue comunità. Vi aspettiamo online il 19 maggio alle ore 18:00

Per registrarsi compilate il form a questo link https://forms.gle/K44fUVYfeusUrbCn9

Sostenibilità e Territori: un futuro da abitare
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E venne il giorno

E venne il giorno, articolo dal Q9 (2018) che spazia dal film di M. Night Shyamalan alla catastrofe di Vaia per porre l’accento sulla relazione tra essere umano e territorio. Alla mancanza di capacità (e di strategia) di  valorizzarlo – assieme ad arte e cultura – e di renderlo un vero patrimonio per un turismo sostenibile. Vi sono esempi virtuosi? Sì, per fortuna ci sono. Nell’articolo un esempio in Umbria e l’altro in Trentino. Buona lettura.

E venne il girno. Fotogramma dal film
An inexplicable and unstoppable event threatens not only humankind . . . but the most basic human instinct of them all: survival.

New York, Central Park.
Una mattina come tante. Gente che corre,gente che legge, passeggia. La normalità. È in questa normalità che iniziano ad accadere stranezze.
Persone che si immobilizzano improvvisamente, camminano all’indietro, cadono in un palese stato confusionale.
Fino a quando cominciano a togliersi la vita nei modi più assurdi.
Si scatena il panico a New York e nel resto della nazione.


La prima ipotesi è un attacco terroristico ma man mano il contagio si espande in altre città e l’ipotesi viene accantonata. Inizia la fuga dalle città ma, stranamente, anche i centri più piccoli sono contagiati.
Nei protagonisti una illuminazione: si tratta di una neurotossina prodotta dalle piante.
L’attacco come è iniziato si blocca improvvisamente. Scampato pericolo? Non proprio, è stato solo un primo avvertimento. Il film si chiude con una scena simile alla scena iniziale di Central Park, questa volta siamo a Parigi.
L’avvertimento non è stato sufficiente, la Natura si sta difendendo dalla minaccia rappresentata dall’Uomo.

Vaia

Ci spostiamo in Italia, sulle montagne del Nord Est e sulle coste venete. Non ci sono state vittime tra gli uomini ma una strage tra alberi e animali che non hanno trovato scampo alla furia del vento e dell’acqua. Negli occhi di tutti ci sono le immagini degli abeti abbattuti, la foresta dei violini, dove Stradivari si recava a scegliere il legno migliore per costruire i suoi strumenti.

Non tutti si sono resi conto di ciò che avveniva a valle e di quanto i fiumi in piena scaricavano sulle coste. Una montagna di legname, pesci che sono stati portati a riva e una quantità incredibile di plastica. L’intrico di rami e plastica aveva un che di irreale. Se da una parte è stata la furia della Natura, dall’altra l’uomo (italiano) ci ha messo la sua.

E vnne il giorno. Foto spiaggia con detriti e plastica

Strano paese l’Italia.
Un patrimonio ambientale e culturale immenso, mari, monti, laghi, architettura, opere d’arte eppure questa Italia continua a non valorizzare, peggio a distruggere, ciò che ha. Voglio immaginare che il Turismo che faceva capo al Ministero dei Beni Culturali sia stato assorbito dal Ministero dell’Agricoltura per valorizzare meglio il territorio, ma sto solo immaginando (sperando?). Ciò che è nato, hanno commentato alcuni, è il Ministero dell’Agriturismo e, senza nulla togliere agli agriturismi, la visione turistico-culturale-strategica non si capisce quale sia. Magari sono io a non capire, anzi sono sempre io, in molti degli ambienti che frequento,
tentando di portare una voce esterna, tentando di capire cosa vorrebbe un potenziale turista, risulto molto spesso poco allineata al sentire comune.

Uomo, ambiente e arte/cultura

Una diversa fruizione del territorio e della cultura di un territorio non è impresa impossibile.
Lo stesso Progetto Re-Cycle, l’associazione, ha avuto inizio con una rilettura, con il PRIN Re-Cycle Italy, in chiave nuova di quanto c’era
già a disposizione in termini di conoscenze, strutture, territori.
In progetti di questo tipo c’è sempre un grande coinvolgimento di università, di aziende, e poi? Belle conferenze, pubblicazioni (chissà
chi le leggerà, o forse fanno punteggio?) …e? Ci si dimentica sempre di una cosa, la base di tutto, e cioè chi dovrebbe essere il fruitore finale.

Vogliamo chiamarlo cliente? Turista? Più semplicemente persone (penso ai tanti stranieri) con il desiderio di conoscere la grande cultura della nostra penisola? Tanto per chiarirsi: l’Italia offre di tutto. Oltre ai musei più classici e belli, alcuni poco conosciuti (sto pensando al Museo di Este e al patrimonio culturale e artistico che c’è sotto il suolo di Este, il quartiere residenziale Romano in mezzo alle villette anni 6o ne è un esempio) ci sono alternative meno, chiamiamole, istituzionali.

E venne il giorno. Scavi romani in centro a Este

Ci riempiamo la bocca di musei diffusi, musei etnografici, ecomusei ma qualcuno si è mai chiesto una banalità: ma come ci arrivano lì quelle persone? Ci sono collegamenti stradali, mezzi pubblici? Come promuovo il mio museo diffuso, ecomuseo, che non fa parte di un circuito famoso?
In questi ultimi anni ne ho visitati più di qualcuno di questi musei.
Onestamente di alcuni non ricordo proprio nulla. La solita storia trita e ritrita del bel tempo che fu (era poi così bello? Non ne sono sicura), gli antichi mestieri, i giochi di una volta (una volta…quando?). Personale, molto spesso volontario e del tutto inadeguato, carenza di informazioni,
orari di aperture e chiusure “in libertà”. Forte sensazione che una volta finiti i finanziamenti, la cosa sarà fatta morire di morte naturale.


Il rischio che vedo in questo tipo di approccio è trattare la cultura del territorio non come aggregazione di una comunità ma solo come un racconto del “bel tempo che fu” dimenticandosi di lavorare su una cultura come elevazione di un popolo.
Insistere su dei microcosmi, su piccole enclave che sono simili tra loro, ma preferiscono vedere le differenze più delle similitudini, porta a una chiusura, a voler salvaguardare il proprio orto piuttosto che addentrarsi in un mondo più vasto.
Un mondo che invece è fatto di relazioni, di un flusso continuo di dare e avere, di causa ed effetto. I cambiamenti climatici (anche se c’è chi lo nega) che hanno colpito a monte, hanno dimostrato tutta la noncuranza dell’uomo anche a valle, anzi a riva, arenando oltre ai detriti una montagna di plastica.
Era “plasticamente” visibile la colpa della chiusura e “dell’orto”.

Museo della Canapa

Ciò non significa che non vi siano esperienze positive di “riciclo” della cultura di un territorio. Come esempio (quasi) positivo posso citare il Museo della Canapa a Sant’Anatolio di Narco (PG).

Sapevo già qualcosa sulla canapa che avevo intercettato in bioarchitettura e per le bioplastiche, sulla sua funzione di pulizia del terreno e dell’utilizzo pressoché completo di tutte le parti della pianta. Al museo mi si è aperto un mondo anche sui filati di canapa. Alla fine ho anche scoperto di avere un asciugamano della mia bisnonna che era tessuto proprio in canapa.
Belli anche i materiali multimediali, le sale con le attrezzature, buona la crostata in parte impastata con la farina di canapa, suggestiva l’installazione delle Spinning Dolls che ricordava dei dervishi danzanti.

Spinning dolls che ricordano dervishi danzanti

Perché il mio “quasi” allora? Se un amico non mi avesse detto dell’esistenza del museo non lo avrei mai scovato, arrivarci non è del tutto
intuitivo. Questo museo ha per davvero lavorato sul “riciclare/ recuperare” le conoscenze e valorizzare con esse il proprio territorio e resta in ogni caso un buon esempio di racconto del territorio partendo da ambiente e tradizioni.
Con qualche piccola accortezza in più, tipo parcheggi, segnaletica potrebbe incentivare più persone, non del posto, a visitarlo. Ancora una volta l’urgenza di “aprire” maggiormente verso l’esterno.

Aggiornamento del 2025: il sito del museo è stato risistemato ed è stata inserita la scheda Maps

Arte Sella

Un’alternativa meno canonica alla cultura del territorio, anzi meglio territorio e cultura, si trova in Trentino. Esempio di un approccio all’ “Arte dell’Ambiente” è il bellissimo e conosciutissimo Arte Sella. Arte Sella non ha bisogno di presentazioni Mi soffermerò pertanto solo su un particolare: la facilità di raggiungere Arte Sella e l’armonia che regna in tutto l’ambiente, dalle strade ai ristoranti, ai parcheggi che si incontrano prima di arrivare ad Arte Sella. E’ la realizzazione di un concetto che mette insieme Uomo, Ambiente, Arte ed Economia di un territorio dove uno è di supporto all’altro. Una possibilità di sviluppo di un territorio in modo bello, sostenibile ed economicamente e culturalmente rilevante da esportare, declinato in modi adatti per ciascun luogo, in altre parti d’ Italia.

Arte Sella

A meno che non sia già tardi. Anche Arte Sella è stata danneggiata dal maltempo. Gruppi di volontari si stanno dando da fare per riportare tutto all’originaria bellezza. Sicuramente tornerà tutto bellissimo. Ma… E’ stato un caso eccezionale o un avvertimento?

E venne il giorno ….

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La prima foto è tratta dal web ed è un fotogramma del film: Tutte le altre foto sono di Antonella Grana ed Ermes Tuon.

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Agricoltura 4.0 e recupero zone industriali

Agricoltura 4.0 e recupero zone industriali, cosa può c’entrare l’agricoltura con i capannoni? Sergio Martin, in questo articolo ripreso dal Quaderno 11, ci spiega i vantaggi delle serre aeroponiche costruite dove? Ma nei capannoni dismessi!

In questo ultimo periodo si sente parlare sempre più spesso di cambiamenti climatici. Caldo infernale che si alterna a intensi temporali, grandinate, uragani.

Le mezze stagioni sembra che non esistano più.

La certezza che non avremo futuro, se non si fa in fretta qualcosa per cambiare il nostro modo di vivere, è insita in ognuno di noi. Le ultime proiezioni, ci dicono che nel 2030 avremo ben 8,5 miliardi di persone sul pianeta Terra che andranno sfamate. Sfortunatamente però, negli ultimi 40 anni siamo riusciti a perdere ben il 33% del suolo agricolo e a consumare circa il 70% dell’acqua nell’agricoltura. Per mantenere alta la produzione agricola, si deve fare oltretutto un largo uso di pesticidi. Di quello che alla fine si riesce a produrre, circa un terzo della frutta e verdura si deteriora nel trasporto prima di arrivare sui banchi vendita dei supermercati.

Uno scenario inquietante, forse è tempo di pensare ad una nuova agricoltura!

Agricoltura 4.0

La richiesta del consumatore è quella di prodotti qualitativamente migliori, a basso impatto ambientale e di poterli trovare sugli scaffali tutto l’anno. Per fare ciò occorre limitare il consumo d’acqua e di pesticidi, ricreare l’ambiente ideale per le diverse coltivazioni ottimizzandone le rese.

Una nuova agricoltura 4.0

Oggi un sistema esiste, noi lo abbiamo adottato in una serra che abbiamo sviluppato, e si chiama aeroponia. Nelle serre aeroponiche (in inglese “vertical farm”) le piante vengono fatte crescere in “aria”, su più livelli, vengono illuminate da file di led che emanano la loro luce preferita, le radici vengono nebulizzate con la soluzione nutritiva più idonea alla tipologia di pianta e di età della stessa. La soluzione nutritiva in eccesso viene recuperata e corretta, integrando i minerali usati dalle piante per crescere. In questa maniera il consumo di acqua è ridotto di oltre il 75%. Agendo sulle quantità di minerali, si può persino dare un sapore più o meno intenso alla produzione, assecondando i gusti dei consumatori.

Non essendoci un substrato di coltivazione non ci sono neanche problemi di muffe o di attacchi di parassiti che non sanno dove annidarsi. Per questo i pesticidi non vengono utilizzati. La temperatura, l’umidità, la CO2 sono anch’esse controllate dal sistema che le mantiene ai livelli ottimali.

La tecnologia

Praticamente tutti i fattori che incidono sulla crescita delle piante sono registrati, monitorati e controllati. Ci mancava però ancora qualcosa: bisognava avere l’esperienza dell’agricoltore. La tecnologia anche in questo caso ci ha dato una mano. Abbiamo installato diverse telecamere e abbiamo scattato, a distanza di qualche minuto una dall’altra durante numerosi cicli di coltivazione, migliaia di fotografie. Il confronto fra queste, basato sul colore, sulla forma, sulla grandezza della pianta e delle sue foglie, ci ha permesso di trovare le ricette ideali per i diversi tipi di coltivazione. Il nostro agricoltore è adesso un computer sempre attento a mantenere le condizioni ideali di crescita e pronto a risolvere eventuali patologie delle piante. Il lato negativo del sistema è che richiede ovviamente tanta energia. Ma questo alla fine si è tramutato in un altro vantaggio: non essendoci la necessità della terra il tutto può venire costruito in città, magari in aree industriali dismesse. La coltivazione diventa a km 0 ed è di fatto meglio del biologico.

Agricoltura 4.0 e capannoni dismessi

Le distese di campi potrebbero essere riconvertite a bosco e ripopolate da animali che ormai difficilmente sapremmo riconoscere. Speriamo soltanto di riuscire a cambiare in tempo!

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Vintage skin – la materia reinventata

Vintage skin – la materia reinventata di Kiara Baldan è un articolo tratto dal Quaderno 12 che riproponiamo. Sia l’articolo che il Quaderno ci parlano di riciclo, lavoro e passione per le attività manuali. Kiara, che ho risentito recentemente, ha fatto definitivamente della sua passione il suo lavoro. Rispetto a pochi anni fa – in pratica pre-Covid – i suoi mercati di riferimento si stanno lentamente modificando. I mercatini sono molto legati, oltre che alle festività, ai flussi turistici. Dalla scorsa estate sta prendendo forma uno spostamento, correlato alla tipologia di turisti interessati agli oggetti artigianali, dalle località balneari a quelle di montagna. Visto l’interesse di Progetto Re-Cycle verso un turismo più sostenibile, tale cambiamento sarà di sicuro oggetto delle nostre attenzioni.

Ma torniamo al Quaderno.

Le tre storie – tra cui Vintage skin la materia reinventata – che lo compongono sono state scritte da persone che creano oggetti, anzi opere dell’ingegno, bellissime. Opere che dietro hanno una storia e persone altrettanto belle con una loro filosofia di vita e di lavoro. In due casi il “piano B” di vita e lavorativo è diventato il “piano A”, i mercatini sono divenuti un vero e proprio lavoro, in un’altra storia invece la vita professionale è diversa e i mercatini sono il luogo in cui far emergere la propria passione per una filosofia di vita che racchiude una grande sensibilità, anzi amore, per il proprio luogo di origine.

Il tratto comune, anzi, è meglio dire i tratti comuni che legano il Quaderno possono essere sintetizzati su tre aspetti:

1.            La ricerca di materiali particolari di riciclo. A esempio, Giuseppe ci racconta di lenzuola di canapa acquistate a Parigi, Claudia di bottoni della nonna, tessuti e pelli vintage, Kiara di pelle ed ecopelle che poi decorerà

2.            La grande competenza e manualità con cui lavorare i materiali per giungere alla creazione delle opere

3.            Sapere utilizzare le potenzialità della rete e dei social. Un occhio al passato, certo, ma con la dimestichezza degli strumenti moderni per comunicare in modo efficace e capillare

Per scaricare tutto il Quaderno 12 Artigiani di Strada cliccare qui

Introduzione a cura di Antonella Grana

Vintage SKIN – la materia reinventata

Disegno da sempre. Disegno perché non posso farne a meno.

Disegno perché disegnare per me è espressione della mia interiorità che vuole incontrare il mondo esterno creando un ponte sinergico con chi dal mio disegno accetta di lasciarsi coinvolgere avvolgere e toccare. È un viaggio iniziato più di 40 anni fa quando ancora bimba usavo i colori, tutti i colori, su qualsiasi superficie senza distinzione e limitazione alcuna perché disegnare era, ed è tuttora, dare espressione e voce ad ogni emozione ogni parola ogni gesto che iniziano dentro me… così negli anni in piena libertà sono arrivati i primi disegni  importanti, quelli che poi si incorniciano perché hanno un significato forte e particolare perché dentro hanno un pezzo d’anima che deve essere suggellata e non può passare inosservata… e poi le prime mostre i primi concorsi, le proposte, le selezioni, le immense soddisfazioni le collaborazioni.

Vintage SKIN - la materia reinventata

Poi le sfide personali, la necessità di sperimentare altre strade artistiche per entrare ancora più in profondità  ed evolversi per poter tirare fuori e dare il meglio di se stessi… il nuovo approdo alla scultura su legno su pietra e plasmare l’argilla hanno determinato un’apertura importante che non potevano mancare nel percorso.

Il materiale

La vita irrompe con le sue contingenze imponendo delle scelte – anche a livello lavorativo – ma non ha il potere di fermare quella necessità atavica di disegnare che è il motore di tutto e che riesce anzi a trasformare e trasformarsi dando vita a Vintage SKIN un progetto che raccoglie la parte artistica e la plasma in creatività e design. Otto anni fa l’intuizione di provare ad arricchire con il disegno una superficie diversa da quelle fino ad ora utilizzate: pelle ed ecopelle riciclate da vecchi divani e vecchie poltrone. Inizia una nuova impresa creativa, una sperimentazione avvincente, una ricerca continua ed appassionata che rappresenta a tutti gli effetti la possibilità di reinventarsi e creare un piano B lavorativo, che si evolve nel tempo in piano A, e che mi permette sempre e comunque di disegnare. A oggi il piano A – che ha anche una pagina FB – mi permette di esporre principalmente in Veneto, in particolare a Treviso, Jesolo e alcune località montane.

L’origine del nome

Vintage Skin, un nome che volutamente è nato come come fosse un gioco di parole che si incontrano e contengono un significato denso: Vintage per individuare la materia prima – la pelle ed ecopelle -che ha già avuto una vita e che ora rinasce e viene reinventata attraverso la mia pelle personale quindi la mia esperienza, la professionalità, il vissuto ovvero SKIN.

L’idea e lo studio iniziali riguardano la forgiatura della pelle in piccoli oggetti di uso comune quali portachiavi, porta documenti, agende, book notes per impreziosirli successivamente attraverso disegni effettuati con inchiostri indelebili e poi fissati impiegando speciali vernici protettive. Vintage SKIN incontra il favore del pubblico che sceglie le creazioni proposte iniziando fin da principio a richiedere articoli sempre più personalizzati e diversi dando vita così all’idea di creare nuovi articoli: borse, zaini, portafogli, pochette di manifattura artigianale fornite al grezzo e poi disegnate sempre rigorosamente a mano con la tecnica ormai tipica e caratteristica di Vintage Skin.

La filosofia di Vintage SKIN punta principalmente sull’unicità di ogni creazione sotto l’aspetto sia formale che artistico perché ogni singolo pezzo è disegnato interamente a mano risultando quindi non ripetibile. La scelta dei soggetti è principalmente legata alla mia passione per l’oriente di cui ne rappresento elementi floreali ed ornamentali attraverso la scelta di colori specifici ben studiati. Vintage SKIN segue le stagioni e si reinventa continuamente proponendo sempre nuovi mood e nuove idee da offrire al pubblico che diventa parte importante di questo processo creativo ricco di energia e positività.

Vintage SKIN - la materia reinventata

Il fil rouge sono io o meglio le mie mani di natura ambidestra che disegnano e amano creare in accordo con il cuore, l’anima, la ragione, la passione e tutta la Bellezza che sempre ci salverà!

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Il vecchio e/è l’albero

Il vecchio e/è l’albero di Giorgio Tremel, tratto dal Q9 “L’uomo di plastica” (2018)

Allora mi son detto, influenzato anche dalla progressione dei miei anni, perché non utilizzia­mo il paradigma dell’albero per parlare del cervello dei vecchi, quindi della loro essenza, della loro vera ricchezza. L’esperienza, il vissuto, i traumi, le amputazioni, i tentativi e gli errori, il rinnovarsi di alcune parti ed il morire di altre.

Se dovessimo dire in due parole il focus di questo Quaderno – e di questo articolo – diremmo certamente Alberi e Plastica tratteggiati ora come racconto, ora come poesia, ora come fatti di cronaca, ora come racconto di fantascienza. Gli Alberi e la Plastica diventano per gli autori il veicolo per parlare a tutto tondo di cultura e rilettura dei territori, di emergenze ambientali e di possibili correttivi, di uomo essere senziente ma anche di plastica, un non-uomo, essere inconsapevole che non vede o non vuole vedere.

Il vecchio e/è l’albero

Mi tormentava un pensiero: come mai gli alberi invecchiando diventano sempre più belli e maestosi e noi umani invece sempre più goffi e brutti?
Finché un giorno, percorrendo un viale alberato appena fuori dal paese, una quercia di dimensioni considerevoli mi offrì una nuova prospettiva.
Aveva un impalcato di rami ed una corteccia segnati dal tempo e questi segni le conferivano un senso di “autorevolezza” evocando in me un sentimento di rispetto, di curiosità ed ammirazione verso questo essere vivente che con l’invecchiamento accresceva il suo fascino.

Il vecchio e/è l’albero

Possibile che gli umani seguano una parabola estetica del tutto opposta, mi chiedevo.
Entrambi nascono, vivono e muoiono ma mentre il corpo degli umani, subendo la corrosione del tempo esprime una bellezza che ha la durata di un fiore, per gli alberi è diverso.

Il loro tronco solcato da profonde rughe e i loro rami diventano sempre più uno spettacolo naturale, bello da vedere, da contemplare, da abbracciare.
Mi venivano in mente anche altre specie di alberi che mi avevano provocato stupore ed ammirazione: castagni dai tronchi scavati, cipressi affusolati, magnolie dai rami contorti, cedri del Libano patrimonio dell’umanità, pini cembro dalle radici abbracciate alla roccia come
delle piovre…
Li confrontavo con i nostri grandi vecchi, pieni di saggezza, dagli occhi intelligenti e velati, ricoperti dai tessuti degli abiti a mascherare la decadenza del corpo.
È un’ingiustizia della natura.
Eppure tra un vecchio albero ed un vecchio uomo deve esserci qualche analogia riequilibratrice da rendere pari merito a due esseri pieni di storia, di vissuto.

Il mio pensiero non correva sul difficile sentiero delle conoscenze scientifiche, ma in parte utilizzava delle immagini di strutture viventi: la chioma degli alberi e la corteccia del tronco, il loro intreccio, ordinato a modo suo, ed il cervello umano con i neuroni collegati da un intreccio nervoso, anche lui ordinato a modo suo.

Soltanto che negli alberi l’intreccio è esplicito, visibile, mentre il labirinto cerebrale degli esseri umani è soltanto intuibile attraverso la luce che emanano i loro occhi e l’ascolto della loro parola.

Allora ho pensato che queste due bellezze antiche, i rami dei vecchi alberi
e le circonvoluzioni cerebrali dei vecchi uomini, siano complementari,
simmetrici: i primi estroflessi verso l’esterno a mostrare la loro esperienza
di vita, i secondi raccolti nelle oscurità della scatola cranica che li cela al mondo.
Lo so, è un paragone che non ha alcun valore scientifico. Per me ha un
valore estetico, quindi apparentemente effimero e superficiale.
Ma quante volte capita di iniziare un dialogo o una riflessione partendo
da un spunto apparentemente banale.

Magari non crediamo alle descrizioni zodiacali della nostra personalità, ma le utilizziamo per parlare di noi agli altri e per scoprire gli altri attraverso l’apertura di un primo diaframma comunicativo. Come parlare del tempo.
Allora mi son detto, influenzato anche dalla progressione dei miei anni, perché non utilizziamo il paradigma dell’albero per parlare del cervello dei vecchi, quindi della loro essenza della loro vera ricchezza.
L’esperienza, il vissuto, i traumi, le amputazioni, i tentativi e gli errori, il rinnovarsi di alcune parti ed il morire di altre.
Forse viviamo un momento storico in cui può valer la pena usare tutti i mezzi, tutte le parole, per comunicare ai giovani “rottamatori”, “innovatori”, “oggettivamente inesperti” il valore dell’esperienza. Se oggi possiamo godere il piacere di gustare un risotto con i funghi e di digerirlo
senza danni ci sarà pure un motivo, no?

Proverò ad utilizzare questa relazione estetica albero/cervello per alimentare alcuni paragoni.

L’albero potato e/o decorato è come un cervello condizionato, non più libero di esprimere la sua personalità.

Gli abeti solitari piantati in pianura con la cima potata perché da fastidio, fa ombra. I giardini con gli alberi modificati dalla creatività del giardiniere che li fa assumere forme innaturali per lo stupore e ammirazione della gente che passa, che vede il giardiniere “mani di forbice” non l’albero. Gli alberi allineati in lunghi filari sui bordi delle strade, i rimboschimenti geometrici e gli alberi costretti a farci compagnia sulle pareti dei nuovi edifici ecologici…

Questo modo di modificare la natura (ma essa sviluppa, nel frattempo, la sua inesorabile vendetta) incide sulla struttura del nostro cervello, sulle sue ramificazioni nascoste che subiscono la stessa intrusione dei rami degli alberi: allineati come soldati o greggi, castrati nello spirito come gli abeti, trasformati dall’abbigliamento di moda e dalla chirurgia plastica come gli alberi dei giardini. L’albero antico che rinnova ogni anno le gemme ed i fiori è come il cervello di un vecchio che utilizza cose note, le rielabora attraverso l’esperienza e le reinventa di nuovo.

Il vecchio e/è l’albero

L’albero spazzato dal vento che reagisce secondo l’intensità con cui viene colpito ricorda un cervello che si libera di vecchi pensieri (le foglie secche) che inventa una musica che alimenta lo spirito creativo quando la sollecitazione è leggera e con l’aumentare dell’intensità prova un turbamento psichico che piega la volontà ma forse non la spezza e lo fa rinascere più forte e consapevole. E, infine, un’intensità violenta che produce uno sradicamento (la fuga dalla guerra, dalle catastrofi climatiche e dalla fame), la perdita di identità e la morte (fisica o morale).

Gli uccelli che si posano sui rami e li scelgono per nidificare sono la rappresentazione dell’accoglienza, le chiome degli alberi sono pazienti ed accoglienti. Anche il cervello (non lo stomaco) può essere accogliente e paziente verso il diverso da sé.

Ho scoperto recentemente in un viaggio a Londra che i platani secolari sono diventati velenosi. Hanno assorbito tutti i miasmi della rivoluzione industriale. Forse il progresso incontrollato e selvaggio del capitalismo ha prodotto danni avvelenando anche il nostro cervello? I platani di Londra tuttavia hanno trovato il modo di adattarsi e sopravvivere a lungo e hanno trovato il modo di eliminare le scorie avvelenate accumulate nella corteccia. Speriamo che anche il nostro cervello (quello collettivo) possa trovare il modo per decontaminarsi.

La demenza senile, che cancella i ricordi e annulla il presente, assomiglia a quegli alberi che progressivamente muoiono con i rami che rinsecchiscono e le ultime foglie che fuggono dai rami ancora vivi. Meglio tagliarli o lasciare il compito alla natura? O forse trovare il modo di rendere la loro sofferenza più lieve, prolungando la loro esistenza in modo dignitoso.

Nei boschi, le città degli alberi, alcuni alberi muoiono e si trasformano in concime che alimenta le piante più giovani. Ma i nostri cervelli morti forniscono uno strumento (humus) alle nuove generazioni, che, alimentate da una giusta volontà di cambiamento, dimenticano a volte la Storia?

Quel giorno volevo abbracciare la quercia che mi aveva ispirato, l’ho fatto con il pensiero, non possiamo che volerci bene…siamo complementari.

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